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a guest
Jun 24th, 2017
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  1. Dovrei, per questo libro già vecchio, scrivere una nuova prefazione: Confesso di non averne affatto voglia. Avrei un bel provarmici: finirei certamente col volerlo giustificare per quel che era e per reinscirverlo, nella misura del possibile, nell'oggi. Possibile o no, abile o no, non sarebbe onesto. Non sarebbe soprattutto conforme a quel che deve essere, rispetto a un libro, la riserva di chi l'ha scritto. Un libro si produce, avvenimento minuscolo, piccolo oggetto maneggevole. E' da questo momento preso in un gioco senza posa di ripetizioni; i suoi doppi, attorno e lontano da lui, si moltiplicano; ciascun lettore gli dà, per un istante, un corpo impalpabile e unico; frammenti circolano, che sono fatti passare per lui, che si dice lo contengano quasi tutto e nei quali alla fine gli capita di trovar rifugio; i commenti lo raddoppiano: altri discorsi in cui deve infine apparire lui stesso, riconoscere le cose che ha rifiutato di dire, liberarsi da quel che, rumorosamente, fingeva di essere. La riedizione in un altro tempo, in un altro luogo, è daccapo uno di questi doppi: né completa illusione né completa identità.
  2.  
  3. Per chi scrive il libro, grande è la tentazione di dettar legge a tutto quello sfarfallamento di simulacri, di prescriver loro una forma, provvederli di una identità, imporgli un contrassegno che dia a tutti un certo valore costante. "Sono l'autore; mirate il mio volto e o il mio profilo; ecco a che cosa dovranno rassomigliare tutte quelle figure raddoppiate che circoleranno sotto il mio nome; quelle che se ne allontaneranno, non varranno nulla; e il valore delle altre, è dal grado di rassomiglianza che voi potrete giudicarlo. Io sono il nome, la legge, l'anima, il segreto, la bilancia di tutti quei doppi". Scrive così la Prefazione, atto primo mediante il quale inizia a stabilirsi la monarchia dell'autore, dichiarazione di tirannia: la mia intenzione deve essere il vostro precetto; la vostra lettura, le analisi, le critiche, voi le piegherete a quel che io ho voluto fare, e sforzatevi di capire la mia modestia: quando parlo dei limiti della mia impresa, intendo limitare la vostra libertà. Sono il monarca delle cose che ho detto, su cui conservo una eminente sovranità: quella della mia intenzione e del senso che ho voluto loro attribuire.
  4.  
  5. Mi piacerebbe che un libro, almeno dalla parte di chi l'ha scritto, non fosse nient'altro che le frasi di cui è fatto; che non si sdoppiasse in quel primo simulacro di se stesso che è una prefazione, e che pretenda di imporre la propria legge a tutti coloro che negli anni a venire saranno formati da lui. Vorrei che questo oggetto-avvenimento, quasi impercettibile tra tanti altri, si ricopiasse, si frammentasse, si ripetesse, si simulasse, si raddoppiasse, sparisse infine senza che la persona cui è capitato di produrlo possa mai rivendicare il diritto di esserne il maestro, di imporre quel che voleva dire, né dire quel che doveva essere. In breve, mi piacerebbe che un libro non si assegnasse da sé quello statuto di testo cui la pedagogia o la critica sapranno ricondurlo; ma che avesse la scioltezza di presentarsi come discorso: battaglia e, insieme, arma, strategia e urto, lotta e trofeo o ferita, congiunture e vestigia, incontro irregolare e scena ripetibile.
  6.  
  7. Questo è il motivo per cui alla richiesta che mi è stata fatta di scrivere per questo titolo di nuovo edito una nuova prefazione, non ho potuto riprendere se non una cosa: sopprimiamo allora la precedente. L'onestà sarà questa.
  8.  
  9. -Ma avete fatto una prefazione.
  10.  
  11. -Almeno è breve.
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