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Laredazione

Economia, la destra sceglie il dirigismo

Sep 10th, 2023
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  1. Economia, la destra sceglie il dirigismo
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  3. di Carlo Galli
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  6. È accidentato il cammino del governo, e di conseguenza del Paese. Lo scenario economico non è favorevole né all’interno (non sarà facile mantenere l’obiettivo della crescita dell’1%, in presenza di una recessione annunciata dai risultati insoddisfacenti del secondo trimestre) né all’esterno.
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  8. La Bce ha alzato i tassi, ha cessato di acquistare i nostri titoli, e si profila un ritorno delle regole europee di finanza pubblica che potrebbero essere assai poco compiacenti, per quanti sforzi si facciano (Draghi in testa) per renderle meno severe. Il fabbisogno dello Stato nei primi sei mesi è raddoppiato. Il governo non può fare una manovra a debito, e non ha a disposizione se non una piccola parte del denaro di cui necessita. La quarta rata del Pnrr, evidentemente indispensabile, deve arrivare entro dicembre, ma non è garantita. La spending review all’interno dei ministeri dà risultati quasi trascurabili.
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  10. Molte promesse elettorali, quindi, non potranno essere mantenute: gli interventi sulla materia fiscale (che vanno dalla riduzione del cuneo all’accorpamento dei due primi scaglioni Irpef) saranno di modesta entità per i cittadini, benché costose per lo Stato. Gli investimenti per scuola e sanità si profilano insufficienti. Grandi opere come il ponte sullo Stretto resteranno a dir poco sottofinanziate. Non è ancora chiaro dove verranno reperiti i denari mancanti, ma vale la pena riflettere sul modo con cui il governo gestisce il rapporto fra politica ed economia, su come si colloca nella scala delle possibili opzioni al riguardo.
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  12. Agli estremi ci sono da una parte il comunismo e dall’altra il liberismo, cioè l’economia di comando (fondata sulla tesi che il capitalismo produce contraddizioni insuperabili, che solo la politica può sanare, orientando amministrativamente produzione e consumi) e l’economia di mercato che, nelle forme più radicali di liberismo, si suppone sia in grado di fornire da sola un ordine dinamico alla società. In mezzo, molte sfumature. Che vanno dalla programmazione democratica di La Malfa (la “politica dei redditi”) all’ordoliberalismo tedesco, che affida a uno Stato forte la sorveglianza di alcune regole basiche (libera concorrenza e rigida disciplina di bilancio).
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  14. Ma nel nostro Paese abbiamo in realtà conosciuto ulteriori varianti, dal corporativismo fascista all’economia mista del secondo dopoguerra, in cui l’elemento progressista della “mano pubblica” si mescolava a un interventismo politico soft, con cui i partiti di governo (ma non solo) agevolavano settori economici amici. A quell’intreccio a volte sano e a volte clientelare di politica ed economia si è risposto, dopo Mani pulite, con le privatizzazioni delle imprese pubbliche, e con una fiducia negli “spiriti animali” del mercato (e col divieto europeo degli “aiuti di Stato“) che non ha impedito ulteriori commistioni, a loro volta oggetto di ulteriori contestazioni di carattere in senso lato populista.
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  16. Appunto la matrice (anche, ma non solo) populista del governo delle destre dovrebbe da una parte portare l’esecutivo a promuovere la spontaneità dell’agire economico, il più possibile sottratto alla politica. Il che a parole è avvenuto, in modi più che discutibili, sia con l’affermazione che “non si devono disturbare i produttori di ricchezza” sia con espressioni a dir poco infelici come la definizione delle tasse come “pizzo di Stato”. Una sorta di anarchismo economico che va perfino oltre il liberismo, quindi, come è evidente anche nell’opposizione al salario minimo. Il disordine economico, il far west, come scelta politica, si direbbe.
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  18. Ma d’altra parte il governo ha una matrice ideologica anche dirigistica, e sfodera quindi una robusta volontà di intervento politico nella materia economica. Sia con un provvedimento a sfondo comunicativo-spettacolare come la tassa sugli extra-profitti bancari (un brano della lotta contro la “plutocrazia finanziaria”), sia con un controllo strettamente accentrato sul Pnrr (la burocratizzazione, qui, è presente fin dall’origine), sia con una evidente parcellizzazione del suo intervento economico e fiscale sulla società.
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  20. Che è interpretata, dalla cultura politica della destra, più che come uno spazio fluido come un insieme di corporazioni - informali, ma sufficientemente delineate -, alcune delle quali (a titolo d’esempio, i tassisti o i balneari) più tutelate e altre meno (ancora a titolo d’esempio, i pensionati, ma anche larghi settori del pubblico impiego).
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  22. È quindi quella della destra una politica che entra volentieri nella materia economica particolarmente nella fase della crisi, ma è una politica del piccolo cabotaggio, dell’emergenza occasionale, del breve calcolo elettorale, priva di un piano organico o di un progetto di largo respiro, e soprattutto priva di un’idea di sviluppo che vada nella direzione che la Costituzione indica: la libertà economica, finalizzata alla “utilità sociale”, nell’ambito dell’obiettivo emancipativo che la Carta pone solennemente alla Repubblica. Ma ciò non sembra essere nell’orizzonte culturale della destra; e quindi ci muoveremo ancora a lungo fra stratagemmi di bilancio, espedienti retorici populistici e diseguaglianze reali politicamente orientate.
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