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- La battaglia del debito
- L’Europa si spacca sul nuovo Patto di Stabilità proposto dalla Commissione Berlino preme per inserire un taglio dell’1% annuo e va all’attacco dell’Italia “Con queste regole risanamento in 80 anni”
- di MARCO BRESOLIN - inviato a Lussemburgo
- Nord contro Sud. Falchi contro colombe. Ma soprattutto: Parigi contro Berlino. La più classica delle divisioni, che taglia in due il Vecchio Continente lungo un asse orizzontale, è riemersa prepotentemente nella prima discussione ufficiale tra i ministri delle Finanze sulla riforma del Patto di Stabilità disegnata dalla Commissione europea. A dividere i due blocchi, la proposta di introdurre un target minimo annuale, uguale per tutti, per la riduzione del debito.
- Uno strumento che sembra però essere in contraddizione con lo spirito della riforma, basata su percorsi di rientro personalizzati e negoziati bilateralmente dalle singole capitali con Bruxelles. Ma per il fronte nordico si tratta di una questione fondamentale: bisogna garantire un taglio minimo del debito. Christian Lindner è in prima linea in questa battaglia e anche ieri ha ribadito quella che dovrebbe essere l’entità del taglio annuale: almeno l’1% del Pil. Un target che a suo modo di vedere è tutt’altro che eccessivo: «Con questa riduzione, per un Paese che ha un debito del 140% servirebbero 80 anni prima di vederlo scendere sotto il 60%. Io avrei 124 anni...».
- Pur senza nominarla esplicitamente, il riferimento di Lindner è chiaramente all’Italia, che ha un debito superiore al 144%. «Noi condividiamo chiaramente il fatto che la progressiva riduzione del debito è condizione essenziale per la stabilità, la sostenibilità e la crescita», ha replicato Giancarlo Giorgetti. Ma per il ministro italiano delle Finanze «gli aspetti tecnici non devono prevalere rispetto alle considerazioni politiche». E durante il suo intervento ha insistito sul cavallo di battaglia del governo: lo scorporo degli investimenti dal calcolo di deficit e debito. Si tratta degli investimenti «relativi alla transizione ambientale, energetica e digitale», in sostanza «quelli considerati prioritari anche ai sensi del Next Generation EU».
- Secondo Giorgetti gli investimenti del Pnrr «devono avere una considerazione particolare», anche perché «sono di durata limitata e la loro quantificazione è già stata accertata». La battaglia sullo scorporo degli investimenti strategici, però, rischia di essere condotta in solitaria. La questione è stata sollevata solo dalla Lituania (che gioca nel campo dei “falchi”), ma limitatamente alle spese per la Difesa. Non è stata invece menzionata da nessuno dei principali alleati del fronte Sud, concentrati a difendere la proposta della Commissione e a cercare di smontare gli argomenti di Lindner & Co.
- Il più netto nel respingere le richieste tedesche è stato proprio il ministro francese Bruno Le Maire, secondo il quale «sarebbe un errore economico e politico grave» introdurre questi parametri comuni. Economico perché «già in passato abbiamo avuto regole automatiche, uniformi e questo ci ha portato in recessione, mentre noi vogliamo esattamente il contrario». Politico perché l’introduzione di questo parametro finirebbe per «disconoscere la sovranità degli Stati». Al momento sono dieci i governi che sostengono ufficialmente le ragioni di Berlino: Austria, Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Croazia, Slovenia, Lituania, Lettonia, Estonia e Lussemburgo.
- All’elenco dovrebbero presto aggiungersi anche la Svezia – fin qui defilata perché presidente di turno dell’Ue – e la Finlandia, dove sta nascendo un nuovo governo di centrodestra. Tutti vogliono l’introduzione di parametri quantitativi minimi per la riduzione del debito, anche se non tutti chiedono l’1% come la Germania. La ministra danese, per esempio, ha proposto una soluzione più sfumata che prevede di stabilire un taglio medio «tra lo 0,5% e l’1% in base al Paese e al ciclo economico». Sul fronte della Commissione, comunque, c’è ottimismo circa la possibilità di trovare un accordo entro la fine dell’anno.
- Fondo monetario internazionale e Bce hanno chiesto di fare presto perché, come ha ricordato il commissario Paolo Gentiloni, «il tempo non è illimitato».
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