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Laredazione

The big change

Mar 23rd, 2023
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  1. The big change
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  4. ChatGPT non è la prima intelligenza artificiale generativa, in grado cioè di creare contenuti di ogni tipo, né è esente da errori, anche marchiani. Ma il prodotto di OpenAI ha cambiato per sempre la nostra percezione dell’IA, rendendo chiaro che la “singolarità” è davvero solo questione di tempo. Ora la sfida è dominarla o esserne dominati. Uno sguardo ai i protagonisti e alle forze in campo
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  6. Il paranoico di talento
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  8. Nel 1983 l’errore di un computer rischiò di innescare un conflitto nucleare. In una base militare a 145 chilometri da Mosca, la macchina suggerì di rispondere a un attacco sferrato dagli Stati Uniti. Ma si era sbagliata: non c’erano missili in arrivo. Fu un uomo a evitare il disastro. Il tenente colonnello Stanislav Petrov impiegò quindici secondi per prendere la decisione giusta. “Nessuno sferra un attacco con soli cinque missili” pensò. E aveva ragione. Sam Altman è nato due anni dopo quel falso allar me. Ha mosso i suoi primi passi a Chicago quando il muro di Berlino iniziava a scricchiolare.
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  10. E oggi che la minaccia nucleare è tornata incombente, Altman ipotizza spesso − insieme ai suoi amici − come finirà il mondo. “Uno degli scenari ricorrenti − ha raccontato − è l’umanità sotto attacco da parte dell’intelligenza artificiale. E le nazioni che si contendono le ultime risorse sulla Terra usando le armi atomiche”. Non sono semplici chiacchiere da bar. Altman ha rivelato di avere in casa un kit per la sopravvivenza composto da armi, oro, ioduro di potassio e maschere antigas provenienti dall’esercito israeliano.
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  12. Tra i suoi amici c’è un altro paranoico: Elon Musk. Anche lui è terrorizzato dall’idea che l’intelligenza artificiale un giorno, possa spazzare via l’umanità “per errore”. I due, nel 2015, hanno fondato il laboratorio di ricerca OpenAI, con l’intento di studiare e sviluppare un’intelligenza artificiale “benevola” (la storia la racconta Arcangelo Rociola nella pagina a fianco).
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  14. Musk, Altman e i primi investitori di OpenAI, tra cui il co-fondatore di LinkedIn Reid Hoffman, erano preoccupati dai progressi effettuati, in questo campo, da Deep Mind, il laboratorio di ricerca acquisito da Alphabet − la big tech che controlla Google − nel 2014. “Se qualcosa di ciò che fanno con la loro intelligenza artificiale va storto − ripeteva Musk − rischiamo di ritrovarci per sempre con un dittatore spietato e potente”. Sam Altman ha già pensato a una via d’uscita: “La simbiosi con le macchine sarebbe la soluzione migliore − ha detto anni fa −. Qualsiasi futura versione dell’uomo si troverà sempre davanti a un bivio: diventare schiava dell’IA oppure controllarla”.
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  16. Nel frattempo, Altman sta lavorando a un punto d’incontro. Da tre anni ha assunto la guida di OpenAI. E l’ha trasformata in una società in cerca di profitto. Non poteva fare altrimenti, forse, visti i costi necessari per alimentare i rivoluzionari (e potentissimi) strumenti che ha creato la startup: prima Dall-E, che crea immagini a partire da un testo, poi ChatGPT, l’intelligenza artificiale che scrive come un uomo in carne e ossa. Nella casa in cui è cresciuto, a St. Louis, Altman si è rifugiato nelle linee di codice che scriveva sul suo primo Mac. Per completare i suoi studi, Sam è volato in California: si è iscritto alla Stanford University, inseguendo una laurea in Computer Science.
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  18. Ma ha mollato gli studi dopo due anni per dedicarsi alla sua prima startup. Loopt era una app che mostrava, in tempo reale, dove si trovavano i propri amici. L’idea sembrava promettente ma alla fine si è dimostrata un flop. Eppure quel fallimento è servito. Loopt era stata lanciata grazie a Y Combinator, il più importante acceleratore di startup della California e probabilmente di tutti gli Usa, fondato nel 2014 da Paul Graham e Jessica Livingston. Sam Altman, improvvisamente, ha scoperto di essere bravo con i consigli, quelli utili ad avviare una startup senza errori. Così ha iniziato a prendersi cura dei futuri imprenditori.
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  20. Quando Graham ha lasciato la guida di Y Combinator, nel 2014, ha scelto Altman come nuovo presidente. Cinque anni dopo, Sam Altman ha lasciato Y Combinator per concentrarsi totalmente su OpenAI. All’epoca riceveva 1.200 e-mail al giorno e ne inviava almeno 200. Considerando che in 24 ore ci sono 1.440 minuti, nessuno più di lui sognava un assistente che fosse in grado di rispondere al suo posto. Oggi ChatGPT, l’IA generativa lanciata a novembre 2022, fa molto di più: scrive racconti, post per i social, poesie, canzoni inedite, lettere d’amore.
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  22. Ma è anche in grado di generare teorie cospirazioniste e testi violenti, offensivi e razzisti. In molti hanno criticato OpenAI per aver resa ChatGPT pubblica nonostante sia ancora così “irresponsabile”. “Pensiamo che mostrare subito questi strumenti al mondo, nonostante ci sia ancora qualcosa da aggiustare, sia inevitabile se vogliamo avere dati a sufficienza per farli funzionare nel modo corretto” ha scritto Altman su Twitter. Peccato che il “bene supremo” a cui punta Altman coincida con quello − sicuramente meno disinteressato − di OpenAI.
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  25. Un business da paura
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  27. Storia di OpenAI, la società che ha creato ChatGPT. È nata come società open source e no profit. Poi qualcosa è cambiato, ed è diventata un affare miliardario
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  29. di ARCANGELO ROCIOLA
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  31. Undici dicembre 2015. Dopo pochi minuti dalla sua registrazione, sul dominio Openai.com viene caricato un documento. Tremiladuecento battute scarse. Lo firmano in nove. Tra loro Sam Altman, Elon Musk e Peter Thiel. Ma anche società donatrici come Amazon e Y Combinator, il più importante acceleratore di startup al mondo. È l’atto che da il via a uno dei progetti più discussi e affascinanti dell’ultimo decennio: OpenAI. Il gruppo di ricerca da cui è nato il fenomeno ChatGPT. Quel gruppo di ricerca oggi è una società a tutti gli effetti.
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  33. Con azioni, un consiglio di amministrazione e investitori di peso. Ha ricevuto prima finanziamenti per un miliardo da Microsoft. Poi, qualche giorno fa, Microsoft per dieci volte quella cifra se ne è comprata il 40%. Ma OpenAI nel 2015 nasce come una società di pura ricerca. I fondatori in quel documento si dicono consapevoli del potenziale enorme dell’intelligenza artificiale. Per sua capacità di far fare progressi enormi all’umanità. Ma anche per la sua capacità potenziale di distruggerla. Di base c’è la consapevolezza che le macchine intelligenti hanno fatto passi enormi. Non si tratta più di pura potenza di calcolo.
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  35. Né di battere un campione di scacchi russo nello sport in cui dominava incontrastato. Le macchine hanno raggiunto uno stadio evolutivo diverso. Come si legge in uno dei passaggi più significativi del testo scritto sette anni fa: “È difficile immaginare quanto un’intelligenza artificiale con un livello pari o superiore a quello umano possa giovare alla società. Ma è altrettanto difficile immaginare quanto possa danneggiarla se costruita o usata in modo sbagliato”. Tra il paradiso e l’inferno sembrava ci fosse un solo grado di differenza.
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  37. E OpenAI voleva mettersi proprio su quel grado. OpenAI è diventato il centro da cui ci si aspettava ogni tipo di notizia sul fronte dell’intelligenza artificiale. Con un misto di curiosità e speranza. È diventato il centro più osservato dagli esperti, insieme all’altro peso massimo del settore: DeepMind di Alphabet, comprata dalla holding di Google nel 2014 per 500 milioni di dollari. OpenAI ha adottato un approccio aperto alle proprie innovazioni. Tutto ciò che usciva dai laboratori del quartier generale di San Francisco veniva messo subito a disposizione di tutti.
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  39. Nel 2016 mise online una versione beta di una piattaforma di apprendimento delle macchine per rinforzo. L’anno dopo un software che allena un’IA tramite giochi. Poi fu la volta dei robot che imparavano le tecniche del sumo, fino a buttare fuori l’avversario dal dohyo. Esperimenti. Ma è ChatGPT che ha cambiato tutto. Ha dato a tutti la possibilità di capire le reali potenzialità dell’intelligenza artificiale. E cambiato la storia dell’azienda. L’idea dietro la nascita di OpenAi e ChatGPT vibra come un’inquietudine: Musk, Altman, Thiel e gli altri di fondo temevano (temono?) che le grandi cose a cui è destinata l’intelligenza artificiale nascondano un lato oscuro. Che possano essere terribili.
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  41. E siccome non c’è rimedio allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, l’unico modo per creare le condizioni che possa fare del bene e renderla aperta. All’inizio i programmi di OpenAI erano addirittura open source, cioè possibili da scaricare e usare a proprio piacimento. Poi qualcosa è cambiato. Elon Musk ha lasciato tutte le cariche nel gruppo di ricerca nel 2018, sollevando la possibilità di un conflitto di interesse tra OpenAI e il ramo aziendale di Tesla che si occupa di intelligenza artificiale. L’anno successivo OpenAI diventa una società for profit. L’IA è un business. E servono investimenti veri.
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  43. Nel 2019 diventa una società a scopo di lucro limitato. Da laboratorio di intelligenza artificiale con Microsoft diventa un’azienda che la produce. Più si andava avanti, più complesse diventavano le ricerche, più ricercatori bravi servivano. E con stipendi non troppo sfavorevoli per condizioni economiche rispetto a Google, Amazon o Meta. Per rimanere in piedi servivano soldi. Per “rimanere rilevanti”, come recitava la nota della società dopo l’investimento della società fondata da Bill Gates. All’inizio del 2019, OpenAI annuncia GPT-2, un modello linguistico in grado di generare testi di livello umano.
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  45. Per i ricercatori era un enorme balzo in avanti. Ma la loro paura era che potesse essere usato per “diffondere fake news e disinformazione”. Diversi articoli da allora hanno messo in luce come fosse cambiata la strategia dell’azienda. In un articolo della rivista del Mit di Boston si diceva chiaramente che OpenAI stesse cercando di “capitalizzare il panico che lei stessa aveva contribuito a diffondere sui temi dell’IA”. Intanto l’IA assume per tutti lo scettro del “the next big thing”, la prossima grande innovazione su cui puntare.
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  47. A livello di sviluppo, e di investimenti. Secondo Reuters la società prevede un fatturato di 200 milioni nel 2023. E di un miliardo per il 2024. Oggi è valutata 29 miliardi di dollari. I primi passi per essere il prossimo colosso tra le tech company sono già stati fatti.
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  50. Noie al motore
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  52. Google ha da tempo una sua IA generativa, Bard. Ma l’arrivo di ChatGPT rischia di minare le fondamenta del suo business, in gran parte fondato sul search
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  54. di PIER LUIGI PISA
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  57. Quando OpenAI, una piccola startup di San Francisco, ha svelato ChatGPT lo scorso novembre, negli uffici di Google è scattato subito un “codice rosso”. Una nuova intelligenza artificiale, definita generativa, rischiava di spazzare via il business più grande dell’azienda di Mountain View: la ricerca sul web. Se le persone possono chiedere qualsiasi cosa a ChatGPT, e possono ricevere risposte esaustive scritte in modo naturale − le stesse che darebbe un esperto in carne e ossa, per intenderci − perché mai dovrebbero affidarsi ancora a Google e alla sua lunga, freddissima, lista di link? E ancora: cosa accadrebbe se un altro motore di ricerca usasse l’IA di ChatGPT per trasformare la ricerca in una piacevole conversazione? È una domanda a cui sta provando a rispondere Microsoft, che nei mesi scorsi ha investito miliardi di dollari per integrare nel suo motore di ricerca, Bing, l’IA di ChatGPT. Per Google è stata una beffa clamorosa.
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  59. Big G, infatti, possiede da tempo un’intelligenza artificiale simile a ChatGPT. Si chiama Bard − bardo, il nome si ispira a Shakespeare − e “utilizza le informazioni presenti sul web per fornire risposte aggiornate e di alta qualità”. Ma al momento è ancora in fase di test. Finché non sarà abbastanza “responsabile”, questa nuova IA non sarà offerta al pubblico. L’eccessiva cautela potrebbe costare cara a Google. Ma anche un’accelerazione comporta dei rischi. Google lavora alla sua intelligenza artificiale da anni.
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  61. Larry Page, cofondatore dell’azienda, già nel 2008 chiedeva a Vic Gundotra, ex vicepresidente di Google, perché Gmail non fosse in grado di scrivere una risposta automatica ai messaggi ricevuti. Nel 2014 proprio Page, che all’epoca rivestiva il ruolo di Ceo, ha dato il via libera all’acquisto di Deep Mind, uno dei migliori laboratori al mondo di intelligenza artificiale. Tre anni dopo Google ha sviluppato e reso open-source un’architettura di rete neurale − chiamata Transformer − che in seguito è servita ad addestrare gran parte dei modelli su cui si basano le nuove intelligenze artificiali generative. Tra questi, ironia della sorte, c’è anche GPT-3, il modello che utilizza OpenAI per ChatGPT. Nel 2021, infine, Google ha sviluppato LaMDA, l’algoritmo che consente proprio a Bard di rispondere in modo naturale, plausibile e coerente alle domande di un essere umano.
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  63. Perché, dunque, Google si è fatta battere sul tempo da OpenAI e poi da Microsoft? Se lo sono chiesti, preoccupati, i dipendenti di Google a dicembre 2022, poche settimane dopo l’uscita di ChatGPT, partecipando a un meeting ristretto con Sundar Pichai e Jeff Dean, il capo della divisione di Google che si occupa di intelligenza artificiale. I due, in quell’occasione, hanno spiegato che l’azienda non può permettersi di sbagliare. “Una risposta errata da parte dell’IA, contenente informazioni imprecise o un linguaggio offensivo, arrecherebbe un grave danno alla nostra reputazione − ha sottolineato Dean −.
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  65. I nostri utenti si fidano delle risposte di Google”. Pichai e Dean non avevano tutti i torti. Anche se il tempo scorre veloce, e la mole gigantesca di informazioni a cui siamo esposti tende sempre più a seppellire i fatti del passato, negli uffici di Mountain View non hanno certo dimenticato cos’è successo nel 2015, quando un utente di Google Photos, l’ingegnere di software Jacky Alciné, si è accorto che l’algoritmo di Google classificava i suoi amici neri come “gorilla”. Otto anni dopo, l’IA ha tradito nuovamente Google. È stata proprio Bard a far crollare in borsa Alphabet, la holding che controlla Big G.
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  67. Il titolo è sceso dell’8% circa. Cento miliardi di dollari sono andati in fumo per colpa di una delle prime risposte fornite da Bard durante la sua presentazione. Il quesito era apparentemente innocuo: “Quali nuove scoperte del telescopio James Webb posso raccontare a mio figlio di nove anni?”. Ma tra le informazioni che Bard ha offerto − hanno scoperto gli astronomi − una in particolare è sbagliata: la prima immagine di un esopianeta non è stata catturata da James Webb, come ha scritto l’IA di Google, ma risalirebbe addirittura al 2004, come riporta il sito della Nasa. L’intelligenza artificiale può sbagliare.
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  69. Quella generativa, in particolare, può commettere errori clamorosi. Sulla pagina iniziale di ChatGPT c’è scritto che i contenuti generati potrebbero risultare “inesatti, offensivi o dannosi”. Tra le faq che spiegano il nuovo Bing, si legge che “Bing basa tutte le sue risposte su origini affidabili, ma l’intelligenza artificiale può fare errori e i contenuti di terze parti su internet potrebbero non essere sempre accurati o affidabili”. Il succo è chiaro: dell’IA generativa non ci si può mai fidare fino in fondo. È quello che sostengono anche alcuni ingegneri di Google, che nel luglio del 2021 hanno pubblicato un paper dal titolo “Rethinking Search” in cui si sono chiesti se fosse il caso, appunto, di trasformare Google in una sorta di oracolo.
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  71. Non è rischioso condensare tutto il sapere digitale in un’unica risposta? Un po’ lo è, in effetti, e proprio per questo sia Google sia Bing, in futuro, continueranno a proporre, in aggiunta alle risposte dell’IA, i link che solitamente contraddistinguono una ricerca sul web. Solo che questi link saranno un po’ in disparte, come quei piani B che nessuno si augura di attuare.
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