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Laredazione

La minaccia dei tecnici e l’autunno del rating

Oct 1st, 2023
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  1. La minaccia dei tecnici e l’autunno del rating
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  4. di Massimo Giannini - editoriale
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  7. Giorgia Meloni, in fondo, è stata sfortunata. Dopo il trionfo del 25 settembre poco o niente è andato come sperava. Libera e irresponsabile, nel deserto arido dell’opposizione solitaria, era stata abilissima a pompare acqua dal bacino elettorale di Salvini, fino a svuotarlo. Poi a rappattumare il cartello delle tre destre patriottiche, in nome del potere più che di un’idea condivisa di mondo, di Europa, di Italia.
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  9. E infine a vincere, non già sulla spinta di un’inarrestabile “onda nera” che nel Paese non c’è mai stata (come dimostra l’indagine Itanes, il perimetro dei consensi dei due poli non è sostanzialmente cambiato rispetto al voto del 2018), ma grazie a un più cinico “spirito di coalizione”, a un uso più accorto dei meccanismi della legge elettorale, e a all’irriducibile, autolesionistica “volontà di frammentazione” delle sinistre. Ma da quando ha espugnato Palazzo Chigi, la Sorella d’Italia ha avuto di fronte solo guai. E adesso vede i fantasmi. Come il Macbeth di Shakespeare, avevamo scritto. Il Berlusconi del 2011, la Congiura dei Mercati, lo spirito di Napolitano reincarnato in Mattarella, il governo tecnico, Monti e Draghi trasfigurati in Fabio Panetta.
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  11. «I soliti noti vorrebbero un governo tecnico», tuona Giorgia dopo aver letto i retroscena de LaStampa. Guarda lo specchio e – invece di riflettere su se stessa, su questo primo anno vissuto malamente, sui continui pastrocchi del suo sgangherato “dream team” – vede solo la Spectre dei “soliti noti” che la vuole buttare giù dal trono. Entità rigorosamente anonima, come ai bei tempi della cospirazione giudo-pluto-massonica e nella migliore tradizione del turbo-populismo vittimistico post-missino.
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  13. Lei fugge dai problemi reali, che tuttavia la inseguono senza sosta. Della sporca guerra russa neanche parliamo, è un’immane tragedia che stravolge l’Ordine Mondiale e forse è l’unico “dossier” sul quale l’Underdog – nonostante le paturnie tardo-putiniane del Cavaliere e del Capitano – ha dimostrato di avere una linea chiara e condivisibile. Ma è soprattutto l’emergenza migranti che le è riesplosa tra le mani, dalla strage di Cutro in avanti. E a nulla sono valsi i quattro mostruosi decreti da “Junta” sudamericana, sui quali già cominciano a piovere le sentenze contrarie dei tribunali, come quello di Catania.
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  15. A niente sono serviti il “pizzo di Stato” delle cauzioni da 4.938 euro, la stretta sui minori trattati come delinquenti a prescindere, le passerelle fugaci a Lampedusa con “l’amica Ursula”, le “svolte storiche” fasulle e i finti “cambi di paradigma” annunciati a Bruxelles, le firme all’inchiostro simpatico sugli accordi farlocchi con il Rais tunisino Saied, i fantasmatici “Piani Mattei” sottoscritti sulle quinte di cartongesso con i dittatorelli del Corno d’Africa, le passeggiate felici con Macron a Piazza Montecitorio o le letteracce indignate al Cancelliere Scholz. Tutte chiacchiere e distintivo, solo impotenza e faccia feroce, di fronte a un fenomeno epocale che ci sovrasta e che andrebbe gestito con un misto di solidarietà e pragmatismo, predisponendo nuovi modelli di accoglienza e di integrazione, invece di trasformare l’intera Penisola in un gigantesco campo di concentramento.
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  17. Il fallimento delle non-strategie di contrasto seguite finora è sotto gli occhi di tutti. Non è un caso, come ci raccontano i sondaggi di Alessandra Ghisleri, che l’immigrazione sia tornata in cima alle preoccupazioni degli italiani. E non è un caso, come ci raccontano di nuovo gli studiosi di Itanes, che proprio una radicata eurofobia contro le intrusioni comunitarie e una esasperata xenofobia contro le invasioni extracomunitarie siano state le due leve principali della mobilitazione e del successo elettorale di un anno fa. Prima o poi gli elettori chiederanno conto delle mancate promesse di allora.
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  19. Ma, ancora una volta, vale il motto di Bill Clinton del lontano 1992: «It’s the economy, stupid». È l’emergenza economica a far tremare polsi e poltrone del governo Meloni. La Cenerentola diventata Giovanna d’Arco – secondo la sobria iconografia sallustiana riassunta nella “Versione di Giorgia” – sperava nelle verdi vallate della crescita e del denaro facile. Si ritrova nelle gole tortuose della recessione globale e della stretta monetaria. Per qualche mese ha provato a suonare la grancassa stonata dell’Italia Felix, con tanto di audace spartito trascritto nel patinato depliant simil-berlusconiano di 31 pagine: «L’occupazione aumenta, cresciamo il doppio di Francia e Germania».
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  21. Ora il bluff è finito. L’autocelebrazione ossessivo-compulsiva lascia sempre più spesso il campo al vittimismo complottista. Il delirio di onnipotenza arretra, mentre avanza una sottile sindrome di Calimero. Come scrive Mario Seminerio su Phastidio.net, la Nadef appena approvata certifica «l’ora delle decisioni revocabili». È una sommatoria impossibile di esplicite “cambialone elettorali” e di impliciti “non possumus”. Riflette le dinamiche inerziali di un Paese che converte in contratti a tempo indeterminato solo il 6% di quelli a termine, che ha già smesso di crescere con un magro 1,2 per cento nel 2024, e che nei prossimi tre anni se va bene si riadagerà al Pil-più-zero-virgola degli ultimi venti.
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  23. Nel frattempo, continuerà a macinare più deficit (colpisce il salto al 5,3% quest’anno e al 4,3 il prossimo) e soprattutto lascerà ingrassare ancora il debito (stupisce quell’invariato 140,1% quest’anno, e l’aumento di fatto in quelli successivi). E anche qui servono a poco gli appositi capri espiatori: se sui migranti si va dal turpe Soros al bieco Borrell, sul ciclo economico si portano molto lo stregone Conte (il suo superbonus pesa sui conti per 20 miliardi l’anno) e la strega Lagarde (il suo caro-tassi costa al povero Giorgetti 14 miliardi l’anno).
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  25. Lo spread che torna a veleggiare a quota 200 e il rendimento del Btp che vola al 4,96% è dunque il minimo che ci si possa aspettare. E non conforta il fatto che ci sia tensione anche sui bond francesi e spagnoli: chi nella maggioranza si ripara dietro queste caduche foglie di fico continua a non voler ammettere che, come gli ignari e ignavi danzatori messicani di Malcolm Lowry, noi italiani stiamo ballando sotto un vulcano da 3 mila miliardi di euro, che resta il nostro colossale debito pubblico. La destra dissimula con il Grande Oblio reaganiano: il debito è abbastanza grande da badare a se stesso.
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  27. Purtroppo non la pensano così operatori, banche e istituzioni finanziarie che ogni giorno, sui mercati, devono comprare i nostri Bond, rinnovando la fiducia a uno Stato che non sta facendo abbastanza per dimostrare di poter ripagare il suo debito. Per ora reggiamo, in un clima teso ma sospeso. Un’altra tempesta perfetta non pare alle viste, ma le nostre fragilità strutturali lo confermano: basta un niente per farla scatenare. Meloni non lo dice, ma lo sa. Per questo, come scriviamo da giorni, aleggia lo spettro del governo tecnico, magari guidato dal nuovo governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta: il “Draghi di destra”, come l’abbiamo definito. Scenari del tutto ipotetici. Ma è significativo il fatto che lei stessa li evochi e che circolino tra una “classe dirigente” convinta solo un anno fa di aver aperto un ciclo quinquennale o forse decennale.
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  29. Fioccano report allarmati delle banche d’affari e editoriali preoccupati su Financial Times, Der Spiegel, The Economist. Tutti citano il disastro del novembre 2011, quando un governo Berlusconi alle comiche finali, con uno spread verso quota 600, si suicidò cadendo in Parlamento sul Rendiconto generale dello Stato. La chiamarono “congiura”, ma fu solo autodafé. Che si ripeta adesso è improbabile, ma non impossibile. Risulta che Meloni abbia già segnato sulla sua preziosa agenda rossa alcune date decisive.
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  31. Sono quelle già fissate dalle Agenzie di rating, che in autunno dovranno rendere noti i rispettivi “voti” e “outlook” sull’Italia. Il 20 ottobre tocca a Standard&Poor’s, che finora ci ha assegnato una tripla B. Il 27 ottobre tocca a Dbrs, ferma a sua volta sulla tripla B. Poi si potrebbe profilare davvero un “novembre nero”: il 10 è la volta di Fitch, mentre il 17 chiude in bellezza Moody’s, fino adesso ferma su uno scivoloso Baa3. Nel frattempo, in attesa di capire come se e come sarà modificato il Patto di Stabilità dal gennaio prossimo, il 21 novembre la Commissione Ue farà conoscere il suo “verdetto” sul Piano programmatico di Bilancio, che l’esecutivo deve trasmettere a Palais Berlaymont entro il 15 ottobre.
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  33. Al Tesoro c’è chi è pronto al peggio. Non si escludono altri downgrading, cioè ulteriori retrocessioni sul grado di affidabilità del nostro debito pubblico. Ne basterebbe anche uno solo, a trasformare i Btp italiani in titoli spazzatura. Pioverebbero pietre, visto che l’anno prossimo dobbiamo collocare oltre 300 miliardi di bond senza l’ombrello della Bce. È uno scenario da incubo. E sia chiaro, nessuno se lo augura, per il bene del Paese.
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  35. Anche noi, più di Meloni, siamo convinti che i governi tecnici siano una stortura democratica, ancorché pienamente legittima sul piano costituzionale. Anche noi riteniamo che la via maestra, nella scelta di chi deve governare l’Italia, sia il voto del popolo sovrano. Ma per evitare nuovi “stati di eccezione” non bastano gli esorcismi: bisogna governare bene. Non è un tempo da gufi o avvoltoi, che volteggiano sulla preda. Ma neanche da struzzi, che mettono la testa sottoterra. Questo sarebbe il tempo della responsabilità e della verità, per una politica che invece sa solo urlare, rivendicare e recriminare, tra profughi in galera, generali in libreria e pesche al supermercato. —
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