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- ISAAC ASIMOV.
- TUTTI I RACCONTI.
- VOLUME PRIMO. Parte 2
- LA PROFESSIONE
- George Platen non riuscì a nascondere, nella sua voce, un fremito di
- desiderio; era troppo forte, perché potesse reprimerlo.
- - Domani è il primo maggio - disse. - Cominciano le Olimpiadi.
- Si girò, distendendosi sullo stomaco, e sbirciò il suo compagno di stanza.
- Possibile che quello non sentisse proprio niente? Che non gliene importasse
- niente?
- Il viso di George era scarno ed era diventato ancora più scarno, in quell'anno
- e mezzo trascorso lì dentro. Ma lo sguardo dei suoi occhi azzurri aveva la
- stessa intensità; solo, adesso aveva assunto una sfumatura di disperazione. Le
- sue dita si contrassero sulla coperta del letto.
- Il suo compagno di stanza gli lanciò un'occhiata, levando lo sguardo dal
- libro, e approfittò di quella diversione per regolare l'intensità della luce.
- Si chiamava Hali Omani ed era un nigeriano. La pelle scurissima e i lineamenti
- massicci sembravano fatti per la calma; e il fatto che George avesse parlato
- delle Olimpiadi non lo sconvolse minimamente...
- - Lo so, George - rispose.
- George doveva molto alla pazienza e alla gentilezza di Hali; ma questa volta
- la pazienza e la gentilezza erano eccessive. Non era il momento di restarsene
- lì immobile, come una statua costruita di caldo legno scuro!
- George si chiese se lui stesso sarebbe diventato così, dopo avere trascorso
- dieci anni lì dentro e respinse con violenza quel pensiero.
- - Mi sembra che tu abbia dimenticato quel che significa maggio - disse, in
- tono diffidente.
- - E invece lo ricordo benissimo - rispose l'altro. - Non significa niente. Sei
- tu, quello che lo dimentica. Maggio non significa niente per te, George
- Platen, e... - aggiunse quasi con dolcezza - non significa niente nemmeno per
- me, Hali Omani.
- - Stanno arrivando le navi per i reclutamenti - disse George. - Alla fine di
- giugno ne salperanno a migliaia, portando a bordo milioni di uomini e di
- donne, diretti verso tutti i mondi conosciuti, e questo secondo te non
- significa niente?
- - Meno che niente. E cosa posso farci, d'altra parte? - Omani seguiva con un
- dito un passo particolarmente difficile del libro che stava leggendo e le sue
- labbra si muovevano, senza suono.
- George lo fissava. Maledizione, pensò: grida, urla! Questo puoi farlo.
- Prendimi a calci, magari, ma fa' qualcosa!
- Ciò che desiderava, lui, era di non sentirsi così solo nella sua ira.
- Desiderava di non essere il solo a sentirsi pieno di risentimento, di non
- essere il solo a morire di quella lenta morte.
- Era stato molto meglio durante le prime settimane, quando l'universo era un
- piccolo guscio di luci e di suoni vaghissimi che si stringeva attorno a lui.
- Era stato molto meglio allora... prima che Omani lo raggiungesse e lo
- trascinasse di nuovo verso una vita che non meritava di essere vissuta.
- Omani era vecchio. Aveva per lo meno trent'anni. George si chiese se lui
- stesso sarebbe diventato così, quando avrebbe raggiunto la trentina, fra
- dodici anni.
- E poiché temeva di diventarlo davvero, gridò ad Omani: - Vuoi smetterla sì o
- no di leggere quello stupido libro?
- Omani girò la pagina, lesse ancora qualche parola, poi alzò il capo coronato
- di crespi capelli lanosi e chiese: - Come?
- - Cosa ti serve leggere quel libro? - Si girò verso Omani, sbuffa. - Ancora
- elettronica, eh? - E strappò il libro dalle mani dell'altro, lo gettò a terra.
- Omani si alzò lentamente, e raccolse il libro, lisciò una pagina sgualcita,
- senza apparente rancore.
- - Diciamo che serve a soddisfare la mia curiosità - disse. - Oggi ne capisco
- poco, e domani forse ne capirò di più. È una vittoria, in un certo senso.
- - Una vittoria. Che specie di vittoria? è questo che rappresenta la massima
- soddisfazione della vita, per te? Arrivare a sapere un quarto di quello che ne
- sa uno specialista in elettronica, prima che tu sia arrivato ai sessantacinque
- anni?
- - Forse prima di arrivare ai trentacinque.
- - Sì. Ma poi chi ti vorrà? Chi sarà disposto a darti un lavoro? Dove andrai?
- - Nessuno mi vorrà. Nessuno sarà disposto a darmi un lavoro. E non andrò in
- nessun posto. Rimarrò qui e leggerò altri libri.
- - E questo ti rende felice? Dimmelo. Tu mi hai trascinato a scuola. Mi hai
- insegnato perfino a imparare a memoria. Perché? Non c'è niente, in tutto
- questo, che mi renda felice.
- - Ma a cosa ti servirà rifiutare a te stesso queste soddisfazioni?
- - Significa che questa farsa mi ha seccato. Farà quello che avevo deciso di
- fare fin dal principio, prima che tu me ne tirassi fuori. Li costringerò a...
- a...
- Omani depose il libro. Lascia che l'altro si interrompesse, poi chiese: - A
- far cosa, George?
- - A correggere un errore. Una congiura ai miei danni. Voglio trovare
- quell'Antonelli e costringerlo ad ammettere che...
- Omani scosse il capo.
- - Tutti quelli che finiscono qui sostengono che c'è stato un errore. Credevo
- che avessi ormai superato quello stadio.
- - Non chiamarlo stadio - fece George, con violenza. - Nel mio caso si tratta
- della verità. Ti ho detto che...
- - Me lo hai già detto, sicuro; ma dentro di te sai benissimo che non c'è stato
- nessun errore, per quello che ti riguarda.
- - Perché nessuno vuole ammetterlo? Credi che siano disposti a riconoscere che
- si è trattato d'un errore, se non vi sono costretti? E va bene, li
- costringerò.
- Era il mese di maggio che induceva George a pensare così: era il mese delle
- Olimpiadi. Si sentì travolgere da un impeto di furore selvaggio e non poté
- respingerlo. Non voleva affatto respingerlo; non voleva correre il rischio di
- dimenticare.
- - Dovevo diventare un Programmatore per Calcolatori e posso diventarlo. Potevo
- esserlo già adesso, qualsiasi cosa dicano le analisi, secondo loro. Hanno
- torto. Debbono avere torto.
- - Gli analisti non hanno mai torto.
- - Debbono averlo. O metti in dubbio la mia intelligenza?
- - L'intelligenza non ha niente a che fare con tutto questo. Non te lo hanno
- detto e ripetuto? Non riesci a capirlo?
- George si ridistese, si girò sul dorso, fissò cupamente il soffitto.
- - Cosa volevi diventare tu, Hali?
- - Non avevo progetti definiti. Mi sarebbe piaciuto diventare Specialista in
- Idroponica, credo.
- - E pensavi di riuscirci?
- - Non ne ero sicuro.
- George non aveva mai rivolto domande di quel genere ad Omani, prima di allora.
- Lo colpì come una bizzarria quasi innaturale il fatto che altra gente avesse
- avuto grandi ambizioni e fosse finita, invece, li dentro. Specialista in
- Idroponica!
- - E pensavi che sarebbe andata così? - chiese ancora.
- - No; ma sono ugualmente finito qui.
- - E sei felice. Davvero, oh, davvero felice. Felicissimo. A te piace, tutto
- questo. Non cambieresti il tuo destino per tutto l'oro del mondo.
- Lentamente, Omani si alzò. Cominciò a disfare il suo letto, con diligenza.
- - George, tu sei un caso difficile - disse. - Finirai per rovinarti se
- continui a rifiutare l'evidenza della realtà. George, tu sei qui, in questo
- posto che chiami la Casa, ma non ti ho mai sentito pronunciare il suo nome,
- tutto intero. Prova a dirlo, George. Prova. Poi vai a letto e dormici sopra.
- George mostra i denti, digrignandoli. Poi gridò: - No!
- - Allora lo dirà io - ribatté Omani. E lo disse. Pronunciò ogni sillaba
- chiaramente, con attenzione.
- George ne provò una vergogna amara e profonda. E volse via il capo.
- Durante la maggior parte dei suoi diciotto anni di vita, George Platen aveva
- pensato fermamente a una sola cosa: a diventare Programmatore per Calcolatori.
- Tra i suoi compagni c'erano parecchi che parlavano di Navigazione Spaziale, di
- Tecnologia della Refrigerazione, di Controllo dei Trasporti e perfino di
- Amministrazione, ma George non cambiava idea.
- Discuteva con accanimento, come gli altri: il Giorno dell'Istruzione li
- attendeva, e rappresentava il fatto più importante della loro esistenza. Il
- Giorno dell'Istruzione era sempre più vicino: una data fissa nel calendario.
- Era il primo novembre dell'anno successivo al compimento del diciottesimo anno
- di ciascun essere umano...
- Trascorso quel giorno, c'erano altri argomenti comuni di conversazione. Si
- poteva discutere con gli altri di qualche particolare della professione, o
- delle qualità della moglie e dei figli, o dei risultati della propria squadra
- di polo spaziale, o delle proprie esperienze nelle Olimpiadi. Ma, prima, c'era
- un solo argomento che attirava l'interesse di tutti: il Giorno
- dell'Istruzione.
- - Cosa vuoi fare? Credi di farcela? No, non conviene proprio. Prova a guardare
- i dati: hanno decurtato le quote. Adesso la Logistica...
- Oppure "Adesso l'Ipermeccanica..." oppure "le Comunicazioni", oppure "le
- Scienze gravitazionali...".
- Specialmente le Scienze gravitazionali erano di moda. Tutti ne parlavano,
- negli anni che precedettero il Giorno dell'Istruzione di George: ed era per
- via del recente sviluppo dei motori gravitazionali.
- Qualsiasi mondo che si trovasse entro un raggio di dieci anni luce da una
- stella nana, era opinione generale, avrebbe dato un occhio della testa per un
- Ingegnere Gravitazionale di qualsiasi grado.
- Ma questo pensiero non aveva mai impressionato George. Sì, era possibile; ma
- George aveva sentito parlare di ciò che era già accaduto, in qualche ramo
- tecnico sviluppatosi di recente. Si era arrivati ben presto alla
- razionalizzazione e alla semplificazione: ogni anno venivano sfornati nuovi
- modelli, nuovi tipi di motori gravitazionali, nuovi princìpi. E tutti quei
- signori che se ne occupavano rischiavano di venire superati dai modelli più
- recenti, dalle più recenti teorie. E in questo caso, avrebbero dovuto
- accontentarsi di svolgere un lavoro non specializzato o di prendere servizio
- su qualche mondo poco importante e non ancora civilizzato.
- Ma i Programmatori per Calcolatori venivano richiesti da ogni parte, anno dopo
- anno, secolo dopo secolo. Sì, le richieste non erano mai state eccessivamente
- numerose; il "mercato" dei Programmatori non aveva mai raggiunto punte
- elevatissime; ad ogni modo le richieste continuavano ad aumentare, mano mano
- che nuovi mondi venivano civilizzati e che i mondi già conosciuti
- raggiungevano stadi di evoluzione superiore.
- Lui ne aveva discusso durante tutta la sua infanzia con Stubby Trevelyan; dal
- momento che erano amicissimi, i loro argomenti erano immutabili e velenosi e,
- naturalmente, nessuno dei due era mai riuscito a convincere l'altro.
- Ma Trevelyan si vantava di avere un padre che era Metallurgista e che aveva
- prestato servizio in uno dei Mondi Esterni, e un nonno che era stato a sua
- volta Metallurgista. Lui stesso era deciso a diventare Metallurgista: lo
- riteneva una specie di privilegio di famiglia ed era fermamente convinto che
- qualsiasi altra professione era un po' meno che rispettabile.
- - Il metallo esisterà sempre - diceva. - E ci saranno sempre leghe da
- preparare e strutture metalliche da controllare. Ma cosa fa un Programmatore?
- Se ne sta seduto tutto il giorno con un codice in mano, a fornire dati a una
- stupida macchina lunga un chilometro.
- Verso i sedici anni, George aveva imparato a rispondergli a tono: diceva,
- semplicemente: - Ci saranno milioni di Metallurgisti, oltre te!
- - Sicuro. Perché è una buona professione. La migliore, anzi.
- - Ma sarai uno in mezzo a tanti, Stubby. E puoi anche finire per trovarti
- molto indietro, in questa lunga fila. Qualsiasi mondo può formare i propri
- Metallurgisti, e le ricerche per i modelli più avanzati di tipo terrestre non
- sono molte. Per lo più, sono i piccoli mondi che li richiedono. Sai che
- percentuale di Metallurgisti viene assorbita dai Mondi di Grado A? Io ho
- controllato: è solo il 13,3 per cento. Il che vuol dire che tu hai sette
- probabilità su otto di finire su un mondo arrivato sì e no all'acqua corrente.
- Può darsi perfino che resti intrappolato sulla Terra. Capita al 2,3 per cento,
- sai?
- - Non è una disgrazia, restare sulla Terra - rispondeva Trevelyan in tono
- bellicoso. La Terra ha bisogno di tecnici. E di tecnici buoni. - Il nonno di
- Trevelyan era stato un Metallurgista che non aveva mai lasciato la Terra; e
- Trevelyan, a quel pensiero, si passava un dito sul labbro superiore, come per
- lisciarsi i baffi che non aveva ancora.
- George sapeva la storia del nonno di Trevelyan e, considerando che anche i
- suoi antenati non avevano mai lasciato la Terra, non era in condizioni di fare
- dell'ironia.
- - Non è una disgrazia. No, naturalmente - diceva, diplomatico. - Ma sarebbe
- bello andare in un mondo di Grado A, no? Prendi i Programmatori, per esempio.
- Soltanto i mondi di Grado A hanno calcolatori che richiedono la presenza di
- Programmatori di prima classe. Non è una professione che si adatti a tutti,
- capisci? Quei mondi hanno bisogno di Programmatori in numero superiore a
- quello che essi stessi possono fornire. Controlla le statistiche. C'è un solo
- Programmatore di prima classe su un milione. Un mondo che ha bisogno di venti
- Programmatori e ha una popolazione di dieci milioni deve mandare a cercare
- sulla Terra da cinque a quindici Programmatori. Giusto? E sai quanti
- Programmatori per Calcolatori sono stati destinati ai mondi di Grado A, lo
- scorso anno? Tutti, fino all'ultimo. Se sei un Programmatore, sei un eletto.
- Sissignore.
- Trevelyan si accigliava.
- - Ma se riesce soltanto uno su un milione, come puoi pensare di riuscirci
- proprio tu?
- - Ci riuscirò - rispondeva George, guardingo.
- Non osava dirlo a nessuno, né a Trevelyan né ai suoi genitori, perché lui si
- sentiva tanto sicuro. Ma non si preoccupava. Era sicuro di sé, e questo era il
- peggiore dei ricordi che gli era rimasto, nei tristi giorni che seguirono. Era
- sicuro di sé, come il ragazzino di otto anni che aspettava l'avvicinarsi del
- Giorno della Lettura... che rappresentava, per l'infanzia, ciò che il Giorno
- dell'Istruzione rappresentava per l'adolescenza.
- Naturalmente, il Giorno della Lettura era stato diverso. Innanzi tutto, era un
- avvenimento dell'infanzia. Un bambino di otto anni accetta senza difficoltà
- molte cose straordinarie. Un giorno non sai leggere e il giorno dopo, invece,
- sai leggere. Le cose andavano proprio così, proprio come il fatto che il sole
- splende in cielo.
- E poi, non era un avvenimento che portasse grandi conseguenze. Non c'era
- nessun reclutatore in attesa, che controllava gli elenchi e i punteggi per le
- prossime Olimpiadi. Un bambino o una bambina, dopo il Giorno della Lettura,
- era soltanto qualcuno che doveva ancora passare dieci anni di esistenza
- indifferenziata sulla superficie terrestre: era qualcuno che tornava a casa
- con una particolare abilità in più, ecco tutto.
- Quando arrivò il suo Giorno dell'Istruzione, dieci anni più tardi, George non
- era sicuro di ricordare esattamente tutti i dettagli del suo Giorno di
- Lettura.
- Ricordava chiaramente che era stato un malinconico giorno di settembre, questo
- sì. E ricordava che pioveva, anche. Settembre era il mese del Giorno della
- Lettura, novembre del Giorno dell'Istruzione. Maggio delle Olimpiadi. Ne
- parlavano perfino le filastrocche per bambini. George era stato vestito di
- tutto punto, e i suoi genitori erano molto più agitati di lui. Suo padre era
- un Posatubi che aveva sempre lavorato sulla Terra. Questo fatto aveva sempre
- costituito una umiliazione per lui... benché fosse evidente che in ogni
- generazione la maggioranza era costretta, comunque, a rimanere sulla Terra.
- Sulla Terra erano necessari gli agricoltori e i minatori, e perfino i tecnici.
- Soltanto le professioni più recenti e più altamente specializzate erano
- richieste sui Mondi Esterni, e, sugli otto miliardi di abitanti della Terra,
- soltanto pochi milioni di persone all'anno potevano emigrare. La maggior parte
- doveva rimanere, per forza di cose.
- Ma ciascuno poteva sperare, per lo meno, che uno dei suoi figli sarebbe
- riuscito; papà Platen non costituiva certamente una eccezione. Secondo lui - e
- anche secondo gli altri - George era molto intelligente e molto sveglio.
- Doveva riuscire bene, senza dubbio... anche perché era figlio unico. Se George
- non fosse riuscito a raggiungere uno dei Mondi Esterni, sarebbero stati
- costretti ad attendere la nascita di un nipote, perché la possibilità si
- ripresentasse... e questo era troppo lontano nel tempo, per offrire una valida
- consolazione.
- Naturalmente il Giorno della Lettura non provava molto; ad ogni modo era
- l'unica indicazione che si poteva avere, prima del Grande Giorno. Tutti i
- genitori della Terra avrebbero ascoltato con ansia il proprio figlio leggere,
- quando quello fosse ritornato a casa; avrebbero ascoltato quel flusso più o
- meno sicuro di parole, per trarne sicuri auspici per l'avvenire. Erano ben
- poche le famiglie che non si abbandonavano ai sogni più rosei se un bambino,
- dopo il Giorno della Lettura, era in grado di cavarsela bene con le parole di
- tre sillabe.
- George si rendeva conto, piuttosto vagamente, della tensione dei suoi
- genitori; e se provava una certa ansia, quella mattina, era soltanto perché
- temeva di veder svanire dal viso del padre quella espressione di speranza,
- quando lui fosse tornato a casa dopo aver imparato a leggere.
- I bambini furono radunati in una grande stanza, nel Palazzo dell'Istruzione.
- In tutta la Terra, in milioni di Palazzi come quello, durante quel mese, si
- sarebbero raccolti altri gruppi di bambini. George si sentiva depresso dal
- grigiore della stanza e dalla presenza degli altri bambini, tesi e irrigiditi
- nello sforzo di comportarsi bene.
- George, automaticamente, imitò gli altri. Vide il gruppetto dei bambini che
- abitavano nella sua stessa casa e li raggiunse.
- Trevelyan, che abitava nell'appartamento accanto al suo, portava ancora i
- capelli lunghi, e dovevano passare ancora molti anni prima che riuscisse a
- farsi crescere le basette e i baffi sottili che erano il suo sogno.
- - Scommetto che hai paura - disse Trevelyan.
- - E invece no - fece George. Poi, in tono confidenziale: - Sai, i miei hanno
- messo un pezzo di carta stampata sul cassettone, in camera mia, e, quando
- tornerò a casa, leggerò cosa c'è scritto. - George si sentiva molto
- imbarazzato perché non sapeva dove mettere le mani; gli avevano raccomandato
- di non grattarsi la testa o le orecchie o il naso e di non mettersi le mani in
- tasca: e questo eliminava quasi tutte le possibilità.
- Trevelyan mise le mani in tasca, e disse: - Mio padre non è preoccupato.
- Papà Trevelyan era stato Metallurgista su Diporia, nei sette anni precedenti,
- il che gli aveva conferito una superiore condizione sociale rispetto ai suoi
- vicini, anche se poi si era ritirato ed era ritornato sulla Terra.
- La Terra, di solito, non attirava molto questi reimmigrati, a causa del
- problema della sovrappopolazione; ma qualcuno ritornava. In primo luogo il
- costo della vita era molto più basso, sulla Terra, e quello che su Diporia
- rappresentava una entrata modesta, sulla Terra era un reddito considerevole.
- Per giunta, c'era sempre qualcuno che trovava maggior soddisfazione nel
- mostrare i propri successi agli amici e ai luoghi della propria infanzia
- piuttosto che a tutto il resto dell'universo.
- Papà Trevelyan aveva giustificato la sua decisione spiegando che, se fosse
- rimasto su Diporia, avrebbero finito per rimanerci anche i suoi figli, e
- Diporia era un mondo che in fin dei conti disponeva di una sola astronave. Ma,
- dal momento che era ritornato sulla Terra, i suoi figli avrebbero potuto
- arrivare su qualunque pianeta: perfino su Novia.
- Stubby Trevelyan aveva imparato presto la lezione. Anche prima del Giorno
- della Lettura, tutta la sua conversazione era basata sull'assunto che la sua
- destinazione finale sarebbe stata Novia.
- George, oppresso dal pensiero della futura grandezza altrui e della propria
- presente pochezza, si sentì indotto ad assumere un tono bellicoso.
- - Neanche mio padre è preoccupato. Ci tiene a sentirmi leggere perché sa già
- che leggerò bene, ecco. Credo che tuo padre, invece, preferisca non sentirti
- tanto presto perché sa già che leggerai male.
- - Lo dici tu. E leggere non conta niente. Quando sarò su Novia, stipendierò
- dei dipendenti perché leggano per me.
- - Perché non saprai leggere da solo, dal momento che sei stupido.
- - E se sono stupido, come farei ad andare su Novia?
- E George, trascinato per i capelli, pronunciò la frase storica: - E chi dice
- che andrai su Novia? Scommetto che tu non andrai da nessuna parte!
- Stubby Trevelyan arrossì.
- - Per lo meno, non diventerò un Posatubi come tuo padre.
- - Ritira quello che hai detto, stupido!
- - Ritira tu, quello che hai detto!
- Rimasero faccia a faccia: non avevano intenzione di azzuffarsi veramente, ma
- trovavano una specie di sollievo nell'avere qualcosa di familiare da fare, in
- quel posto insolito. Per giunta, nel momento in cui George aveva stretto i
- pugni e li aveva alzati con aria minacciosa aveva risolto, almeno
- temporaneamente, il problema che lo preoccupava: come tenere le mani. Gli
- altri bambini vennero attorno ai due litiganti, incuriositi.
- Ma tutto finì quando una voce di donna risuonò attraverso un sistema di
- altoparlanti. Di colpo scese il silenzio, nella stanza. George abbassò i pugni
- e dimenticò Trevelyan.
- - Bambini - disse la voce - fra poco vi chiameremo per nome. Quando uno di voi
- si sente chiamare, deve dirigersi verso uno degli uomini che vi aspettano
- vicino al muro. Li vedete? Indossano uniformi rosse, e non potete sbagliare.
- Le bambine andranno alla loro destra, i bambini alla loro sinistra. E adesso
- guardatevi attorno e stabilite quale tra quegli uomini è il più vicino a voi.
- George trovò il suo uomo alla prima occhiata e attese di essere chiamato: non
- era ancora familiarizzato con i misteri dell'alfabeto, e la lunga attesa
- cominciava a turbarlo.
- Il gruppo di bambini si assottigliò: poco per volta si dirigevano tutti verso
- le guide in uniforme rossa.
- Quando finalmente sentì chiamare "George Platen", il sollievo che ne provò fu
- soverchiato soltanto dalla soddisfazione di constatare che Stubby Trevelyan
- rimaneva ancora al suo posto; non lo avevano ancora chiamato, lui!
- George girò il capo, mentre si avviava, e gli gridò: - Ehi, Stubby, forse non
- ti vogliono.
- Ma quel momento di allegria svanì in fretta. Fu messo in fila insieme agli
- altri bambini e condotto lungo un corridoio. I bambini si guardavano l'un
- l'altro, con gli occhi sbarrati, ma oltre a frasi come "Non spingere" o "Ehi,
- stai attento", non parlavano fra di loro.
- Diedero loro dei fogli di carta e dissero di tenerli. George guardò
- incuriosito la sua scheda. Portava piccoli segni neri, di forme diverse...
- Sapeva che era stampata, ma come si poteva capire il significato delle parole?
- Non riusciva a immaginarlo.
- Gli dissero di spogliarsi. Adesso erano rimasti insieme soltanto lui e altri
- quattro bambini. Gli abiti nuovi caddero frusciando e i bambini rimasero nudi,
- rabbrividendo più di imbarazzo che di freddo. Arrivarono alcuni assistenti
- medici che li visitarono, li controllarono con certi strani strumenti,
- prelevarono loro un po' di sangue. Presero le schede e vi aggiunsero altri
- segni, servendosi di bastoncini neri: erano segni nitidi e allineati,
- tracciati velocemente: George guardò quei segni nuovi, ma gli riuscirono
- incomprensibili come gli altri.
- Poi i bambini ricevettero l'ordine di rivestirsi, di sedersi su una fila di
- seggiole e di aspettare ancora. Tornarono a chiamarli per nome: "George
- Platen" venne terzo.
- Entrò in una grande stanza, piena di strumenti spaventosi con tanti bottoni e
- tanti pannelli di vetro. Nel centro della stanza c'era una scrivania, e dietro
- la scrivania sedeva un uomo, intento a consultare un fascio di carte.
- - George Platen? - chiese.
- - Sì, signore - disse George, con un sussurro un po' tremulo. L'attesa,
- l'essere stato condotto di qua e di là lo avevano innervosito. Desiderava solo
- di finire in fretta.
- - Io sono il dottor Lloyd, George - disse l'uomo dietro la scrivania. - Come
- va?
- Non alzò gli occhi, nel parlargli. Probabilmente aveva già ripetuto quelle
- parole decine e decine di volte e non se la sentiva più di sollevare lo
- sguardo ogni volta.
- - Va bene.
- - Hai paura, George?
- - N-no, signore - disse George; ma era spaventato fino alle orecchie.
- - Benissimo - disse il dottore. - Non c'è niente di cui tu debba aver paura,
- qui. Vediamo un po', George. Sulla tua scheda risulta che tuo padre si chiama
- Peter ed è Posatubi e tua madre si chiama Amy ed è Casalinga. È giusto?
- - S-si, signore.
- - Tu sei nato il 13 febbraio e un anno fa hai avuto l'otite. Giusto?
- - Sì, signore.
- - Sai come faccio a sapere tutto questo?
- - C'è sulla scheda, signore, almeno credo.
- - Esatto. - Il dottore alzò per la prima volta lo sguardo su George, e
- sorrise. Sembrava più giovane del padre di George; un po' del nervosismo del
- bambino svanì.
- Il dottore passò la scheda a George.
- - Sai cosa significano tutti questi segni, George?
- George sapeva benissimo di non conoscerne il significato, ma fu così sorpreso
- da quella domanda che guardò la scheda, come se per una improvvisa decisione
- del destino gli fosse concesso di comprendere. Ma i segni restavano
- incomprensibili quanto prima. Restituì la scheda.
- - No, signore.
- - Perché no?
- George si sentì preso da un vago sospetto circa l'intelligenza del dottore.
- Non lo sapeva, lui, il perché?
- - Non so leggere, signore - disse.
- - Ti piacerebbe saper leggere?
- - Sì, signore.
- - E perché, George?
- George sbarrò gli occhi, perplesso. Nessuno gli aveva mai rivolto una simile
- domanda. Non riuscì a trovare una risposta. Disse, balbettando: - Non lo so,
- signore.
- - Le istruzioni scritte dirigeranno tutta la tua vita futura. Vi sono molte
- cose che dovrai imparare con questo mezzo, anche dopo il Giorno
- dell'Istruzione. Te lo insegneranno altre carte come questa. Te lo
- insegneranno i libri, gli schermi della televisione. La stampa ti insegnerà
- tante cose utili e interessanti che ti convincerai di questo: non essere in
- grado di leggere è come essere ciechi. Capisci?
- - Sì, signore.
- - Hai paura, George?
- - No, signore.
- - Bene. Adesso ti dirò quello che faremo. Ti poserò questi fili sulla fronte,
- proprio agli angoli degli occhi: aderiranno alla pelle, ma non ti faranno
- nessun male. Poi metterò in azione qualcosa che emetterà un ronzio. Sarà una
- cosa un po' strana e tu proverai un po' di solletico, ma non ti sentirai male.
- Se sentirai male, me lo dirai e io spegnerò l'apparecchio, ma vedrai che non
- proverai nessun dolore, davvero. Va bene così?
- George annuì, deglutendo a vuoto.
- - Sei pronto?
- George annuì ancora. Chiuse gli occhi, mentre il dottore si dava da fare. I
- suoi genitori gli avevano già spiegato tutto. Gli avevano assicurato che non
- faceva male, ma gli altri bambini avevano parlato diversamente. I ragazzini di
- dieci e dodici anni, che si facevano beffe dei bambini di otto anni in attesa
- del Giorno della Lettura... "Stai attento all'ago!" dicevano. Altri ti
- prendevano da parte con aria confidenziale e ti dicevano: "Ti apriranno la
- testa, vedrai. Useranno un coltello affilato grande così... che ha anche un
- uncino!" E continuavano a snocciolare altri dettagli orribili.
- George non l'aveva mai creduto davvero, ma aveva avuto spesso degli incubi:
- adesso chiuse gli occhi, in preda al terrore.
- Non sentì nemmeno i fili che si posavano sulle sue tempie. Il ronzio era un
- suono lontano, sommerso dal rombo del sangue che gli rumoreggiava nelle
- orecchie, e gli pareva di trovarsi in una immensa caverna. Si fece coraggio e
- aprì lentamente gli occhi.
- Il dottore gli volgeva le spalle. Da uno degli strumenti si srotolava una
- striscia di carta, coperta da una sottile linea rossa ondeggiante. Il dottore
- ne staccò alcuni pezzi, li inserì in un'altra macchina. Continuò così per un
- pezzo. Ogni volta ne usciva una striscia di pellicola, e il dottore la
- controllava attentamente. Finalmente si voltò verso George; cosa strana, aveva
- la fronte corrugata.
- Il ronzio cessò.
- - È finito? - chiese George, senza fiato.
- - Sì - rispose il dottore. Ma era ancora accigliato.
- - E adesso so leggere? - chiese ancora George. Non si sentiva per nulla
- diverso.
- - Come? - fece il dottore. Poi ebbe un sorriso rapido, improvviso. - È andata
- benissimo, George - disse. - Fra quindici minuti saprai leggere. Adesso
- useremo un'altra macchina e ci vorrà un po' più di tempo. Ti coprirò la testa
- con un casco, e quando metterò in azione la macchina tu non potrai né vedere
- né sentire niente per qualche minuto; ma non proverai dolore neppure questa
- volta. Ad ogni modo ti darò in mano un interruttore. Se provi dolore, non hai
- altro da fare che schiacciare il bottone e tutto finirà. D'accordo?
- Negli anni successivi, fu detto a George che l'interruttore era un trucco, e
- serviva soltanto per dare ai bambini un senso di sicurezza. Ma lui non lo
- seppe mai per certo, dal momento che non premette quel bottone...
- Il dottore gli posò sul capo una specie di elmetto curvo orlato di una
- striscia di gomma. Tre o quattro piccole sporgenze sembrarono, per un momento,
- addentargli la testa: ma si trattò di una pressione passeggera che subito si
- allentò. E non provò alcun dolore.
- - Va tutto bene, George? - La voce del dottore risuonò, un po' indistinta.
- Poi, senza preavviso, uno strato di feltro spessissimo si strinse attorno a
- lui. Si sentì disincarnato: non provava più alcuna sensazione, non esisteva
- più l'universo: c'era soltanto lui stesso e un mormorio lontano, ai confini
- del nulla, che gli ripeteva qualcosa, qualcosa, qualcosa...
- Si sforzò di ascoltare e di capire, ma fra lui e quella verità c'era lo spesso
- strato di feltro...
- Poi l'elmetto venne rimosso dal suo capo, e la luce era così splendente,
- adesso, che gli ferì gli occhi, mentre la voce del dottore gli risuonava
- altissima nelle orecchie.
- - Ecco la tua scheda, George - disse il dottore. - Cosa c'è scritto?
- George guardò di nuovo la sua scheda, ed emise un grido strozzato. I segni non
- erano più semplici segni. Componevano delle parole. Erano parole, e lui le
- capiva così chiaramente come se qualcuno gliele suggerisse all'orecchio. Le
- poteva udire sussurrate al suo orecchio, mentre le guardava.
- - Cosa c'è scritto, George?
- - C'è scritto... c'è scritto... Platen, George. Nato il 13 febbraio 6492, da
- Peter e Amy Platen, a... - Si interruppe.
- - Adesso sai leggere, George - disse il dottore. - È tutto finito.
- - Davvero? E non dimenticherò più come si fa a leggere?
- - No, naturalmente. - Il dottore si sporse a stringergli la mano, con molta
- serietà. - Adesso puoi tornare a casa.
- Ci vollero giorni e giorni perché George si abituasse a quella sua nuova,
- grande capacità. Leggeva con tanta facilità che suo padre pianse per la gioia
- e invitò tutti i parenti per riferire loro la grande notizia.
- George girò per tutta la città, leggendo tutte le scritte che poté trovare e
- chiedendosi come era possibile che quelle parole non avessero avuto un
- significato per lui, prima di allora.
- Tentò di ricordare il tempo in cui non era ancora capace di leggere, ma non ci
- riuscì. Per quello che pareva a lui, era sempre stato capace di leggere.
- Sempre.
- A diciotto anni, George era diventato più scuro di carnagione; era di media
- statura, ma era così snello che sembrava più alto. Trevelyan, che era di pochi
- centimetri più basso di lui, era costruito così solidamente che il soprannome
- Stubby sembrava ancora più appropriato; ma in quell'ultimo anno aveva
- decisamente respinto il soprannome. E, dal momento che non gli piaceva neanche
- il suo nome, ci teneva a farsi chiamare soltanto Trevelyan: oppure accettava
- qualche decente variante del suo cognome. E, per dimostrare di essere ormai
- diventato un uomo, si stava facendo crescere le basette e un paio di baffi
- ispidi.
- Adesso Trevelyan era sudato e nervoso e George trovava la cosa molto
- divertente.
- Si trovavano ancora nella stessa grande stanza nella quale erano entrati dieci
- anni prima e nella quale non avevano più rimesso piede. Era come se un vago
- sogno appartenente al passato fosse diventato improvvisamente realtà. Nei
- primi minuti, George si era stupito nell'accorgersi che tutto, lì dentro,
- sembrava più piccolo, meno imponente di come ricordava. Poi si rese conto che
- era lui a essere cresciuto, in quegli anni.
- I presenti erano molto meno numerosi, questa volta: erano soltanto ragazzi. Le
- ragazze dovevano presentarsi in un giorno diverso.
- Trevelyan si piegò verso di lui, per sussurargli: - Mi secca che ci facciano
- aspettare tanto.
- - È la burocrazia - disse George. - Non c'è niente da fare.
- - Uf - fece Trevelyan. - Come mai sei così paziente?
- - Non ho niente di cui preoccuparmi, ecco tutto.
- - Oh, fratello! Mi fai venir male. Spero che ti destinino a diventare uno
- Spargiconcime: voglio divertirmi a vedere con che faccia usciresti, allora! -
- I suoi occhi vagarono ansiosamente sulla piccola folla.
- Anche George si guardò intorno. Naturalmente si usavano sistemi diversi da
- quelli usati con i bambini. La procedura era più lunga, le direttive erano
- impartite per mezzo di fogli stampati. I loro due cognomi, Platen e Trevelyan
- erano ancora in fondo all'alfabeto, ma questa volta loro lo sapevano.
- Alcuni giovani uscivano dalle sale d'Istruzione, accigliati e a disagio,
- raccoglievano la loro roba, poi andavano nelle sale dell'analisi per conoscere
- i risultati.
- Man mano che uscivano, i giovani venivano circondati dagli altri ancora in
- attesa.
- - Com'è andata?
- - Come ti senti?
- - Ti senti diverso?
- Le risposte erano vaghe, evasive.
- George si costrinse a rimanere al proprio posto. Correre a interrogare gli
- altri serviva soltanto a farsi salire la pressione. Tutti dicevano che la cosa
- migliore era rimanersene calmi. Ma anche così, sentiva le palme delle mani
- diventare gelide. Era strano: sembrava che la tensione fosse più forte questa
- volta di dieci anni prima.
- Per esempio, i professionisti altamente specializzati diretti ai Mondi Esterni
- erano accompagnati dalla moglie... o dal marito. Era molto importante
- mantenere un equilibrio numerico fra i due sessi, su tutti i Mondi. E se eri
- destinato a un mondo di Grado A, nessuna ragazza ti avrebbe rifiutato. George
- non aveva in mente nessuna ragazza in particolare; nessuna gli interessava.
- Non adesso, almeno! Ma una volta che fosse diventato Programmatore, che avesse
- potuto aggiungere quel titolo al suo nome, allora avrebbe fatto la sua scelta,
- come un sultano in un harem. Quel pensiero lo sconvolse, e cercò di
- respingerlo. Era meglio mantenere la calma.
- - Chi ci capisce niente? - brontolò Trevelyan. - Prima ti dicono che ti andrà
- meglio se sei calmo e rilassato. Poi ti mettono qui ad aspettare, in modo da
- innervosirti più che possono.
- - Può darsi che facciano apposta; è un sistema per separare gli uomini dai
- ragazzi, tanto per cominciare. Non prendertela, Trev.
- - Oh, stai zitto.
- Venne il turno di George. Non fu chiamato: il suo nome apparve a lettere
- scintillanti su di un pannello.
- Lui fece un cenno di saluto a Trevelyan.
- - Non prendertela. Non lasciarti impressionare.
- Era felice, quando entrò nella stanza degli esami. Era veramente felice.
- L'uomo dietro la scrivania disse: - George Platen?
- Per un momento, nella memoria di George risorse l'immagine nitidissima di un
- altro uomo che dieci anni prima gli aveva rivolto la stessa domanda. Era come
- se si trattasse dello stesso uomo; come se lui, George, avesse di nuovo otto
- anni.
- Ma questa volta l'uomo alzò gli occhi, e il suo viso non ricordava nulla a
- George. Aveva il naso prominente, i capelli radi, il collo rugoso, come se si
- fosse sottoposto a una cura dimagrante troppo intensa.
- - Ebbene? - chiese l'uomo dietro la scrivania, in tono seccato
- George ridiscese sulla Terra.
- - Sono George Platen, signore.
- - Va bene. Io sono il dottor Zachary Antonelli; fra poco ci conosceremo
- meglio.
- Continuò a guardare alcune pellicole, reggendole controluce.
- George fremette, dentro di sé. Ricordò l'altro dottore... non ricordava più il
- suo nome, però... che aveva controllato a sua volta alcune pellicole... Chissà
- se queste erano le stesse. L'altro si era accigliato, guardandole, e questo
- adesso lo fissava come se fosse incollerito con lui.
- E la felicità di George svanì quasi completamente.
- Il dottor Antonelli sfogliò le pagine d'un fascicolo e ripose da una parte le
- pellicole.
- - Qui c'è scritto che vuoi diventare Programmatore per Calcolatori.
- - Sì, dottore.
- - Sei sempre della stessa idea?
- - Sì, dottore.
- - È un lavoro della massima responsabilità. Ti senti all'altezza?
- - Sì, dottore.
- - Molti dei giovani pre-istruiti non hanno preferenze. Credo che abbiano paura
- di sentirsi ridicoli.
- - Direi di sì, dottore.
- - E tu no?
- - Per essere sincero, no, dottore.
- Il dottor Antonelli annuì, ma la sua espressione non si schiarì affatto.
- - Perché vuoi diventare Programmatore?
- - È un lavoro della massima responsabilità, come ha detto lei, dottore. È un
- lavoro importante e interessante. Mi piace e penso che saprò svolgerlo.
- Il dottor Antonelli ripose il fascicolo e fissò George con aria acida.
- - Come fai a sapere che ti piace? - chiese. - Forse perché pensi che saresti
- destinato a un mondo di Grado A?
- "Sta tentando di innervosirmi" si disse George. "Debbo rimanere calmo e sicuro
- di me."
- E disse, a voce alta: - Credo che diventare Programmatore sia una ottima
- carriera, signore, ma anche se dovessi rimanere sulla Terra, mi piacerebbe lo
- stesso. - E questo era abbastanza vero: non sto affatto mentendo, si disse
- George.
- - E va bene, ma come fai a saperlo?
- Lo chiese come se fosse sicuro che lui non potesse rispondergli. E George
- riuscì a sorridere: perché lui aveva la risposta!
- - Ho letto molto sul lavoro dei Programmatori, dottore - disse.
- - Tu hai fatto che cosa? - Il dottore sembrava sinceramente sbalordito, e
- George se ne sentì compiaciuto.
- - Ho letto, dottore. Ho comprato un libro che tratta dell'argomento e l'ho
- studiato.
- - Un libro per Programmatori?
- - Sì, dottore.
- - Ma non puoi averlo capito!
- - In principio no. Così ho preso altri libri di matematica e di elettronica.
- Ho fatto del mio meglio. Non ne so ancora molto sull'argomento, ma ne so
- abbastanza per essere certo che questo lavoro mi piace e che sono in grado di
- svolgerlo. - Nemmeno i suoi genitori avevano mai scoperto il nascondiglio
- segreto di quei libri: non sapevano neppure perché passava tanto tempo chiuso
- nella sua stanza, rinunciando perfino ad ore di sonno.
- Il dottor Antonelli si passò una mano sul mento.
- - E cosa pensavi di ottenere, figliolo?
- - Volevo essere sicuro che il lavoro fosse interessante, dottore.
- - Dovresti sapere che provare interesse per un lavoro non significa niente.
- Potresti essere interessato a qualcosa fino al midollo delle ossa; ma se la
- struttura fisica del tuo cervello è tale da destinarti a diventare qualcosa
- d'altro, tu devi diventare qualcosa d'altro. Questo lo sapevi, no?
- - Me lo hanno detto - fece George, cautamente.
- - Bene, devi crederlo. È vero.
- George non disse nulla.
- - Oppure - fece il dottor Antonelli - credi che studiare qualcosa possa
- vincolare le cellule del tuo cervello nella direzione voluta? Allora credi
- anche che una donna incinta deve soltanto ascoltare continuamente qualche
- musica famosa per essere certa che suo figlio diventerà un compositore?
- George arrossì. Aveva pensato qualche cosa di simile: forzando costantemente
- il suo cervello nella direzione desiderata, si era sentito sicuro che avrebbe
- ottenuto quel che voleva. Gran parte della sua sicurezza era determinata
- proprio da quella convinzione.
- - Non ho mai... - cominciò, ma non sapeva come concludere.
- - Bene, non è vero. Buon Dio, giovanotto, il tuo schema cerebrale è fissato
- fin dalla nascita. Può essere alterato da un colpo abbastanza grave da
- danneggiare le cellule cerebrali, o dalla rottura d'un vaso sanguigno, o da un
- tumore, o da una grave infezione... e comunque può essere modificato soltanto
- in peggio. Ma non può essere certamente modificato dal fatto che tu pensi in
- un modo particolare. - Fissò George con aria meditabonda, poi chiese: - Chi ti
- ha detto di fare così?
- George si sentì sconvolto. Deglutì a vuoto.
- - Nessuno, dottore - disse. - È stata un'idea mia.
- - Chi ha saputo di quello che stavi facendo?
- - Nessuno. Dottore, ma io non volevo fare niente di male.
- - E chi dice che hai fatto male? Dovrei dire solo che è stato inutile. E
- perché hai mantenuto il segreto?
- - Io... io pensavo che avrebbero riso di me. - E pensò, improvvisamente, a una
- recente discussione con Trevelyan. George aveva fatto cenno alla sua idea, con
- molta cautela, come se si trattasse di un pensiero che lo aveva sfiorato molto
- vagamente. Aveva accennato alla possibilità di imparare qualcosa, così,
- assorbendo le nozioni un po' per volta. E Trevelyan aveva gridato: - George,
- fra poco pretenderai di tingerti da solo le scarpe e di tesserti da solo le
- camicie - E lui era stato così contento di aver custodito il segreto.
- Il dottor Antonelli spinse da parte le strisce di pellicola che poco prima
- aveva esaminato con tanta attenzione. Poi disse: - Adesso ti analizzerò. Tutto
- questo non mi ha condotto a nulla.
- I fili furono applicati sulla fronte di George; e vi fu di nuovo quel ronzio.
- Di nuovo il ricordo di dieci anni prima gli si affacciò alla mente,
- fortissimo.
- George si sentiva le mani umide di sudore, il cuore pesante. Adesso pensava
- che avrebbe fatto meglio a non raccontare tutto al dottore.
- Era stata colpa della sua maledetta vanità, si disse. Aveva voluto dimostrare
- quant'era intraprendente e pieno di iniziativa. Invece, si era mostrato
- superstizioso e ignorante, e aveva finito per attirarsi l'ostilità del
- dottore. (Capiva che il dottore l'aveva trovato antipatico, a voler fare così
- il sapientone.)
- Era arrivato a un tale stadio di nervosismo che ormai - ne era certo -
- l'analizzatore non avrebbe mostrato nulla che avesse senso.
- Non si accorse dell'attimo in cui i fili gli furono rimossi dalle tempie. La
- figura del dottore che lo fissava pensieroso giunse fino al livello della sua
- coscienza e soltanto allora si rese conto che i fili erano stati rimossi.
- George si riprese, a fatica. Aveva già rinunciato alla sua ambizione di
- diventare Programmatore. Il suo sogno era svanito in dieci minuti.
- - No, vero? - chiese, malinconicamente.
- - No che cosa?
- - Non diventerò Programmatore?
- Il dottore si passò la mano sul viso.
- - Raccogli la tua roba e vai nella stanza 15-C. C'è il tuo fascicolo che ti
- aspetta, là. E fra poco arriverà anche il mio rapporto.
- - Sono già stato Istruito? - chiese George, in preda allo sbalordimento. -
- Pensavo che fosse...
- Il dottor Antonelli fissò il piano della scrivania.
- - Ti sarà spiegato tutto più tardi. Fai come ti ho detto.
- George provò qualcosa che somigliava al panico. C'era forse qualcosa che non
- potevano dirgli? Forse non era adatto ad altro se non a diventare Manovale.
- Forse stavano cercando di prepararlo proprio a questo...
- Ne fu certo, improvvisamente, e soltanto a forza riuscì a proibirsi di
- gridare.
- Ritornò al suo posto, ad aspettare. Trevelyan non c'era più; un fatto che gli
- avrebbe dato un certo sollievo, se fosse stato in sé fino al punto di
- accorgersi di ciò che lo circondava. Se ne erano andati quasi tutti, infatti,
- e quei pochi che rimanevano gli avrebbero senza dubbio rivolto qualche
- domanda, se non fossero stati trattenuti dai suoi sguardi di furore e di odio.
- Che diritto avevano, quelli, di diventare Tecnici, mentre lui era destinato a
- diventare Manovale? Manovale? Ormai ne era sicuro!
- Una guida in uniforme rossa lo condusse lungo un corridoio su cui si aprivano
- le varie stanze; e dentro vi sedevano piccoli gruppi in attesa; là due, qua
- cinque ragazzi. I Meccanici Motoristi, gli Ingegneri Edili, gli Agronomi...
- C'erano centinaia di Professioni Specializzate: quasi tutte sarebbero state
- rappresentate da uno o due ragazzi al massimo, in quella cittadina.
- E li odiò tutti: gli Statisti, i Contabili, i più Istruiti e i meno Istruiti.
- Li odiò perché adesso loro possedevano una Istruzione specializzata,
- conoscevano il proprio destino, mentre lui, ancora privo di Istruzione, doveva
- affrontare chissà quale specie di procedura burocratica.
- Raggiunse la stanza 15-C, vi entrò e fu lasciato solo nella stanza vuota. Per
- un attimo, si sentì rivivere. Se quella fosse stata la stanza dei Manovali, vi
- sarebbero stati altri giovani, a dozzine.
- Una porta scivolò nell'intercapedine e un uomo anziano, dai capelli bianchi,
- entrò nella stanza. Sorrise, mostrando i denti evidentemente falsi, ma il suo
- volto era ancora roseo e la sua voce vigorosa.
- - Buona sera, George - disse. - Vedo che sei l'unico in questo settore, questa
- volta.
- - L'unico? - chiese George, cupo.
- - Naturalmente ve ne sono migliaia sulla Terra. Migliaia. Non sei il solo.
- George si sentì travolgere dall'esasperazione.
- - Non capisco, signore - disse. - Come sono stato classificato? Cos'è
- successo?
- - Calmati, figliolo. Hai ragione. Ma può capitare a tutti. - Tese la mano e
- George gliela strinse, meccanicamente. Era calda e ferma. - Siedi, figliolo.
- Io sono Sam Ellenford.
- George annuì, impaziente.
- - Vorrei sapere cosa sta succedendo, signore.
- - Già. Tanto per cominciare, non puoi diventare Programmatore per Calcolatori,
- George. Forse l'avevi già indovinato.
- - Sì. - fece George, con amarezza. - E cosa diventerò allora?
- - Questo è difficile da spiegare, George. - Il vecchio fece una pausa, poi
- disse, chiaramente: - Nulla.
- - Come?
- - Nulla.
- - Ma cosa significa? Perché non possono assegnarmi una Professione?
- - Non abbiamo scelta, George. È la struttura della tua mente a decidere, in
- questo caso.
- George illividì, e gli occhi quasi gli schizzarono dall'orbita.
- - C'è qualcosa che non va, nella mia mente?
- - C'è qualcosa, effettivamente. È una struttura anomala. E, dal punto di vista
- della classificazione professionale, diciamo pure che è qualcosa che non va.
- - Ma perché?
- Ellenford scrolla le spalle.
- - Sono certo che tu conosci come funziona il Programma dell'Istruzione, sulla
- Terra. In pratica qualsiasi essere umano può assorbire qualsiasi complesso di
- nozioni, ma lo schema individuale di ciascun cervello è più adatto a ricevere
- un certo tipo di nozioni piuttosto di un altro. Noi tentiamo di abbinare le
- menti alle nozioni che più si addicono loro, compatibilmente con i limiti
- delle quote richieste per ciascuna professione.
- - Sì, lo so - annuì George.
- - Ogni tanto, vedi, ci imbattiamo in qualche giovane che non è adatto a
- ricevere una Istruzione di nessun genere.
- - Vuol dire che io non posso essere Istruito?
- - Esattamente.
- - Ma è pazzesco. Io sono intelligente. Sono in grado di capire... - Cercava
- disperatamente un modo qualsiasi per dimostrare di essere in possesso di un
- cervello funzionante.
- - Non mi fraintendere, ti prego - disse gravemente Ellenford. - Tu sei
- intelligente. Nessun dubbio in proposito. Tu hai una intelligenza addirittura
- superiore alla media. Ma, disgraziatamente, questo non ha nulla a che vedere
- con la capacità che ha una mente di ricevere una Istruzione. Infatti, quelli
- che finiscono qui sono quasi sempre persone intelligentissime.
- - Vuol dire che non potrà nemmeno diventare un Manovale? - balbettò George.
- Improvvisamente, persino la prospettiva di diventare Manovale era migliore...
- migliore di quel nulla che gli si spalancava davanti. - Cosa bisogna sapere
- per essere un Manovale?
- - Non sottovalutare i Manovali, giovanotto. Vi sono dozzine e dozzine di sotto
- classificazioni, ed ogni branca ha il suo particolare bagaglio di nozioni
- dettagliate. Credi che non occorra una particolare abilità per sapere il modo
- migliore per sollevare un peso? Per giunta, quando scegliamo i Manovali, non
- badiamo soltanto a scegliere le menti adatte, ma anche i fisici adatti. Tu non
- sei il tipo, George; non resisteresti a lungo, se facessi il Manovale.
- George sapeva benissimo di non essere molto robusto. Tentò, ancora: - Ma io
- non ho mai sentito parlare di nessuno che non avesse una professione.
- - Non sono molti, infatti - ammise Ellenford. - E noi li proteggiamo.
- - Li proteggete? - George si sentì crescere, dentro, lo sbigottimento e la
- paura.
- - Tu sei affidato alla custodia del pianeta, George. Dal preciso momento in
- cui hai varcato quella porta, noi ti abbiamo preso in custodia. - E sorrise.
- Era un sorriso affettuoso. Ma a George sembrò un sorriso di padronanza: il
- sorriso di un adulto verso un bambino indifeso.
- - Vuol dire che finirò in una prigione? - chiese.
- - No, naturalmente. Andrai con gli altri come te.
- Come te. Quelle parole suonarono come un tuono nell'orecchio di George.
- - Tu hai bisogno di un trattamento speciale - disse Ellenford. - Ci prenderemo
- cura di te.
- George scoppiò in lacrime; piangeva e provava orrore del suo pianto. Ellenford
- si diresse verso l'estremità opposta della stanza e guardò altrove, come
- assorto in chissà quale pensiero.
- George riuscì a fermare il suo pianto disperato; singhiozzò ancora un po', poi
- represse anche i singhiozzi. Pensò a suo padre e a sua madre, ai suoi amici, a
- Trevelyan, alla propria vergogna...
- - Ma ho pure imparato a leggere! - disse, in tono di ribellione.
- - Chiunque abbia una mente integra ci riesce. Non abbiamo mai scoperto una
- sola eccezione. È a questo stadio che noi scopriamo... le eccezioni. E quando
- hai imparato a leggere, George, abbiamo incominciato ad occuparci del tuo
- schema mentale. Certe particolarità sono state riferite, già allora, dal
- dottore incaricato.
- - Ma non potete tentare di Istruirmi? Non avete nemmeno provato! Sono disposto
- a correre il rischio.
- - La legge ce lo proibisce, George. Senti, non sarà poi così orribile.
- Spiegheremo tutto ai tuoi familiari, in modo che non se ne addolorino. E nel
- luogo in cui sarai condotto, godrai di parecchi privilegi. Ti daremo dei libri
- e tu potrai imparare quello che vuoi.
- - Oh, si. Imparerò a questo modo, vero? - fece George, in tono amaro. - Un po'
- per volta. E forse prima di morire ne saprò abbastanza per diventare
- Fattorino!
- - Mi sembra di capire che tu hai già letto parecchi libri, no?
- George si sentì gelare: l'improvvisa certezza lo colpì, devastandogli l'anima.
- - È stato...
- - Cosa è stato?
- - Quel tipo. Antonelli. È lui che mi ha giocato questo lurido scherzo.
- - No, George. Ti sbagli.
- - Non venga a raccontarmelo! - George era in preda al furore - Quel
- pidocchioso bastardo mi ha silurato perché ero troppo intelligente, per lui.
- Ho già letto parecchi libri e ho tentato di farmi una cultura perché volevo
- diventare Programmatore. Bene, cosa vuole per sistemare le cose? Denaro? Non
- ne avrà. Me ne andrò di qui e quando avrò raccontato a tutti quello che...
- Gridava, adesso.
- Ellenford scosse il capo e toccò un pulsante.
- Due uomini entrarono in punta di piedi, vennero ai fianchi di George e
- l'afferrarono per le braccia. Uno di loro azionò una ipodermica
- appoggiandogliela nel cavo del gomito e l'ipnotico gli entrò nelle vene,
- producendogli un effetto quasi immediato.
- Le grida di George si smorzarono, il capo gli ricadde, le ginocchia si
- piegarono; si addormentò, mentre i due uomini continuavano a sorreggerlo.
- Si presero cura di lui, come avevano promesso; erano premurosi, buoni, sempre
- gentili... proprio nello stesso modo in cui lui stesso si sarebbe comportato
- verso un gattino malato che destasse la sua pietà.
- Gli dissero che doveva svegliarsi e prendere interesse alla vita; e gli
- dissero anche che tutti gli ospiti della Casa, all'inizio, erano portati alla
- disperazione, ma che poi se ne liberavano...
- Ma lui non li ascoltava nemmeno.
- Il dottor Ellenford venne a trovarlo: i suoi genitori, gli disse, erano stati
- informati che lui era dovuto partire per un incarico speciale.
- - Ma sanno... - mormorò George.
- Ellenford lo rassicurò: - Non abbiamo riferito i particolari.
- In principio, George rifiutò di mangiare. Lo nutrirono per ipodermoclisi. Gli
- tolsero tutti gli oggetti taglienti e lo tennero sotto costante vigilanza. Gli
- diedero Hali Omani come compagno di stanza; e la sua stolidità ebbe un effetto
- calmante.
- Un giorno, più che altro per sopraffare la noia, George chiese un libro.
- Omani, che leggeva ininterrottamente, lo guardò con un ampio sorriso. Per poco
- George non si rimangiò la richiesta, per non dare una soddisfazione a quella
- gente, poi pensò: "Ma che me ne importa?"
- Non aveva specificato che genere di libro gli interessava, e Omani gli porta
- un volume di chimica. Era stampato a grosse lettere, con poche parole e molte
- illustrazioni; era un libro per ragazzi. Lui scagliò il libro contro il muro,
- con violenza.
- Ecco cosa sarebbe stato, lui, e per sempre: un ragazzino, un ragazzino, per
- tutta la vita. Un pre-Istruito per sempre. Gli avrebbero dato libri speciali.
- Si buttò sul letto, fissando il soffitto. Dopo un'ora si alzò, svogliatamente,
- raccolse il libro e cominciò a leggerlo.
- Gli occorse una settimana, per finirlo, e ne chiese un altro.
- - Vuoi che riporti indietro questo? - chiese Omani.
- George si accigliò. In quel libro c'erano cose che non aveva compreso, ma si
- vergognava di ammetterlo.
- - Pensaci sopra, forse è meglio che tu lo tenga - disse Omani. - I libri sono
- fatti per essere letti e riletti.
- Quello stesso giorno accettò l'invito di Omani che voleva condurlo a visitare
- l'edificio. Seguì il nigeriano ed esplorò tutto quello che c'era da esplorare,
- guardandosi intorno con occhiate gelide e ostili.
- Quel posto non era certo una prigione. Non c'erano muri di cinta, né porte
- chiuse a chiave, né guardie. Ma era pur sempre un carcere, dal momento che gli
- ospiti non avevano nessun posto, fuori di lì, dove potessero andare.
- In un certo senso era un sollievo vedere che c'erano altri, lì dentro, oltre a
- lui. Era troppo facile pensare che lui era l'unico al mondo ad essere così...
- così minorato.
- - Siamo in molti, qui dentro? - mormorò.
- - Duecentocinque, George. E questo non è l'unico istituto del genere, al
- mondo. Ce ne sono migliaia.
- Gli altri alzavano lo sguardo, mentre lui passava, dovunque fosse diretto: in
- palestra, al campo da tennis, in biblioteca... non aveva mai immaginato che
- esistessero tanti libri; erano accatastati, proprio accatastati, negli
- scaffali lunghissimi. Tutti lo fissavano incuriositi, e lui restituiva quegli
- sguardi, con aria aggressiva. Per lo meno loro non erano migliori di lui. Per
- lo meno loro non lo guardavano come se fosse una specie di bestia rara.
- Erano quasi tutti sulla ventina.
- - Dove vanno a finire i più anziani? - chiese George, all'improvviso.
- - Questo posto è riservato ai più giovani - spiegò Omani. Poi, come se si
- fosse reso improvvisamente conto delle implicazioni insite nella domanda di
- George, scosse il capo con aria grave e disse: -
- Non vengono buttati in mezzo alla strada, se è questo che intendi. Ci sono
- altre Case, per i più anziani.
- - E cosa me ne importa? - mormorò George; sentiva che non doveva mostrarsi
- troppo interessato, troppo vicino alla resa.
- - Dovrebbe importarti, invece. Quando sarai più vecchio, ti troverai in una
- Casa che ha ospiti di entrambi i sessi.
- Questo stupì George.
- - Anche le donne?
- - Naturalmente. Credevi che le donne fossero immuni da questo?
- George rifletté; si sentiva più interessato, a questo particolare, di quanto
- si fosse mai sentito interessato a qualcosa fino dal giorno in cui... ma
- respinse in fretta quel pensiero.
- Omani si fermò sulla porta d'una stanza nella quale si trovavano un piccolo
- televisore a circuito chiuso e un calcolatore portatile. C'erano cinque o sei
- giovani seduti davanti al televisore.
- - Questa è una classe - disse Omani.
- - Questa è che cosa?
- - I giovani che vivono qui dentro vengono istruiti. Ma - aggiunse, in fretta -
- non nel modo solito.
- - Vuoi dire che debbono imparare un po' per volta?
- - Esatto. Nei tempi antichi tutti imparavano in questo modo.
- Questo glielo avevano detto e ripetuto fino dal primo momento, ma cosa
- contava? C'era stato anche un tempo in cui l'umanità non aveva ancora scoperto
- i forni diatermici. Questo significava forse che lui doveva essere contento di
- mangiare carne cruda, mentre tutti gli altri la mangiavano cotta?
- - E perché ci tengono a imparare un po' per volta? - chiese.
- - Per passare il tempo, George. E perché sono curiosi.
- - Ma che utilità ne avranno?
- - Li aiuterà a sentirsi più felici.
- George andò a dormire rimuginando dentro di sé quell'affermazione.
- E il giorno dopo disse sgarbatamente ad Omani: - Puoi portami in una classe
- dove possa imparare qualcosa sulla Programmazione?
- - Sicuro - disse Omani, di slancio.
- Era un sistema lentissimo, e questo lo infastidiva. Perché era necessario che
- qualcuno gli spiegasse le cose e gliele rispiegasse ancora? Perché doveva
- leggere e rileggere certi passi particolarmente difficili e perché doveva
- fissare una equazione matematica e non capirla? Gli altri non erano costretti
- a imparare in quel modo!
- Finì per rinunciare. Disertò le lezioni per una settimana intera.
- Ma poi ritornò. Il funzionario incaricato che assegnava le letture, effettuava
- le dimostrazioni televisive e spiegava i passi e i concetti più difficili, non
- fece mai il minimo commento al suo modo d'agire.
- Finalmente gli fu assegnato un compito nella cura del giardino; fu assegnato
- ai vari turni, in cucina. Gli fu detto che questo rappresentava un progresso
- per lui, ma lui non ne era convinto. Quel posto avrebbe potuto essere più
- meccanizzato di quello che era, ma sembrava che facessero apposta ad assegnare
- certi lavori ai giovani ospiti, per dare loro l'illusione di avere
- un'occupazione, di rendersi utili. George non si lasciava imbrogliare.
- Veniva corrisposta agli ospiti persino qualche piccola somma di denaro, che
- serviva per acquistare qualche articolo voluttuario o che poteva venire messa
- da parte, in previsione di qualche problematica utilizzazione nella loro
- vecchiaia. George conservò il suo denaro in una scatola aperta, che teneva su
- un ripiano del suo armadietto. Non aveva nemmeno un'idea dell'entità della
- somma che aveva accumulato: e non gliene importava.
- Nort si fece dei veri amici, anche se raggiunse lo stadio in cui era cosa
- normale scambiare con gli altri un cortese "buongiorno". Smise di rimuginare -
- o per lo meno, smise quasi di rimuginare - sull'ingiustizia che era stata
- consumata ai suoi danni. Trascorse settimane intere senza sognare di
- Antonelli, del suo grosso naso e del suo collo grinzoso, dello sguardo maligno
- che gli brillava negli occhi, mentre gettava George nelle sabbie mobili e ve
- lo lasciava immerso, fino a che si svegliava urlando e vedeva Omani chino su
- di lui, preoccupato...
- - È straordinario vedere come ti stai adattando - gli disse Omani, in una
- nevosa giornata di febbraio.
- Era il tredici di febbraio, per essere esatti; il giorno del suo
- diciannovesimo compleanno. Venne marzo, e poi aprile, e quando maggio fu
- vicino, si rese conto che lui non si era adattato affatto.
- Il maggio precedente era trascorso inosservato, perché George in quel periodo
- se ne stava disteso sul letto, desolato, privo di ambizioni. Ma questo maggio
- era diverso.
- Su tutta la Terra, George lo sapeva, si sarebbero svolte le Olimpiadi, e tutti
- i giovani vi avrebbero preso parte, provando uno contro l'altro le proprie
- capacità, nella lotta per conquistarsi un posto in un mondo nuovo. Vi sarebbe
- stata un'atmosfera di festa, e gli agenti di reclutamento venuti dai mondi al
- di là dello spazio e il trionfo della vittoria e le consolazioni della
- sconfitta.
- Quasi tutta la narrativa parlava di questi argomenti; e i ricordi più
- eccitanti della sua infanzia erano legati agli eventi delle Olimpiadi, anno
- dopo anno; e quasi tutti i suoi progetti per l'avvenire...
- George Platen non riusciva a nascondere, nella sua voce, un fremito di
- desiderio: era troppo forte perché potesse reprimerlo.
- - Domani è il primo maggio - disse. - Cominciano le Olimpiadi.
- Questo portò al suo primo litigio con Omani e all'amara enunciazione del nome
- esatto dell'istituto in cui George si trovava.
- Omani guardò fisso George e sillabò, con estrema chiarezza: - Una Casa per
- Minorati Mentali.
- George Platen arrossì. Minorati mentali!
- Respinse quel pensiero, disperatamente.
- - Me ne vado - disse, senza alzare la voce. Lo disse d'impulso. Si rese conto
- del significato delle sue parole soltanto dopo averle pronunciate.
- Omani, che era ritornato ad occuparsi del libro, rialzò ancora lo sguardo.
- - Cosa?
- Adesso George sapeva quel che diceva. E ripeté, fieramente: - Me ne vado.
- - È ridicolo. Siediti, George. Calmati.
- - Oh, no. Sono qui perché c'è stata una congiura ai miei danni, ti ripeto.
- Quel dottore, Antonelli... non gli sono andato a genio. E a quei cari
- burocrati piace manifestare la loro potenza in questo modo. Se li indisponi,
- sono capaci di cancellare tutta la tua vita con un solo tratto di penna sulla
- tua scheda.
- - Ricominci con questa storia?
- - Sì, e continuerò fino a che non ne sarò venuto a capo. Voglio andare da
- Antonelli per costringerlo a dire la verità. - George respirava a fatica: si
- sentiva in preda a una specie di febbre. Era il mese delle Olimpiadi e lui non
- poteva lasciarlo trascorrere invano. Se lo avesse fatto, sarebbe stata la resa
- definitiva, e lui sarebbe stato perduto, per sempre.
- Omani gettò le gambe giù dal letto, pigramente, e si alzò. Era alto un metro e
- ottanta e l'espressione del suo viso gli dava l'aspetto di un premuroso
- sanbernardo. Posò un braccio sulla spalla di George.
- - Se ho detto qualcosa che ti ha fatto dispiacere...
- George si liberò, di scatto.
- - Tu hai detto quella che secondo te era la verità, ma io voglio dimostrare
- che non è affatto la verità. Perché non dovrei andarmene? La porta è aperta.
- Non ci sono sbarre, qui. Nessuno mi ha mai detto che non posso andarmene. E io
- me ne vado, ecco.
- - E va bene, ma dove vuoi andare?
- - All'aeroporto più vicino, e di là al Centro Olimpico più vicino. I quattrini
- non mi mancano. - E prese dall'armadietto il denaro che vi aveva riposto.
- Qualche moneta gli cadde dalle dita, rotolò sul pavimento.
- - Ti basterà per una settimana, forse. E poi?
- - Prima di allora avrò sistemato tutto.
- - Prima di allora sarai ritornato qui - disse Omani. - E dovrai ricominciare
- tutto da capo. Sei impazzito. George.
- - Poco fa hai detto che sono un minorato mentale.
- - Bene, mi dispiace di averlo detto. Resta qui.
- - Stai cercando di fermarmi?
- Omani strinse le labbra.
- - No, non mi ci proverò nemmeno. È una faccenda che riguarda te e nessun
- altro. Se l'unico mezzo per farti intendere la ragione è lasciare che te ne
- vada di qui per imparare a tue spese, ebbene, vai. Vai, ti ho detto.
- George aveva raggiunto la porta; girò il capo per guardare Omani.
- - Me ne vado. - E tornò indietro per prendere la valigetta. - Spero che non
- avrai niente da obiettare se porto via la mia roba.
- Omani scrollò le spalle. Aveva ripreso a leggere, ostentando la massima
- indifferenza.
- George esitò ancora, quando fu giunto alla porta, ma Omani non alzò gli occhi.
- George, digrignando i denti, si voltò di scatto, si incamminò lungo il
- corridoio vuoto e uscì, nella notte.
- Aveva immaginato che lo avrebbero fermato prima che lasciasse l'Istituto, ma
- nessuno lo fermò. Sostò in un ristorante che rimaneva aperto tutta la notte
- per farsi indicare la strada per l'aeroporto; aveva immaginato che il
- proprietario chiamasse la polizia, ma non accadde nulla di simile. Prese un
- elitassì per farsi portare all'aeroporto, e il pilota non gli rivolse domande.
- Ma tutto questo non gli diede il minimo sollievo. Quando giunse all'aeroporto,
- si sentì stringere il cuore. Non si era reso conto, fino a quel momento, della
- realtà del mondo che lo circondava: un mondo popolato da professionisti. Il
- proprietario del ristorante aveva il suo nome scritto sull'etichetta di
- plastica applicata sul registratore di cassa: Tal dei Tali, Cuoco. E l'uomo
- dell'elitassì teneva la sua licenza bene in vista: Tal dei Tali, Pilota.
- George pensò al suo nome, così spoglio; gli parve di essere nudo. Peggio, gli
- parve di sentirsi scuoiato. Ma nessuno lo affrontò, nessuno gli diede noia.
- Nessuno lo guardò con sospetto e gli chiese quale fosse la sua classificazione
- professionale.
- Forse, pensò con amarezza, questo avveniva perché non era possibile immaginare
- che esistesse al mondo un solo uomo che ne fosse privo...
- Acquistò un biglietto per l'aereo delle tre, diretto a San Francisco. Nessun
- altro aereo diretto a un Centro Olimpico partiva prima del mattino, e lui
- preferiva aspettare il meno possibile. Rimase seduto, in attesa, a disagio,
- temendo di veder sopraggiungere i poliziotti da un momento all'altro. Ma i
- poliziotti non arrivarono.
- Giunse a San Francisco prima di mezzogiorno. Il rumore della città lo colpì
- quasi fisicamente. Era la città più grande che avesse mai visto; e per giunta
- da un anno e mezzo era abituato, fin troppo, al silenzio e alla quiete.
- E quello era il mese delle Olimpiadi. Per un attimo dimenticò perfino la
- situazione in cui si trovava, quando pensò che erano proprio le Olimpiadi la
- causa di quel frastuono, di quell'affollamento, di quella eccitazione.
- Attorno all'aeroporto si levavano enormi tabelle che fornivano ogni
- indicazione sulle Olimpiadi, per comodità dei viaggiatori in arrivo; e i
- viaggiatori vi si affollavano intorno. Ogni professione più importante aveva
- la propria tabella; e ciascuna forniva le indicazioni sul Palazzo Olimpico nel
- quale, il giorno tale, vi sarebbe stata la gara della tale Professione; e
- c'erano altre indicazioni, i nomi dei concorrenti, le loro città di origine,
- il Mondo Esterno che patrocinava la competizione... se c'era un patrocinatore,
- naturalmente.
- L'avvenimento era predisposto fino nei minimi particolari. George aveva letto
- molte descrizioni, sui giornali e sui microfilm, aveva assistito per
- televisione a molti incontri, aveva perfino presenziato a una Olimpiade
- minore, per la classificazione dei Macellai della sua contea. Anche in quel
- caso, sebbene non fosse certamente una gara di importanza galattica, era stato
- un avvenimento affascinante.
- In parte il fascino era dovuto alla competizione, in parte allo stimolo
- dell'orgoglio campanilistico: c'era un concittadino da incoraggiare e da
- applaudire, anche se non lo si conosceva personalmente! In parte,
- naturalmente, l'interesse risiedeva nelle scommesse; che nessuno d'altronde
- riusciva a proibire.
- George provò una certa difficoltà nell'avvicinarsi ai tabelloni: si accorse di
- essere attratto in un modo diverso dalla folla dei curiosi, adesso. Un tempo,
- anche loro avevano senza dubbio preso parte alle Olimpiadi. Ma cosa avevano
- fatto? Niente!
- Se avessero vinto, adesso sarebbero stati lontani, in qualche pianeta della
- Galassia; non sarebbero certo rimasti lì, sulla Terra. Qualsiasi cosa fossero,
- poteva darsi senza dubbio che la loro professione li avesse vincolati alla
- Terra fin dall'inizio; oppure si erano dimostrati indegni di lasciare la
- Terra, qualunque fosse la loro specializzazione...
- E adesso questi falliti se ne stavano lì, a valutare la possibilità dei
- giovani, dei nuovi. Avvoltoi!
- Eppure... eppure desiderava che quei falliti potessero occuparsi anche di
- lui...
- Si incamminò, senza meta, bighellonando da un gruppo all'altro. Aveva fatto
- colazione sullo stratojet e non aveva appetito. Aveva paura, questo sì. Ma si
- trovava in una grande città, nella grande confusione della fase iniziale delle
- Olimpiadi. E questo doveva dargli una certa sicurezza. La città era piena di
- forestieri. Nessuno lo avrebbe interrogato, nessuno si sarebbe occupato di
- lui.
- Nessuno si sarebbe preoccupato per lui, pensò amareggiato. Nemmeno la Casa. Si
- erano presi cura di lui come di gattino malato, ma se il gattino malato
- scappa, bene, cosa volete fare? Cercarlo, forse?
- E adesso che si trovava a San Francisco, cosa poteva fare. I SUOI pensieri
- urtavano contro un muro cieco. Doveva cercare qualcuno? Chi? Come? E dove
- poteva trovare rifugio? Il denaro che gli era rimasto era pochissimo.
- Per la prima volta, il pensiero di ritornare alla Casa lo aggredì, inatteso.
- Avrebbe potuto recarsi alla polizia e...
- Scosse il capo, con violenza, come se stesse discutendo con qualcuno.
- Una parola gli balzò agli occhi, da una delle tabelle; una parola lucente e
- scintillante: Metallurgista. E, a lettere più piccole: specialista in metalli
- non ferrosi. E, in fondo a una lunga lista di nomi, in corsivo: patrocinato da
- Novia.
- Questo gli fece risorgere nella mente ricordi dolorosi: lui stesso, mentre
- discuteva con Trevelyan, ed era così sicuro di diventare Programmatore, così
- sicuro che un Programmatore era superiore a un Metallurgista, così sicuro di
- seguire la strada giusta, così sicuro di riuscire...
- Così sicuro di riuscire, che era andato a vantarsi di fronte a quel
- microcefalo, vendicativo Antonelli. Così sicuro di sé, nel momento in cui lo
- avevano chiamato e aveva lasciato solo Trevelyan, incerto e innervosito...
- George non riuscì a reprimere un singhiozzo, Qualcuno si voltò a guardarlo,
- poi si allontanò. La folla lo sospingeva, impaziente. Restò a guardare la
- tabella, a bocca aperta.
- Fu come se la tabella rispondesse al suo pensiero. Stava pensando a Trevelyan,
- così intensamente che per un momento gli sembrò naturale che la tabella gli
- rispondesse "Trevelyan".
- Ma c'era veramente scritto Trevelyan, lì sopra. Armand Trevelyan... Stubby
- detestava il suo nome, che adesso era lì, in lettere luminose, perché tutti lo
- potessero vedere. E c'era anche il nome della sua città d'origine. E, ciò che
- era più importante, Trevelyan aveva desiderato di andare su Novia, aveva tanto
- insistito e sognato Novia. E questa gara era patrocinata da Novia.
- Doveva essere Trev... buon vecchio Trev! Quasi senza accorgersene, prese nota
- del luogo in cui si svolgeva la competizione e si mise in coda per prendere un
- elitassì.
- E intanto rifletteva, cupamente. Trev c'era riuscito. Voleva diventare
- Metallurgista, e c'era riuscito.
- George provò un brivido di freddo. E si sentì solo, solo come non lo era stato
- mai.
- C'era una lunga coda di persone che aspettavano di entrare nel palazzo. A
- quanto sembrava, le Olimpiadi della Metallurgia sembravano destare il maggiore
- interesse del pubblico. Per lo meno, così affermava l'insegna luminosa
- sull'ingresso, così sembrava pensare la gente che si affollava per entrare.
- Doveva essere un giorno piovoso, pensò George; almeno lo sembrava, dal colore
- del cielo, Ma San Francisco era coperta da una grande cupola in tutta la sua
- estensione, fino al mare. Era un sistema molto costoso, d'accordo, ma valeva
- la pena di affrontare spese ingenti, quando c'era di mezzo la comodità dei
- visitatori venuti dai Mondi Esterni. Avrebbero affollato la città, ed era
- gente che non badava a spese. E, per ognuno dei giovani reclutati, avrebbero
- corrisposto una lauta parcella alla Terra e all'Amministrazione locale. Valeva
- la pena di convincere i visitatori dei Mondi Esterni a presenziare alle
- Olimpiadi di una città piuttosto che di un'altra: e San Francisco sapeva
- benissimo quel che si faceva.
- Improvvisamente George si riscosse dalle sue fantasticherie; qualcuno gli
- stava toccando una spalla, educatamente, e una voce gli stava dicendo: - Anche
- lei è in fila, giovanotto?
- La coda era avanzata, senza che George se ne fosse accorto; ed era rimasto
- indietro. Fece un passo avanti e mormorò: - Mi scusi.
- Ma avvertì ancora la pressione d'una mano sul gomito e si voltò a guardare.
- L'uomo che era dietro di lui gli fece un cenno amichevole: aveva i capelli
- grigio-ferro; sotto la giacca indossava un gilet fuori moda.
- - Non avevo intenzione di offenderla - disse.
- - Non mi sono offeso.
- - Benissimo, allora. - Quel tipo aveva proprio voglia di chiacchierare. -
- Pensavo che forse lei era fermo qui per caso; e forse si era trovato senza
- volere in mezzo alla fila, proprio per caso. Pensavo che lei fosse un...
- - Un che? - chiese seccamente George.
- - Un concorrente, è naturale. È così giovane.
- George tornò a voltarsi. Non aveva voglia di chiacchierare, lui.
- Poi un pensiero lo colpì, all'improvviso. Forse avevano dato l'allarme per la
- sua fuga. Forse avevano già trasmesso i suoi connotati, forse la sua foto.
- Forse l'uomo dai capelli grigi stava cercando soltanto un pretesto per
- guardarlo bene in faccia.
- Non aveva ancora visto le ultime notizie. Levò il capo per vedere la striscia
- luminosa dei titoli delle notizie che scorrevano attraverso lo schermo alzato
- sulla città. Ma era inutile. Rinunciò immediatamente: quei titoli splendenti
- non potevano essere dedicati a lui. Era tempo di Olimpiadi e le uniche notizie
- degne di titoli vistosi erano i punteggi dei vincitori e i trofei conquistati
- dai vari continenti, dalle nazioni, dalle città.
- E sarebbe continuato così per settimane e settimane; i punteggi venivano
- calcolati accuratamente, ed ogni città li faceva figurare in modo di trovarsi
- piazzata in una posizione onorevole. Una volta perfino la sua città era
- riuscita a piazzarsi terza in una Olimpiade, per merito dei suoi Tecnici
- Elettricisti: terza nell'intero Stato! C'era ancora una lapide che ricordava
- quell'avvenimento nel Palazzo della Città.
- George riabbassò il capo, affonda le mani nelle tasche, cercando di non farsi
- notare. Si rilassò, cercò di assumere un'aria di disinteresse; ma non si sentì
- più sicuro, per questo. Ormai era nell'atrio, e nessuna mano di poliziotto si
- era ancora abbattuta sulla sua spalla. Finalmente entrò nella sala e andò a
- prendere posto, più in fretta che poté.
- Fu una sorpresa spiacevole scoprire che l'uomo dai capelli grigi gli era
- ancora vicino. Distolse in fretta lo sguardo e tentò di discutere con se
- stesso. Dopo tutto, quell'uomo si trovava in fila dietro di lui.
- L'uomo dai capelli grigi, dopo avergli rivolto un breve sorriso, non gli badò
- più: e le gare stavano per cominciare. George si alzò dal suo posto per vedere
- se gli era possibile individuare Trevelyan; e, da quel momento, non pensò più
- ad altro.
- La sala non era molto grande e aveva la classica forma ovale: gli spettatori
- prendevano posto nelle due balconate che correvano attorno alla sala, mentre i
- concorrenti si allineavano al centro. Le macchine erano già montate e le
- tabelle dei punteggi piazzate vicino ad ogni banco erano ancora spente: vi si
- poteva leggere soltanto il nome e il numero del concorrente. I partecipanti
- alla gara erano già presenti; leggevano, parlavano fra loro, uno era
- occupatissimo a guardarsi le unghie. Naturalmente, era considerato di pessimo
- gusto, per un concorrente, prestare la minima attenzione al problema che lo
- attendeva, prima che fosse dato il segnale d'inizio.
- George studiò il programma della manifestazione che aveva trovato
- nell'apposita fessura del bracciolo della sua poltrona e vide subito il nome
- di Trevelyan. Aveva il numero dodici e, con grande disappunto di George, si
- trovava all'estremità opposta della sala. Riuscì a individuare il concorrente
- numero dodici, che se ne stava diritto, dietro la sua macchina, con le mani
- affondate nelle tasche e fissava attento il pubblico. George non riusciva a
- distinguerne bene il volto.
- Eppure, quello era Trev.
- George tornò a sedersi. Si domandò se Trev se la sarebbe cavata bene. Si
- augurò che riuscisse, doverosamente, ma c'era qualcosa, dentro di lui, che gli
- ispirava una sorta di risentimento, di ribellione. George, senza professione,
- era lì, a guardare. E Trevelyan, Metallurgista specializzato in metalli non
- ferrosi, era laggiù e stava per prendere parte a una gara.
- George si chiese se Trevelyan avesse preso parte a una competizione, nel suo
- primo anno di qualificazione professionale. Qualcuno lo faceva, talvolta;
- qualcuno che aveva molta fiducia in se stesso, o che era molto impaziente: ma
- questo comportava un certo rischio. Per quanto il processo di Istruzione fosse
- efficace, un anno di tirocinio sulla Terra, tanto per farsi le ossa, serviva
- senza dubbio a garantire risultati migliori.
- Se Trevelyan era nella sua seconda competizione, ciò significava che la prima
- non era andata troppo bene. George si vergognò di provare una vaga
- soddisfazione, a quel pensiero.
- Si guardò attorno. Le gradinate erano quasi gremite. Si trattava di una gara
- molto attesa, e questo significava una maggiore tensione per i concorrenti...
- o magari maggiori risultati, a seconda degli individui.
- Ma perché si chiamavano Olimpiadi? si chiese, improvvisamente. Non lo aveva
- mai saputo. Perché si chiamava pane il pane?
- Una volta, ricordava, aveva chiesto a suo padre: - Perché si chiamano
- Olimpiadi, papà?
- - Perché Olimpiade significa gara - aveva risposto suo padre.
- - Allora, quando io e Stubby ci azzuffiamo, è un'Olimpiade, papà? - aveva
- chiesto lui, ancora.
- E papà Platen: - No. Le Olimpiadi sono un tipo di gara tutta speciale. E non
- fare domande sciocche. Saprai tutto quello che devi sapere, quando verrai
- Istruito.
- Ripensando al presente, George sospirò, rannicchiandosi al suo posto.
- Tutto quello che devi sapere!
- Era buffo che quel ricordo fosse così chiaro, adesso. "Quando verrai
- Istruito."
- Lui aveva sempre formulato domande sciocche, gli sembrava. Era come se la sua
- mente avesse una preconoscenza istintiva della sua incapacità a essere
- Istruito, e l'avesse spinto a formulare domande su domande nel tentativo di
- raggranellare almeno qualche briciola di conoscenza.
- Anche nella Casa lo avevano incoraggiato in quella direzione, per secondare il
- suo istinto. Era l'unico modo possibile.
- Si raddrizzò, di scatto. Cosa diavolo stava facendo? Si stava arrendendo a
- quella orribile menzogna? Forse si stava arrendendo soltanto perché Trevelyan
- era davanti a lui, ed era Istruito, e prendeva parte alle Olimpiadi?
- Lui non era un minorato mentale. No!
- Il grido disperato e silenzioso che scoccò nella sua mente trovò un'eco
- nell'improvviso clamore degli spettatori, che scattavano in piedi proprio in
- quel momento.
- Il palco d'onore al centro di una delle gradinate si stava affollando di
- persone che portavano i colori di Novia; la parola Novia si accese a lettere
- di fuoco sul tabellone principale.
- Novia era un mondo di Grado A, con una popolazione numerosa e una civiltà
- evolutissima; forse la più evoluta di tutta la Galassia. Novia era un mondo su
- cui ogni terrestre avrebbe desiderato vivere, un giorno o l'altro; o per lo
- meno, su cui avrebbe voluto vivessero almeno i propri figli. George ricordò
- che Trevelyan si era proposto Novia come meta... e adesso stava gareggiando
- per raggiungerla.
- Le luci che brillavano sulle gradinate si spensero, si spensero le luci delle
- pareti; restò illuminato soltanto il centro della sala, dove si trovavano i
- concorrenti.
- Di nuovo George cercò di individuare Trevelyan. Ma era troppo lontano.
- Risuona, chiara, nitida, la voce di un annunciatore: - Onorevoli Patrocinatori
- di Novia, signore e signori. Sta per cominciare l'Olimpiade dei Metallurgisti
- specializzati in metalli non ferrosi. I concorrenti sono...
- E lesse attentamente l'elenco contenuto nel programma. I nomi. Le città
- d'origine. L'anno dell'Istruzione. Tutti i nomi vennero accolti da applausi,
- ma i concorrenti di San Francisco vennero applauditi più degli altri. Quando
- l'annunciatore pronunciò il nome di Trevelyan, George si sorprese a gridare e
- ad agitare le braccia. L'uomo dai capelli grigi seduto accanto a lui applaudì
- a sua volta.
- George lo fissò sbalordito. E quello, alzando la voce per farsi sentire in
- mezzo a quel frastuono, disse: - Qui non c'è nessuno della mia città. Farò il
- tifo per il suo concittadino. È qualcuno che lei conosce?
- George ricadde a sedere.
- - No.
- - Mi sembrava che lei guardasse in quella direzione. Vuole che le presti il
- mio binocolo?
- - No, grazie. - Ma perché quel vecchio sciocco non pensava agli affari propri?
- L'annunciatore continuò a snocciolare i dettagli relativi al numero di serie
- della gara, il sistema di cronometraggio e di conteggiare i punti e così via.
- Finalmente, affrontò l'argomento di maggiore interesse, e il pubblico si fece
- silenzioso, nell'attesa.
- - Ogni concorrente riceverà una sbarra d'una lega non ferrosa, di composizione
- non specificata; dovrà esaminare e saggiare la sbarra e riferirne la
- composizione specificando le percentuali fino al quarto decimale. Tutti i
- concorrenti utilizzeranno, allo scopo, dei microspettrografi Beeman, modello
- FX-2, che, così come sono loro dati, hanno bisogno di una piccola riparazione.
- Il pubblico si lasciò sfuggire un grido di approvazione.
- - Ogni concorrente dovrà trovare il difetto nel funzionamento della sua
- macchina e ripararlo. Ogni concorrente è fornito di attrezzi e di pezzi di
- ricambio. Può darsi che i pezzi necessari non figurino fra quelli in
- dotazione, e in questo caso i concorrenti potranno richiederli: il tempo
- impiegato per la consegna verrà dedotto dal conteggio finale. I concorrenti
- sono pronti?
- La tabella sopra il concorrente numero cinque fiammeggiò freneticamente. Il
- concorrente cinque scese correndo dalla sua pedana e ritornò dopo un attimo.
- Il pubblico rise.
- - I concorrenti sono pronti?
- Questa volta le tabelle rimasero spente.
- - Nessuna domanda?
- Anche questa volta le tabelle restarono spente.
- - Potete cominciare.
- Non era possibile, per il pubblico, rendersi conto dei progressi dei singoli
- concorrenti se non attraverso le segnalazioni che apparivano sul tabellone. Ma
- non importava molto. A parte i Metallurgisti che potevano trovarsi fra il
- pubblico, nessuno avrebbe capito niente di quella gara, in ogni caso. Ciò che
- importava era vedere chi avrebbe vinto, chi sarebbe giunto secondo, chi terzo.
- Per coloro che avevano fatto delle scommesse - cosa inevitabile quanto
- illegale - questo era l'importante. Tutto il resto poteva andare al diavolo.
- George guardò avidamente, come tutti gli altri, fissando ora l'uno ora l'altro
- dei concorrenti, osservando come uno aveva aperto il proprio microspettrografo
- maneggiando abilmente un piccolo arnese; e come un altro stava controllando il
- funzionamento del suo apparecchio, mentre un terzo stava sistemando la sbarra
- metallica nell'apposito sostegno, e un quarto regolava un calibro, con piccoli
- tocchi nervosi.
- Trevelyan era assorto nel suo lavoro come gli altri. E George non avrebbe
- saputo dire se andava bene o male.
- Sulla tabella del concorrente numero diciassette una luce si accese.
- Il pubblico applaudì, frenetico.
- Forse il concorrente diciassette aveva ragione e forse aveva torto. In questo
- caso, avrebbe dovuto correggere la propria diagnosi e perdere tempo prezioso.
- Oppure poteva non correggere affatto la diagnosi e non riuscire a completare
- l'analisi; oppure, cosa peggiore, poteva effettuare un'analisi completamente
- sbagliata.
- Ma nessuno ci pensava, in quel momento. Il pubblico badava solo ad applaudire.
- Altre tabelle si accesero. George tenne d'occhio la tabella numero dodici. E
- finalmente, anche quella si accese.
- - Il supporto del campione è fuori centro. Occorre un nuovo morsetto.
- Un inserviente arrivò di corsa, portandogli il pezzo di ricambio. Se Trevelyan
- si era sbagliato, questo avrebbe significato un ritardo inutile. Il tempo
- impiegato per il rifornimento del pezzo non sarebbe stato dedotto dal
- conteggio totale, in questo caso. George si accorse di trattenere il respiro.
- Sulla tabella diciassette cominciarono ad apparire i risultati, a lettere
- splendenti: alluminio, 41,2649; magnesio, 22,1914; rame, 10,1001.
- Qua e là anche sulle altre tabelle cominciarono ad accendersi altri numeri.
- Il pubblico era in delirio.
- Sembrava impossibile, si disse George, che i concorrenti riuscissero a
- lavorare in quel pandemonio; ma forse era giusto che fosse così. Un tecnico di
- prima classe deve essere in grado di lavorare in qualsiasi condizione.
- Il concorrente numero diciassette si alzò e sulla sua tabella apparve una
- striscia rossa. Per lui la gara era conclusa. Il concorrente numero quattro lo
- seguì, dopo solo due secondi. Poi un altro, un altro ancora.
- Trevelyan stava ancora lavorando; non aveva ancora trovato i componenti minori
- della sua lega. Ormai quasi tutti gli altri concorrenti si erano alzati, e
- finalmente anche Trevelyan si alzò. Poi si alzò anche l'ultimo, il numero
- cinque, che ricevette un applauso ironico.
- Non era finita. I risultati ufficiali sarebbero stati annunciati qualche
- attimo dopo. Era importante il tempo impiegato, ma era molto più importante
- l'esattezza dell'analisi. E non tutte le diagnosi erano di eguale difficoltà:
- bisognava tenere presente una dozzina di fattori diversi.
- Finalmente, la voce dell'annunciatore risuonò di nuovo.
- - Primo, con il tempo di quattro minuti e dodici secondi, diagnosi esatta,
- analisi esatta con una approssimazione di zero virgola sette su centomila, il
- concorrente numero... diciassette Henry Anton Schmidt di...
- Le parole che seguirono furono sommerse nel frastuono. Secondo era il numero
- otto, poi veniva il numero quattro, il cui ottimo tempo era stato danneggiato
- da un margine d'errore, nel calcolo della percentuale del niobio, pari a
- cinque su diecimila. Il concorrente numero dodici non fu nemmeno nominato. Non
- era riuscito a piazzarsi.
- George si fece largo fra la folla, raggiunse l'uscita dei Concorrenti. C'era
- una grande folla, in attesa, C'erano i parenti in lacrime per la gioia o per
- il dispiacere, a seconda dei risultati - c'erano i giornalisti che volevano
- intervistare i primi classificati, gli amici della città d'origine, i
- cacciatori di autografi, i curiosi. E anche molte ragazze, che speravano di
- farsi notare dai vincitori, nella speranza di poter giungere a Novia... o
- almeno di farsi notare da uno degli ultimi classificati desiderosi di
- consolazione e capaci di pagarla.
- George si tenne indietro. Non c'era nessuno che lui conoscesse, fra quella
- gente. San Francisco era troppo lontana dalla sua città, ed
- era estremamente improbabile che i parenti di Trev fossero arrivati fin lì.
- I concorrenti cominciarono a uscire alla spicciolata, sorridendo debolmente,
- rispondendo con cenni del capo agli applausi. I poliziotti tenevano distante
- la folla per lasciar loro libero un varco. I primi classificati si
- trascinarono via un codazzo di persone, come magneti che passassero su un
- mucchio di fili di ferro.
- Finalmente uscì anche Trevelyan, quando quasi tutti si erano allontanati.
- George immaginava che avesse aspettato deliberatamente, per uscire quando
- ormai non vi fosse più nessuno. Stringeva una sigaretta fra le labbra e
- guardava il suolo.
- Era la prima cosa che gli ricordasse casa, dopo un anno e mezzo... ma a lui
- pareva che fossero passati almeno quindici anni. Fu quasi stupito nel vedere
- che Trevelyan non era invecchiato: era lo stesso Trev che lui ricordava.
- George fece un passo avanti.
- - Trev!
- Trevelyan si girò, meravigliato. Fissò George, poi agitò una mano.
- - George Platen, cosa diavolo...
- Un lampo di gioia gli passò negli occhi, ma fu un attimo. La mano ricadde
- prima che George potesse stringergliela.
- - C'eri anche tu? - Trev indicò la sala con un sobrio cenno del capo.
- - Sicuro.
- - Per vedere me?
- - Sì.
- - Non mi è andata bene, vero? - Gettò al suolo la sigaretta e la calpestò.
- Guardava la strada, davanti a lui, dove il pubblico sfollava lentamente, alla
- ricerca di un elitassì libero, mentre si stavano già formando le code per le
- gare seguenti.
- - È così? - chiese Trevelyan. - È solo la seconda volta che faccio fiasco,
- dopotutto. Ormai non posso più pensare a Novia, dopo il risultato di oggi. Ma
- ci sono altri pianeti su cui potrei trovare facilmente una sistemazione...
- Senti, non ti ho più visto dal Giorno dell'Istruzione. Dove sei andato a
- finire? I tuoi mi hanno detto che avevi ricevuto un incarico speciale, ma non
- mi hanno dato molte spiegazioni. E tu non mi hai mai scritto. Potevi almeno
- scrivermi, no?
- - Sì, avrei dovuto farlo - rispose George, a disagio. - Ad ogni modo, sono
- venuto per dirti che mi è dispiaciuto, vederti andar male.
- - Non prendertela - fece Trevelyan. - Te l'ho già detto. Novia può andare al
- diavolo. Avrei dovuto prevederlo. Lo ripetevano da settimane che ci sarebbero
- stati assegnati i microspettrografi Beeman. Tutti quelli che avevano un filo
- di buon senso scommettevano proprio sugli apparecchi Beeman. Ma quei maledetti
- nastri che hanno usato per Istruirmi si riferivano tutti ad apparecchi
- Hensler, e chi è che usa gli Hensler? I mondi dell'Ammasso Goman... se vuoi
- chiamarli mondi. Non ti sembra che mi abbiano giocato un bello scherzo?
- - Ma non puoi presentare reclamo?
- - Non dire sciocchezze. Mi direbbero che il mio cervello era costruito per gli
- apparecchi Hensler. Prova a discutere. È andato tutto storto. Io sono stato
- l'unico che ha dovuto richiedere un pezzo di ricambio. Te ne sei accorto?
- - Però hanno dedotto il tempo necessario.
- - Sicuro, ma io ho perso altro tempo a chiedermi se la mia diagnosi era esatta
- o no, quando mi sono accorto che non c'era un morsetto, fra i pezzi di
- ricambio che mi avevano fornito. E questo tempo non me lo hanno dedotto
- certamente! Se si fosse trattato di un apparecchio Hensler, me ne sarei
- accorto subito. Ma cosa potevo farci? E il vincitore è di San Francisco. E
- così il secondo, il terzo e il quarto classificato. Il quinto è di Los
- Angeles. Hanno avuto una Istruzione di livello degno d'una grande città. Il
- meglio disponibile. Spettrografi Beeman e tutto il resto. Come potevo
- competere con loro? Sono venuto qui solo per assicurarmi una possibilità
- favorevole in una Olimpiade patrocinata da Novia, ma avrei fatto bene a
- restarmene a casa. Lo sapevo, te l'ho detto; e basta così. Novia non è l'unico
- pezzo di roccia che rotea nello spazio. Di tutti i maledetti...
- Ma non stava parlando a George. Non stava parlando a nessuno. Stava dando la
- stura alla sua amarezza, e George se ne rendeva conto.
- - Ma se sapevi che ti avrebbero assegnato un Beeman - chiese - perché non hai
- provato a prepararti su un Beeman?
- - Non faceva parte delle registrazioni che mi hanno impresso nella mente
- quando mi hanno Istruito. Te l'ho già spiegato.
- - Ma potevi leggere... potevi leggere qualche libro.
- Quest'ultima parola gli si smorzò sulle labbra, sotto lo sguardo tagliente di
- Trevelyan.
- - Stai cercando di scherzarci sopra? - chiese l'altro. - Ti sembra che sia una
- cosa tanto divertente? Come puoi immaginare che io avrei potuto leggere
- qualche libro e imparare a memoria quel tanto che bastava a competere con
- qualcuno che sa?
- - Ma io pensavo...
- - Tu ci hai provato, vero? Tu... - Poi, improvvisamente: - Senti, ma qual è la
- tua professione? - La sua voce aveva un suono ostile.
- - Be'...
- - Vai avanti. Dimmi la verità. Sei ancora qui, sulla Terra; quindi non sei
- diventato un Programmatore per Calcolatori. E il tuo incarico speciale non può
- essere molto importante.
- - Senti, Trev - fece George - adesso debbo andare. Ho un appuntamento. - E
- indietreggiò, cercando di sorridere.
- - No. - Trevelyan lo raggiunse, lo afferrò per il bavero della giacca. - Devi
- rispondere alla mia domanda. Perché hai paura di dirmelo? Cosa ti è successo?
- Non venire a gettarmi in faccia la mia brutta figura, George, a meno che tu
- non possa permettertelo davvero. Mi senti?
- Trev, adesso, stava scrollando George, freneticamente; caddero al suolo,
- lottando, avvinghiati. E improvvisamente, la Voce del Giudizio risuonò
- nell'orecchio di George, sotto forma della voce irata d'un poliziotto.
- - Basta. Basta, ho detto. Finitela.
- Il cuore di George diventò di piombo. Il poliziotto, adesso, avrebbe voluto
- sapere i loro nomi, avrebbe chiesto di vedere i loro documenti di identità; e
- lui ne era privo. Lo avrebbero interrogato, e sarebbe risultato che lui non
- aveva una professione. E tutto questo davanti a Trevelyan, che, ancora
- inferocito per la propria brutta figura, avrebbe portato a casa trionfalmente
- quelle novità, come diversivo del suo fallimento.
- George non poteva sopportare una cosa simile. Lasciò Trevelyan e fece per
- darsi alla fuga, ma la mano del poliziotto gli si posò pesantemente sulla
- spalla.
- - Fermo. Mi faccia vedere la sua carta di identità.
- Trevelyan si stava frugando in tasca.
- - Sono Armand Trevelyan, Metallurgista specializzato in metalli non ferrosi.
- Ho appena preso parte all'Olimpiade - dichiarò, sprezzante. - Ma lei può
- scoprire qualcosa di interessante sul conto di quello lì, agente.
- George affrontò i due. Si sentiva le labbra aride e la gola cosa stretta che
- gli era impossibile parlare.
- E un'altra voce risuonò tranquilla, educata: - Un momento, agente.
- Il poliziotto arretrò d'un passo. - Sì, signore?
- - Questo giovanotto è mio ospite. Cos'è successo?
- George si voltò, sbalordito. Era l'uomo dai capelli grigi che poco prima era
- seduto vicino a lui. Lo sconosciuto gli fece un cenno benevolo.
- Suo ospite? Ma era matto?
- - Questi due stavano azzuffandosi, signore - spiegò il poliziotto.
- - C'è qualche accusa specifica? Qualche danno alle persone o alle cose?
- - No, signore.
- - E va bene, allora, mi rendo responsabile io. - E presentò una tessera; il
- poliziotto la guardò, poi fece un altro passo indietro.
- - Mi stia a sentire... - cominciò Trevelyan, infuriato. Ma il poliziotto si
- girò ad affrontarlo.
- - Tutto a posto, ho detto. Ha qualche accusa specifica da formulare?
- - Volevo solo...
- - Vada per la sua strada. E in quanto a voi... circolate. - Intorno ai
- litiganti s'era radunata una piccola folla che adesso si disperse, a
- malincuore.
- George si lasciò condurre verso un elitassì e caricare a bordo.
- - La ringrazio - trovò la forza di mormorare. - La ringrazio, ma io non sono
- suo ospite. - Forse si trattava di uno sbaglio, si disse; l'uomo dai capelli
- grigi doveva averlo scambiato per qualcun altro.
- Ma quello sorrise.
- - Non era mio ospite, prima; ma adesso lo è. Permetta che mi presenti. Sono
- Ladislas Ingenescu, Storico.
- - Ma...
- - Venga. Nessuno le farà del male, glielo assicuro. Dopotutto, volevo solo
- risparmiarle un guaio con quel poliziotto.
- - Ma perché?
- - Deve proprio esserci un motivo? Bene, diciamo che siamo concittadini
- onorari, io e lei. Abbiamo fatto il tifo per lo stesso concorrente, lo
- ricorda? e i concittadini debbono aiutarsi uno con l'altro, anche se sono
- soltanto concittadini onorari. Va bene così?
- E George si trovò a bordo dell'elitassì. Diffidava di quell'Ingenescu e
- perfino di se stesso. Prima che riuscisse a rendersi conto che doveva scendere
- dall'apparecchio, ormai erano partiti.
- Pensò, confusamente: "Quest'uomo è una persona importante. Il poliziotto lo ha
- trattato con deferenza."
- Aveva quasi dimenticato di essere venuto a San Francisco non per vedere
- Trevelyan, ma per cercare qualcuno abbastanza influente da ottenere una
- revisione della sua condanna.
- Forse Ingenescu era l'uomo adatto. E George era andato a imbattersi proprio in
- lui.
- Forse tutto poteva andare per il meglio... per il meglio.
- Eppure c'era qualcosa che non andava. George si sentiva a disagio.
- Durante il breve tragitto in elitassì, Ingenescu continuò a parlare,
- indicandogli i punti più interessanti della città, parlandogli delle altre
- Olimpiadi cui aveva assistito. George lo ascoltava quel tanto necessario per
- emettere alcuni grugniti indistinti durante le pause e badava piuttosto a
- seguire con lo sguardo il percorso.
- Chissà se erano diretti verso una delle aperture dello schermo che copriva la
- città. No, l'elitassì puntava verso il basso, ora, e George respirò di
- sollievo. Si sentiva più sicuro, fino a che rimaneva in città.
- L'apparecchio atterrò sulla terrazza di un albergo.
- - Accetta di fare colazione con me, nella mia stanza? - chiese Ingenescu,
- appena furono scesi.
- - Sì - disse George. Cominciava a sentire un vuoto allo stomaco.
- Ingenescu lo lasciò mangiare in silenzio, Si stava facendo sera, e le luci si
- accesero, automaticamente. E George pensò che erano passate ormai ventiquattro
- ore, da quando era fuggito.
- Quando furono arrivati al caffè, Ingenescu parlò di nuovo.
- - Lei si comporta come se temesse che io possa farle del male.
- George arrossi, depose la tazza e cercò di negare, ma l'altro rise e scosse il
- capo.
- - È proprio così. La sto tenendo d'occhio fino dal primo momento che ci siamo
- visti... e sono convinto di sapere molte cose, sul suo conto.
- George si alzò, inorridito.
- - Si sieda - continuò Ingenescu. - Voglio soltanto aiutarla.
- George tornò a sedere. Ma i suoi pensieri turbinavano in un improvviso
- uragano. Se il vecchio sapeva chi era, perché non lo aveva lasciato in balia
- del poliziotto? E, d'altra parte, perché avrebbe dovuto aiutarlo?
- - Lei vuol sapere perché ci tengo ad aiutarla, vero? - chiese Ingenescu. - No,
- non si spaventi. Non so leggere nel pensiero, io. Ma la mia preparazione
- specifica mi mette in grado di giudicare le minime reazioni di un essere
- umano, vede. Capisce quello che voglio dire.
- George scosse il capo.
- - Provi a pensare al momento in cui l'ho vista, per la prima volta - continuò
- Ingenescu. - Lei era in fila, per andare ad assistere a una Olimpiade, ma le
- sue reazioni non collimavano con le sue azioni. L'espressione del suo volto
- era sbagliata, erano sbagliati i gesti delle sue mani. E questo dimostrava che
- qualcosa non andava; fatto ancora più interessante, non era niente di comune,
- niente di ovvio. Forse, ho pensato, si trattava di qualcosa di cui lei non si
- rendeva scientemente conto. Non ho potuto fare a meno di seguirla, di sedermi
- vicino a lei. Poi l'ho seguita anche quando lei è uscito, e ho assistito alla
- conversazione fra lei e il suo amico. Dopo tutto... be', lei era un soggetto
- di studio così interessante, e mi scusi se glielo dico così, a sangue freddo,
- che mi sono permesso di sottrarla alle attenzioni di quel poliziotto. E adesso
- mi dica: che cosa la preoccupa?
- George non riusciva a prendere una decisione, e ne soffriva. Se quella era una
- trappola, perché era così indiretta? E lui doveva rivolgersi a qualcuno. Era
- venuto in città per cercare aiuto, e adesso questo aiuto gli veniva offerto
- spontaneamente. Forse il guaio era quello: che l'aiuto gli venisse offerto.
- Sembrava tutto troppo facile.
- - Naturalmente - continuò Ingenescu - quello che lei dirà a me, nella mia
- qualità di Sociologo, rimarrà segreto professionale. Sa cosa significa?
- - No, signore.
- - Significa che sarebbe disonorevole, per me, riferire a chiunque e per
- qualunque scopo quello che lei vorrà dirmi. E per giunta nessuno avrà il
- diritto di costringermi a rivelarlo.
- - Credevo che lei fosse uno Storico - fece George, preso da un sospetto
- improvviso.
- - E lo sono.
- - Ma ha appena detto di essere un Sociologo.
- Ingenescu scoppiò a ridere. Poi si scusò di quella risata, appena fu in grado
- di parlare di nuovo.
- - Mi scusi, giovanotto. Non avrei dovuto ridere. Ma non stavo ridendo di lei.
- Ridevo della Terra, di tutta l'importanza che dà alle scienze fisiche e di
- tutti gli scompartimenti stagni che ha costruito. Magari lei sa tutto sulla
- tecnologia e sull'ingegneria meccanica, ma non sa nulla di nulla circa le
- scienze sociali.
- - Bene... allora cosa sono le scienze sociali?
- - Le scienze sociali studiano i gruppi di esseri umani. Vi sono parecchie
- specializzazioni in questa materia, proprio come nella zoologia, per esempio.
- Ci sono gli specialisti che studiano la Meccanica delle Culture, il loro
- sviluppo, la loro evoluzione, la loro decadenza. La cultura - aggiunse,
- prevenendo la domanda di George - È rappresentata da tutti gli aspetti di un
- sistema di vita. Per esempio comprende il modo in cui viviamo, le cose che
- amiamo e in cui crediamo, tutto ciò che consideriamo buono e cattivo e così
- via. Mi capisce?
- - Credo di sì.
- - Un Economista... non un Esperto in Statistica Economica, un Economista... si
- specializza nello studio del modo con cui una cultura sopperisce alle
- necessità pratiche dei suoi componenti. Uno Psicologo si specializza nello
- studio dei singoli individui e dei loro rapporti con la società. Poi ci sono
- coloro che hanno il compito di preparare i piani per il futuro sviluppo della
- società. E ci sono gli Storici... E qui entro in scena io.
- - Sì, signore.
- - Uno Storico si specializza nello studio del passato della propria società e
- delle società dotate di culture differenti.
- George cominciò a sentirsi interessato.
- - Era diverso, in passato?
- - Direi di sì. Fino a mille anni fa, l'Istruzione non esisteva. Per lo meno,
- non esisteva quello che noi chiamiamo Istruzione.
- - Lo so - disse George. - La gente imparava un po' per volta, dai libri.
- - Davvero? E come fa a saperlo?
- - L'ho sentito dire - fece George, cautamente. E poi: - Ma a che serve
- occuparsi di quello che è accaduto tanto tempo fa? Voglio dire, tanto è un
- capitolo chiuso, no?
- - Non è mai un capitolo chiuso, ragazzo mio. Il passato serve a spiegare il
- presente. Per esempio, perché il nostro metodo di Istruzione è quello che è?
- George si agitò, irrequieto. Il vecchio stava tornando su quell'argomento poco
- piacevole.
- - Perché è il migliore - Sì affrettò a tagliar corto George.
- - Ah. Ma perché è il migliore? Mi dia ascolto per un attimo, e glielo
- spiegherò. Poi lei mi dirà se la storia serve o no a qualcosa. Prima della
- conquista del volo interstellare... - E si interruppe, notando l'espressione
- sbalordita di George. - Perché, credeva che il volo interstellare fosse sempre
- esistito?
- - Non ci avevo mai pensato, signore.
- - Ne sono certo. Ma c'è stato un tempo, quattro o cinquemila anni fa, in cui
- l'umanità era confinata sulla superficie della Terra. Ma anche allora, la sua
- cultura era molto evoluta, da un punto di vista tecnologico, tanto che il
- fallimento della sua tecnologia avrebbe significato carestia e privazioni. Per
- mantenere elevato il livello tecnologico e per elevarlo ancora di più, anche
- in considerazione dell'incessante incremento demografico, era necessario
- preparare tecnici e scienziati in numero sempre maggiore. E, man mano che la
- scienza progrediva, questo addestramento diventava sempre più lungo e più
- faticoso.
- "Con la conquista del volo interplanetario e poi del volo interstellare, il
- problema diventò ancora più grave. Infatti, la colonizzazione dei pianeti
- extra-solari fu impossibile, per circa millecinquecento anni, proprio per la
- mancanza di uomini adeguatamente preparati.
- "La soluzione fu trovata quando si riuscì a scoprire il sistema di
- immagazzinare le nozioni nel cervello umano per mezzo d'un procedimento
- meccanico. Quando questo risultato fu raggiunto, divenne possibile preparare
- registrazioni che imprimevano meccanicamente nel cervello un intero corpus di
- nozioni bell'e pronte, per così dire. Ma questo lei lo sa già.
- "In questo modo, uomini perfettamente addestrati potevano essere sfornati a
- migliaia, a milioni, e cominciò così quello che qualcuno ha chiamato 'la
- diaspora umana nell'universo'. Adesso vi sono millecinquecento pianeti abitati
- nella Galassia, e la colonizzazione continua.
- "Comprende cosa significa tutto ciò? La Terra esporta nastri d'Istruzione per
- le professioni di bassa specializzazione, e questo serve a mantenere unitaria
- la cultura galattica. Per esempio, i nastri della Lettura servono ad
- assicurare un linguaggio unificato per tutti... Non sia così sorpreso.
- L'esistenza di altre lingue è possibile: in passato ve ne erano molte.
- Centinaia, addirittura.
- "La Terra esporta anche professionisti altamente specializzati, e in questo
- modo mantiene la propria popolazione a un livello numerico accettabile. Dal
- momento che questi specialisti vengono scelti in modo da mantenere un rigoroso
- equilibrio numerico fra i due sessi, essi costituiscono unità autoriproduttive
- e contribuiscono a incrementare la popolazione sui Mondi Esterni, dove tale
- incremento è necessario. Inoltre, tanto gli specialisti quanto i nastri
- dell'Istruzione vengono pagati in materiale prezioso per l'economia terrestre.
- Comprende, adesso, perché il nostro sistema di Istruzione è il migliore?"
- - Sì, signore.
- - E l'aiuterebbe a comprendere meglio il sapere che, senza questo sistema, la
- colonizzazione interstellare è stata impossibile per millecinquecento anni?
- - Sì, signore.
- - E allora lei ha capito a cosa serve la storia. - Lo Storico sorrise. - E
- adesso mi domando se lei ha compreso perché mi interesso tanto di lei.
- George si sentì trascinato di nuovo alla realtà. A quanto pareva, il lungo
- discorso di Ingenescu aveva uno scopo ben definito. Era stato soltanto un
- diversivo per prendere lui alla sprovvista.
- - E perché? - chiese, esitando, ritraendosi in se stesso.
- - Gli Esperti in Scienze Sociali si occupano della società, e la società è
- costituita dagli individui.
- - Questo lo capisco.
- - Ma gli individui non sono macchine. I professionisti specializzati in
- scienze fisiche lavorano sulle macchine. Sul conto di una macchina c'è solo un
- quantitativo limitato di nozioni che bisogna conoscere; e gli specialisti le
- conoscono. Inoltre, tutte le macchine di un determinato tipo sono pressappoco
- uguali, quindi per gli specialisti non avrebbe senso occuparsi troppo di una
- singola macchina. Ma le persone... vede, sono così complesse e così diverse le
- une dalle altre che un Esperto in Scienze Sociali non riesce mai a conoscere
- tutto e nemmeno una parte di ciò che dovrebbe conoscere. E, per capire bene il
- proprio lavoro, deve essere sempre pronto a studiare la gente. E, in
- particolare, gli esemplari fuori del comune.
- - Come me - disse George, con voce incolore.
- - Io non la definirei "un esemplare"... ma lei è senza dubbio fuori del
- comune. Lei merita di essere studiato, e se lei vorrà permettermelo, io, in
- cambio, l'aiuterò a risolvere i suoi problemi... nei limiti delle mie
- possibilità.
- Qualcosa cominciò a vorticare, nella mente di George. Tutti quei discorsi
- sulla gente e sulla colonizzazione resa possibile dall'Istruzione. Era come se
- tutti i suoi pensieri che aveva creduto immutabili fossero stati
- improvvisamente spezzati e sparpagliati, senza pietà.
- - Mi lasci pensare - disse, stringendosi le mani attorno alla fronte; poi le
- riabbassò. - È disposto a fare qualcosa per me? - chiese.
- - Se posso - fece gentilmente lo Storico.
- - E tutto quello che le dirò, in questa stanza, sarà protetto dal segreto
- professionale. Lo ha detto lei, vero?
- - Esattamente.
- - E allora mi procuri un colloquio con un funzionario dei Mondi Esterni...
- con... con un noviano.
- Ingenescu sembrò sbalordito.
- - Be', questo...
- - Lei può farlo - lo interruppe George. - Lei è una persona importante. Ho
- visto come l'ha guardata il poliziotto, quando lei gli ha mostrato i
- documenti. Se lei rifiuta, io... io non le permetterò di studiarmi.
- Era una minaccia sciocca, quella; e George fu il primo ad accorgersene. Ma
- Ingenescu ne sembrò colpito.
- - È impossibile. Parlare con un noviano, nel mese delle Olimpiadi.
- - E va bene. Mi metta in comunicazione telefonica con un noviano. Ci penserò
- io ad ottenere un appuntamento.
- - E crede di riuscire?
- - So che ci riuscirò. Mi metta alla prova.
- Ingenescu fissò George con aria pensierosa, poi si avvicinò al visifono.
- George attese, ubriacato dalla prospettiva inattesa, dall'inatteso senso di
- potenza che gliene veniva. Non poteva fallire. Non poteva. Sarebbe diventato
- un noviano. Avrebbe lasciato trionfalmente la Terra, a dispetto di Antonelli e
- di tutta quella schiera di imbecilli che stavano nella Casa - e quasi rise
- forte - nella Casa per Minorati Mentali.
- George si fece attento, quando lo schermo si illuminò. Era come se gli si
- aprisse davanti una finestra su Novia. In sole ventiquattro ore, era riuscito
- a questo!
- Udì un suono di risate, mentre lo schermo si schiariva. Dapprima non vide
- distintamente nessun volto... piuttosto il rapido passaggio di alcune ombre,
- uomini e donne. Poi udì una voce, che suonava chiara e forte su un sottofondo
- fatto di mormorii indistinti.
- - Ingenescu? Chiede di me?
- Poi l'uomo apparve sullo schermo. Un noviano. Un noviano vero. George non ebbe
- il minimo dubbio. Quell'uomo, inequivocabilmente, apparteneva ai Mondi
- Esterni. Non aveva nulla che si potesse definire chiaramente... ma non c'era
- possibilità di errore.
- Era bruno di carnagione, aveva i capelli neri pettinati all'indietro, sottili
- baffi scuri e una barbetta appuntita; ma il resto del suo viso era così liscio
- che sembrava esser stato sottoposto a una depilazione definitiva.
- - Ladislas, questo è un po' troppo - disse, sorridendo. - Naturalmente ci
- aspettiamo di essere spiati durante il nostro soggiorno sulla Terra, nei
- limiti del ragionevole, ma non sta bene leggerci nel pensiero.
- - Leggere il pensiero, Onorevole?
- - Lo ammetta! Lei sapeva che stavo per chiamarla. Sapeva che aspettavo
- soltanto di avere finito questo bicchiere. - Alzò la mano nel campo visivo
- dello schermo e guardò Ingenescu attraverso il bicchiere pieno d'un liquore
- violetto. - Non posso offrirne anche a lei, temo.
- George era al di fuori della portata del trasmettitore di Ingenescu e il
- noviano non poteva vederlo. Meglio così. Aveva bisogno di tempo per
- riprendersi... adesso era ancora troppo sconvolto. Gli sembrava di essere
- fatto di dita irrequiete che tambureggiavano e tambureggiavano...
- Ma aveva avuto ragione; non si era ingannato nei suoi calcoli. Ingenescu era
- veramente importante, se il noviano lo chiamava per nome.
- Benissimo! Tutto andava per il meglio. Ciò che George aveva perduto per colpa
- di Antonelli, ora lo avrebbe recuperato, e con gli interessi, grazie a
- Ingenescu. E un giorno, chissà, sarebbe potuto ritornare sulla Terra, potente
- come il noviano che si permetteva di chiamare Ingenescu per nome ricevendone
- in cambio l'appellattivo di "onorevole"... e quando fosse tornato, avrebbe
- regolato i conti, con Antonelli! Doveva vendicarsi di quell'anno e mezzo e...
- Si riprese dal suo sogno ad occhi aperti e ritornò alla realtà, rendendosi
- conto che rischiava di perdere, così, il filo degli avvenimenti che si
- svolgevano davanti a lui.
- -...oh no - stava dicendo il noviano. - Novia ha una civiltà progredita quanto
- quella terrestre. Non siamo Zeston, in fin dei conti. È ridicolo che siamo
- costretti a venir qui, per rifornirci di tecnici qualificati.
- - Soltanto per le nuove specializzazioni. E non è certo che saranno necessarie
- specializzazioni sempre nuove. Acquistare i nastri dell'Istruzione vi
- costerebbe quanto ingaggiare un migliaio di tecnici... e come fate a sapere di
- quanti ne avreste bisogno?
- Il noviano bevve il liquore che rimaneva nel bicchiere e rise. A George
- spiacque constatare che un noviano poteva esser così frivolo. Si chiese se per
- caso il noviano non avrebbe fatto meglio a rinunciare a quel bicchiere... e
- anche a qualcuno degli altri che lo avevano preceduto.
- - Questo è un esempio classico di bugia pietosa, Ladislas - disse il noviano.
- - Sa benissimo che tutte le nuove specializzazioni ci sono sempre utili.
- Questo pomeriggio ho ingaggiato cinque Metallurgisti...
- - Lo so - disse Ingenescu. - C'ero anch'io.
- - Per tenermi d'occhio, eh? Per spiarmi! - esclamò il noviano. - E allora mi
- stia a sentire. I Metallurgisti che avete sfornato recentemente differiscono
- dagli altri soltanto per il fatto che conoscono l'uso degli spettrografi
- Beeman. I nastri dell'Istruzione non possono essere stati modificati più che
- tanto, rispetto a quelli usati lo scorso anno. Voi introducete queste nuove
- specializzazioni soltanto per costringerci a comprare, a spendere il nostro
- denaro, a venire qui con il cappello in mano, umilmente, a chiedervi di farci
- il favore di...
- - Ma noi non vi costringiamo affatto a comprare!
- - No. Però vendete a Landonum i tecnici di formazione più recente e così noi
- siamo costretti a tenere il passo. Voi bravi terrestri ci avete fatto salire
- su una giostra, come meglio vi aggrada; ma state attenti, potremmo anche
- trovare una via d'uscita. - La sua risata aveva una sfumatura tagliente, e si
- smorzò un po' troppo presto.
- - Per essere sincero, è proprio ciò che mi auguro - replicò Ingenescu. - Ma
- nel frattempo, tornando allo scopo della mia chiamata...
- - È vero, è stato lei a chiamarmi. Oh, bene. Le ho detto quello che dovevo
- dirle e adesso prevedo che l'anno prossimo voi sfornerete Metallurgisti dotati
- di nuove nozioni, per costringerci a pagarli salati. Magari tutto quello che
- sapranno, in più, sarà qualche sistema per saggiare il niobio, e l'anno
- successivo... Ma vada pure avanti, cosa voleva, da me?
- - C'è un giovanotto, qui. Vorrei che gli parlasse.
- - Eh? - Il noviano non sembrò molto lusingato. - A proposito di che?
- - Non lo so. Non me lo ha detto; non mi ha neppure detto come si chiama e
- quale è la sua professione.
- Il noviano si accigliò.
- - E allora perché farmi perdere tempo?
- - Perché è sicuro di doverle dire qualcosa di molto interessante.
- - Vorrei sperarlo.
- - E - continuò Ingenescu - se lei lo ascoltasse mi farebbe un favore
- personale.
- Il noviano scrollò le spalle.
- - Me lo passi, allora; e gli dica di sbrigarsi.
- Ingenescu si fece da parte e mormorò a George: - Lo chiami "Onorevole".
- George deglutì a fatica. Era arrivato il momento decisivo.
- George si sentiva madido di sudore. Il pensiero che era scaturito
- dentro di lui soltanto da pochi minuti gli sembrava ormai una certezza. Forse
- la prima idea gli era venuta quando aveva parlato con Trevelyan poi era
- fermentata, dentro la sua mente, aveva assunto una forma chiara mentre
- Ingenescu parlava. E le stesse parole del noviano erano servite a rafforzarla.
- - Onorevole - esordì - io posso mostrarle la via d'uscita della giostra. - Si
- servì deliberatamente della metafora dell'altro.
- Il noviano lo fissò, serio.
- - Quale giostra?
- - Quella di cui lei ha parlato, Onorevole. La giostra sulla quale Novia è
- costretta a salire quando manda i suoi emissari sulla Terra per assicurarsi...
- per assicurarsi i tecnici. - E tremava: per l'eccitazione, non per il timore.
- - Vuol dire - fece il noviano - che lei ha scoperto un sistema che ci
- eviterebbe di patrocinare questa specie di supermarket terrestre di cervelli?
- E questo che intende?
- - Sì, signore. Anche Novia può controllare il proprio sistema di Istruzione.
- - Uhm. Senza nastri?
- - S-sì, Onorevole.
- - Ingenescu - chiamò il noviano, senza distogliere gli occhi da George - Sì
- faccia vedere.
- Lo Storico si fece avanti.
- - Cosa significa tutto questo? - chiese ancora il noviano. - Non riesco a
- capire.
- - Posso garantirle - disse Ingenescu - che tutto ciò che il giovanotto sta
- dicendo è frutto della sua iniziativa personale, Onorevole. Non sono stato io
- a suggerirglielo. Io non c'entro per nulla.
- - Bene, allora, che cos'è per lei, questo giovanotto? Perché mi ha chiesto di
- ascoltarlo?
- - È un oggetto di particolari studi, Onorevole - spiegò Ingenescu. - Per me ha
- molta importanza e io tengo ad assecondarlo.
- - Che specie di importanza?
- - È difficile spiegarlo. Il mio è un interesse professionale.
- Il noviano rise, brevemente.
- - È giusto: a ciascuno la sua professione. - E fece un cenno a una o più
- persone che rimanevano al di fuori della portata dello schermo. - C'è qui un
- giovanotto, un protetto di Ingenescu, che vuole spiegarci un sistema per
- Istruire senza ricorrere ai nastri. - Fece schioccare le dita; e un altro
- bicchiere colmo di liquore gli apparve fra le mani. - Ebbene, giovanotto?
- Adesso vi erano molti altri volti che si affollavano sullo schermo e su tutti
- era plasmata un'espressione divertita, incuriosita.
- George cercò di darsi un'aria sdegnosa. In un certo senso tutti, i noviani
- come il terrestre, lo stavano osservando come si osserva un insetto infilzato
- su di uno spillo. Ingenescu s'era seduto in un angolo e lo guardava con gli
- occhi sbarrati.
- Sciocchi, pensò; erano una massa di sciocchi. Ma avrebbero dovuto capire. Li
- avrebbe costretti a capire.
- - Ho assistito alle Olimpiadi dei Metallurgisti, oggi - disse.
- - Anche lei? - fece il noviano, in tono blando. - A quanto pare c'era mezza
- Terra, presente.
- - No, Onorevole. Ma io c'ero. Fra i concorrenti c'era un mio amico, che ha
- ottenuto un pessimo risultato soltanto perché voi avete usato gli apparecchi
- Beeman. La sua Istruzione comprendeva solamente gli Hensler... che a quanto
- pare sono un modello superato. Lei ha detto che le modifiche apportate ogni
- anno sono minime. E il mio amico aveva saputo, con un certo anticipo, che
- nelle gare sarebbe stata necessaria la conoscenza degli apparecchi Beeman.
- - E questo che significa?
- - Il più grande desiderio, la più grande ambizione di questo mio amico era
- qualificarsi per Novia. Conosceva già gli Hensler. Ma doveva conoscere anche i
- Beeman, per potersi qualificare, e lo sapeva. Per imparare a conoscere i
- Beeman gli sarebbe bastato assimilare qualche dato nuovo, qualche nuova
- nozione... forse un po' di pratica. Dal momento che era in gioco la sua
- ambizione più grande, avrebbe potuto arrangiarsi.
- - E dove avrebbe potuto procurarsi un nastro che gli trasmettesse questi nuovi
- dati? O forse adesso l'Istruzione si può assimilare anche a domicilio, sulla
- Terra?
- Tutti coloro che apparivano sullo schermo ebbero una risata di circostanza.
- - È per questo che non ha imparato, Onorevole - insisté George. - Era convinto
- che gli sarebbe occorso un nuovo nastro. Non ha neppure tentato di imparare,
- dal momento che non poteva disporne, e non importava quali sarebbero state le
- conseguenze, per lui. Non ha nemmeno pensato che poteva tentare anche senza un
- nuovo nastro.
- - Non ci ha pensato, eh? Probabilmente il suo amico è un tipo che non ha mai
- nemmeno pensato di volare senza un eli - sorrise il noviano. - Lei è un tipo
- divertente. Vada avanti. Le concederò ancora qualche minuto.
- - Non è uno scherzo - fece George, con voce tesa. - I nastri rappresentano un
- grave errore. Insegnano troppe cose e senza nessuna fatica. Un uomo che
- apprende attraverso questo sistema non è più capace di imparare attraverso
- altri. È cristallizzato nella posizione che i nastri gli hanno conferito. Ma
- se una persona non venisse Istruita per mezzo dei nastri, se fosse costretta a
- imparare da sé, fin dall'inizio, allora prenderebbe l'abitudine a imparare, e
- continuerebbe a imparare. Non le sembra logico? E, una volta che si fosse
- abituato, potrebbe ricevere una parziale Istruzione per mezzo dei nastri,
- forse, per colmare le lacune o per ricordare meglio i particolari. Poi
- potrebbe compiere altri progressi, senza altro aiuto. E voi potreste
- trasformare i vostri Metallurgisti capaci di manovrare solo gli apparecchi
- Hensler in Metallurgisti capaci di manovrare anche i Beeman, e non avreste
- bisogno di venire sulla Terra a rifornirvi di nuovi tecnici.
- Il noviano fece un cenno e sorbì un sorso del suo liquore.
- - E da dove ci si potrebbe procurare l'Istruzione, senza i nastri? Dal vuoto
- interstellare?
- - Dai libri. Dallo studio degli strumenti. Dalla riflessione.
- - Libri? Ma come si possono capire i libri se non si è già ricevuta
- l'Istruzione?
- - I libri sono fatti di parole. E le parole si possono comprendere, almeno
- nella loro maggioranza. E le parole più difficili, più specializzate, possono
- venire spiegate dai tecnici di cui voi disponete.
- - E della lettura cosa ci dice? Ci permetterebbe almeno di servirci dei nastri
- della Lettura?
- - I nastri della Lettura servono perfettamente, direi. Ma niente impedirebbe
- di imparare a leggere anche con il vecchio sistema. Per lo meno in parte.
- - In modo da sviluppare fin dall'inizio le buone abitudini? - chiese il
- noviano.
- - Sì. Sì - fece George, raggiante. Il noviano cominciava a capire!
- - E per quanto riguarda la matematica?
- - È il lato più semplice del problema, Onorevole. La matematica è diversa da
- qualsiasi altra disciplina tecnica. Inizia con alcuni concetti semplicissimi e
- procede per gradi. Si può cominciare a imparare partendo dal nulla. In
- pratica, è stata creata proprio per questo. Poi, quando si conosce la
- matematica, gli altri libri tecnici diventano perfettamente comprensibili.
- Specialmente se si comincia da quelli più facili.
- - Esistono libri facili?
- - Senza dubbio. E, anche se non esistessero, i tecnici di cui già disponete
- potrebbero tentare di scriverne essi stessi. Qualcuno potrebbe essere in grado
- di tradurre in parole e simboli la propria conoscenza.
- - Buon Dio! - fece il noviano, rivolgendosi a coloro che lo circondavano. -
- Questo giovanotto ha pronta una risposta per ogni domanda.
- - Sicuro - esclamò George. - Mi interroghi.
- George si girò di scatto per gettare una rapida occhiata a Ingenescu, ma lo
- Storico si limitava ad ascoltare, passivamente. Sul suo volto c'era soltanto
- un'espressione di educato interesse.
- - E questo sistema - chiese il noviano - funziona?
- - Sì, Onorevole - fece George, impaziente. - Mi porti con lei a Novia. Potrei
- preparare un programma e dirigere...
- - Aspetti. Debbo rivolgerle ancora qualche domanda. Quanto tempo le
- occorrerebbe, poniamo, per diventare un Metallurgista capace di maneggiare un
- apparecchio Beeman, partendo dal nulla e senza servirsi dei nastri
- dell'Istruzione.
- George esitò.
- - Be'... impiegherei anni, forse.
- - Due anni? Cinque? Dieci?
- - Non lo so, Onorevole.
- - Ma è una questione di importanza vitale, e lei non è in grado di fornirci la
- risposta! Diciamo cinque anni? Le sembra un periodo di tempo ragionevole?
- - Credo di sì.
- - E sta bene. Così noi abbiamo un tecnico che studia metallurgia, secondo
- questo suo sistema, per cinque anni. E durante questi cinque anni non ci
- serve... questo lo ammette, vero? Ma deve essere nutrito e alloggiato e pagato
- egualmente, no?
- - Ma...
- - Mi lasci finire. Quando avrà finito di studiare e sarà in grado di usare un
- Beeman, saranno passati cinque anni. Non crede che nel frattempo i Beeman
- potranno essere stati modificati al punto che il nostro tecnico non sarà in
- grado di servirsene?
- - Ma nel frattempo sarà allenato a imparare. E potrà imparare in pochi giorni
- i nuovi dettagli necessari.
- - Questo lo dice lei. Supponiamo, per esempio, che quel suo amico avesse
- studiato da sé gli apparecchi Beeman e fosse riuscito ad imparare, anche. È
- sicuro che sarebbe stato abile nell'usarlo quanto i concorrenti, che ne
- avevano imparato l'uso per mezzo dei nastri?
- - Forse no.... - cominciò George.
- - Ah - fece il noviano.
- - Aspetti. Lasci parlare me, adesso. Anche se non conoscesse tutto alla
- perfezione, ciò che conta è l'abilità di imparare ancora. Potrebbe riflettere,
- potrebbe pensare cose che nessun uomo Istruito per mezzo di nastri sarebbe in
- grado di pensare. E voi avreste una vasta riserva di uomini che pensano.
- - E durante i suoi studi - chiese il noviano - lei ha forse pensato qualcosa
- di nuovo?
- - No, ma io sono solo uno fra tanti, e non ho ancora studiato molto...
- - Capisco. Bene, signori e signore, vi siete divertiti abbastanza?
- - Aspetti! - gridò George, travolto da un panico improvviso. - Voglio che lei
- mi conceda un colloquio. Vi sono cose che non si possono spiegare attraverso
- il visifono. Vi sono particolari che...
- Il noviano guardò al di sopra della spalla di George.
- - Ingenescu, credo di averle fatto il favore che lei mi ha chiesto. Ma domani
- avrò una giornata molto impegnativa. Stia bene.
- Lo schermo si spense.
- George tese disperatamente le mani verso lo schermo, come per costringerlo a
- riaccendersi.
- - Non mi ha creduto! - gridò. - Non mi ha creduto!
- - No, George - disse Ingenescu. - Credeva davvero che l'avrebbe fatto?
- George quasi non lo udiva.
- - Ma perché? Ho detto la verità. Non ne avrebbe avuto che vantaggi. Non c'era
- nessun rischio. Io e pochi altri... una dozzina di uomini, addestrati per
- qualche anno, costano meno di un solo tecnico. Ma era ubriaco! Ubriaco. Non mi
- ha capito.
- E si guardò intorno, senza respiro.
- - Come posso raggiungerlo, adesso? Debbo parlargli ancora. Ho sbagliato. Non
- avrei dovuto servirmi del visifono. Mi occorreva più tempo. Dovevo parlargli
- faccia a faccia. Come posso...
- - Non accetterà di parlarle, George. E anche se lo facesse, non le crederebbe.
- - Mi crederà, glielo garantisco. Quando non è ubriaco, deve... - George si
- girò di scatto verso lo Storico. I suoi occhi si spalancarono. - Perché mi ha
- chiamato George?
- - Non è il suo nome, forse? George Platen...
- - Lei mi conosce?
- - Io so tutto di lei.
- George rimase immoto; soltanto il suo petto si alzava e si abbassava
- meccanicamente nel respiro.
- - Volevo aiutarla, George - disse Ingenescu. - Glielo avevo detto. La stavo
- studiando e desideravo aiutarla.
- - Non ho bisogno d'aiuto! - urlò George. - Non sono un minorato mentale. Forse
- lo sono tutti gli altri, al mondo, ma io no!
- Si girò e si slanciò verso la porta.
- La spalancò; e due poliziotti, che se ne stavano di guardia sull'attenti, si
- mossero e lo afferrarono.
- George avvertì la pressione dell'ipospray contro la mascella, poi null'altro.
- L'ultima cosa che vide fu il viso di Ingenescu, che lo fissava con la sua
- solita espressione gentile e premurosa.
- George aprì gli occhi sulla distesa bianca del soffitto. Ricordò,
- istantaneamente, ciò che era accaduto. Ma era un ricordo lontano, come se
- fosse accaduto a qualcun altro. Fissò il soffitto fino a che quel biancore gli
- riempì gli occhi e gli spazzò il cervello, lasciandolo spoglio e vuoto.
- Non seppe per quanto tempo rimase disteso, ascoltando il flusso dei propri
- pensieri.
- Una voce gli risuonò nell'orecchio.
- - Sei sveglio?
- George udì se stesso gemere. Cercò di girare il capo.
- Stai male, George? - chiese la voce.
- - È strano - mormorò lui. - Ci tenevo tanto a lasciare la Terra.
- Non avevo capito.
- - Sai dove ti trovi, adesso?
- - Sì... Sono di nuovo nella... nella Casa. - George cercò ancora di voltarsi.
- Quella era la voce di Omani.
- - È strano che non abbia capito - disse George.
- Omani sorrise, gentilmente.
- - Torna a dormire.
- George si riaddormentò.
- Si svegliò di nuovo. La sua mente era chiara, adesso.
- Omani sedeva accanto al letto e leggeva; ma depose il libro appena George aprì
- gli occhi.
- George riuscì a sollevarsi a sedere, con fatica.
- - Salve - disse.
- - Hai fame?
- - Puoi scommetterci. - E fissò Omani, incuriosito. - Mi avete fatto seguire
- quando me ne sono andato, no?
- Omani annuì.
- - Ti abbiamo sempre tenuto sotto osservazione. Volevamo fare in modo che
- raggiungessi Antonelli e che potessi sfogarti. Sapevamo che era l'unico modo
- per consentirti di fare progressi. Tu eri bloccato dalle tue stesse emozioni.
- - Mi ero completamente sbagliato sul suo conto. - C'era una sfumatura di
- imbarazzo, nella voce di George.
- - Ormai non importa. Quando ti sei fermato a guardare i tabelloni che
- annunciavano le Olimpiadi della Metallurgia, all'aeroporto, uno dei nostri
- agenti ci ha trasmesso l'elenco dei nomi. E tu mi avevi parlato abbastanza del
- tuo passato perché io potessi capire l'importanza del nome di Trevelyan. Tu ti
- sei diretto verso la sala in cui si svolgevano le Olimpiadi; c'era la
- possibilità che ne risultasse la crisi liberatrice che ci auguravamo. Così,
- abbiamo mandato Ladislas Ingenescu perché si occupasse di te.
- - Ma Ingenescu è un funzionario importante, no?
- - Sì.
- - E me lo avete messo alle costole. Questo dovrebbe farmi sentire importante.
- - Tu sei importante, George.
- Intanto era arrivato il vassoio con il pranzo. George sorrise, si rimboccò le
- maniche. Omani lo aiutò a sistemare il vassoio sul letto George mangiò in
- silenzio.
- - Mi ero già svegliato, prima, per qualche minuto - disse finalmente.
- - Lo so - fece Omani. - Ero qui.
- - Sì. Mi ricordo. Vedi, tutto era diverso. Era come se fossi troppo stanco per
- provare una qualsiasi emozione. Non ero più infuriato. Potevo pensare. Era
- come se mi avessero drogato per cancellare tutte le mie emozioni.
- - Nessuno ti ha drogato - disse Omani. - Ti hanno dato solo un sedativo.
- - Be', ad ogni modo, ormai tutto era chiaro. Era come se lo avessi sempre
- saputo; solo, avevo rifiutato di capire. Pensavo: cosa volevo ottenere, da
- Novia? Volevo andare su Novia, prendermi cura di un pugno di giovani non
- Istruiti e insegnare loro, per mezzo dei libri. Volevo fondare una Casa per
- Minorati Mentali... come questa... E la Terra ne ha già... ne ha già
- parecchie.
- I denti bianchi di Omani scintillarono in un sorriso. - Il nome esatto di
- queste Case è diverso - spiegò. - È Istituto di Studi Superiori.
- - Adesso lo capisco - disse George. - Lo capisco con tanta facilità che mi
- meraviglio di essere stato così cieco, prima d'ora. Dopo tutto, chi inventa
- gli apparecchi di nuovo modello, che richiedono tecnici dotati di nuove
- specializzazioni? Chi ha inventato gli spettrografi Beeman, per esempio? Un
- uomo che si chiama Beeman, immagino... ma non può essere stato Istruito per
- mezzo dei nastri; altrimenti, come avrebbe potuto inventare qualcosa di nuovo?
- - Esattamente.
- - E chi prepara i nastri per l'Istruzione? Tecnici specializzati in questo
- lavoro. Ma chi prepara i nastri per Istruire loro? Tecnici ancora più
- progrediti. Ma chi prepara i nastri per... Tu capisci quello che voglio dire.
- Doveva esserci un punto iniziale. Dovevano esserci, da qualche parte, uomini e
- donne capaci di pensiero autonomo.
- - Sì, George. Ci sono.
- George si ridistese, fissò un punto nel vuoto, sopra il capo di Omani, e per
- un attimo nei suoi occhi ricomparve l'antica luce irrequieta.
- - Perché non mi hanno detto tutto fin dal principio?
- - L'avremmo fatto, se avessimo potuto - disse Omani. - E la cosa ci
- risparmierebbe un mucchio di fastidi. Noi possiamo analizzare la mente di un
- essere umano, George, e dire se è in grado di diventare un bravo architetto o
- un buon falegname. Ma non conosciamo il sistema per individuare le menti
- capaci di pensiero creativo. È una capacità troppo sottile, che sfugge
- all'analisi. Conosciamo soltanto il sistema per scoprire gli elementi che
- possono disporre di una simile capacità allo stato potenziale. Il Giorno della
- Lettura, questi elementi vengono segnalati. Tu eri uno di questi, per esempio.
- È un caso su diecimila, vedi. Quando giunge il Giorno dell'Istruzione, questi
- elementi vengono esaminati di nuovo; e si scopre che per nove su dieci si era
- trattato di un falso allarme. E quelli che restano vengono mandati in posti
- come questo.
- - Capisco - disse George. - Ma cosa c'è di male a dire alla gente che uno su
- centomila finisce in posti come questo? In questo modo i prescelti non
- dovrebbero subire il trauma che...
- - E quelli che non sono prescelti? I novantanovemilanovecentonovantanove che
- non sono prescelti? Non possiamo dire a tutti costoro che sono dei falliti.
- Essi mirano soltanto a una Professione, e in un modo o in un altro riescono ad
- avere ciò che vogliono. E tutti possono aggiungere al proprio nome una
- qualifica professionale. In un modo o nell'altro, ogni individuo ha il suo
- posto nella società; è necessario.
- - Ma noi? - chiese George. - Noi, le eccezioni?
- - Non possiamo dirvi la verità. Perché, vedi, si tratta dell'esame definitivo.
- Anche dopo l'ultima selezione avvenuta il Giorno dell'Istruzione, nove su
- dieci di coloro che giungono qui non hanno la stoffa del genio creativo. E non
- c'è nessuna macchina che permetta di riconoscerli. Il decimo deve rivelarsi
- con le sue sole forze.
- - E come?
- - Portiamo i prescelti in una Casa per Minorati Mentali: e colui che non
- accetta la sua sorte, colui che non si arrende, è l'uomo che cerchiamo. È un
- metodo che può sembrare crudele, ma è efficace. Non si può dire a un uomo: "Tu
- puoi creare: crea!" è più sicuro aspettare che dica: "Io posso creare, e lo
- farò, che lo vogliate o che non lo vogliate". Sono diecimila uomini come te,
- George, che fanno progredire la tecnologia di millecinquecento pianeti. Non
- possiamo prenderci il lusso di lasciarcene sfuggire uno solo, o di dedicare i
- nostri sforzi a un individuo che non sia adatto per il compito che lo aspetta.
- George respinse il piatto vuoto e si portò alle labbra una tazza di caffè.
- - E che ne è di coloro... di coloro che non sono adatti?
- - Vengono Istruiti per mezzo di nastri e diventano i nostri Esperti di Scienze
- Sociali. Ingenescu è uno di loro. Io sono uno Psicologo. Noi rappresentiamo la
- seconda scelta, per così dire.
- George finì il caffè. - Mi sto ancora chiedendo... - cominciò.
- - Che cosa?
- George gettò via il lenzuolo e si alzò.
- - Perché le chiamano Olimpiadi?
- Titolo originale: Profession
- Prima edizione: Astounding, luglio 1957
- Traduzione di Riccardo Valla
- NOVE VOLTE SETTE
- Jehan Shuman era abituato a trattare con gli uomini che da molti anni
- dirigevano lo sforzo bellico terrestre. Non era un militare, Shuman, ma a lui
- facevano capo tutti i laboratori di ricerche incaricati di progettare i
- cervelli elettronici e gli automi impiegati nel conflitto.
- Di conseguenza, i generali gli prestavano ascolto. E lo stavano a sentire
- perfino i capi delle commissioni parlamentari.
- C'erano due esemplari di entrambe queste specie nella saletta del Nuovo
- Pentagono. Il generale Weider aveva il volto bruciato dagli spazi e la bocca
- molto piccola, quasi sempre atteggiata in una smorfia. Il deputato Brant aveva
- guance tonde, lisce, e occhi chiari. Fumava tabacco denebiano con
- l'indifferenza di un uomo il cui patriottismo è notorio e che può quindi
- permettersi certe libertà.
- Shuman, alto, elegante, e Programmatore di prima classe, li affrontò senza
- esitazione.
- Disse: - Signori, questo è Myron Aub.
- - Sarebbe lui l'individuo dotato di speciali capacità, che avete scoperto per
- caso? - disse il deputato Brant, senza scomporsi.
- - Bene! - Con bonaria curiosità squadrò l'omettino calvo, con la testa a uovo.
- L'ometto reagì intrecciando nervosamente le dita. Non era mai stato a contatto
- di persone così importanti in vita sua. Era un Tecnico d'infimo rango, già
- abbastanza avanti negli anni, che dopo aver fallito tutte le prove di
- selezione destinate a individuare i cervelli umani meglio dotati, s'era ormai
- rassegnato da anni a un lavoro oscuro e monotono. Ma poi il Grande
- Programmatore aveva scoperto il suo hobby e l'aveva trascinato qui.
- Il generale Weider disse: - Questa atmosfera di mistero mi sembra puerile.
- - Un minuto di pazienza - disse Shuman - e vedrà che cambierà idea. Si tratta
- di una cosa che non va assolutamente divulgata... Aub! - Pronunziò il nome
- monosillabico come se fosse un comando militare, ma era un Primo Programmatore
- e parlava a un semplice Tecnico. - Aub! Quanto fa nove volte sette?
- Aub esitò un istante. I suoi occhi smorti ebbero un fioco lampo di ansietà. -
- Sessantatré - disse.
- Il deputato Brant inarcò le sopracciglia. - È giusto?
- - Controlli lei stesso, onorevole.
- Il deputato trasse la sua calcolatrice tascabile, ne sfiorò con le dita due
- volte il bordo zigrinato, guardò il quadrante e la ripose in tasca. Disse: - E
- sarebbe questo il fenomeno che lei ci ha chiamato qui ad ammirare? Un
- illusionista?
- - Molto di più, onorevole. Aub ha mandato a memoria alcune operazioni e sa
- calcolare sulla carta.
- - Una calcolatrice di carta? - disse il generale. Sembrava deluso.
- - No, generale - disse Shuman, paziente. - Non è una calcolatrice di carta.
- Semplicemente un foglio di carta. Generale, vuol essere così gentile da
- proporre un numero qualsiasi?
- - Diciassette - disse il generale.
- - E lei, onorevole?
- - Ventitré.
- - Bene! Aub, moltiplichi questi due numeri e faccia vedere a questi signori in
- che modo esegue l'operazione.
- - Sissignore - disse Aub, chinando il capo. Trasse un taccuino da una tasca
- della camicia e una sottile matita da pittore dall'altra. La sua fronte era
- tutta aggrottata mentre tracciava faticosamente sulla carta dei piccoli segni.
- Il generale Weider lo interruppe in tono asciutto. - Mi faccia vedere.
- Aub gli porse il taccuino e Weider commentò: - Be', sembra il numero
- diciassette.
- Il deputato Brant annuì e disse: - Proprio così, ma è chiaro che chiunque può
- copiare dei numeri da una calcolatrice. Io stesso, credo, sarei capace di
- disegnare un diciassette passabile, anche senza esercizio.
- - Se i signori non hanno nulla in contrario, Aub potrebbe continuare -
- intervenne soavemente Shuman.
- Aub continuò, la mano un po' tremante. Infine disse a bassa voce: - La
- risposta è trecentonovantuno.
- Il deputato Brant consultò una seconda volta la sua calcolatrice tascabile. -
- Perdio, è esatto. Come ha fatto a indovinare?
- - Non ha indovinato, onorevole - disse Shuman. - Ha calcolato il risultato.
- L'ha fatto su questo foglietto di carta.
- - Storie - disse il generale con impazienza. - Una calcolatrice è una cosa e
- dei segni sulla carta un'altra.
- - Spieghi lei, Aub - disse Shuman.
- - Sissignore... Ecco, signori, io scrivo diciassette e subito sotto scrivo
- ventitré. Poi mi dico: sette volte tre...
- Il deputato lo interruppe pacatamente. - Attento, Aub, il problema è
- diciassette volte ventitré.
- - Sì, lo so, lo so - Sì affrettò a spiegare il piccolo Tecnico - ma io
- comincio col dire sette volte tre perché è così che funziona. Ora, sette volte
- tre fa ventuno.
- - E come lo sa lei? - chiese il deputato.
- - Me lo ricordo. Dà sempre ventuno sulla calcolatrice. L'ho controllato
- innumerevoli volte.
- - Questo non significa che lo darà sempre, però - disse il deputato.
- - Forse no - balbettò Aub. - Non sono un matematico. Ma vede, i miei risultati
- sono sempre esatti.
- - Vada avanti.
- - Sette volte tre fa ventuno, e io scrivo ventuno. Poi tre per uno fa tre,
- così io scrivo tre sotto il due di ventuno.
- - Perché sotto il due? - chiese il deputato Brant, secco.
- - Perché... - Aub lanciò un'occhiata implorante al suo superiore. - È
- difficile da spiegare.
- Shuman intervenne: - Direi che per il momento convenga accettare per buono il
- suo metodo e lasciare i particolari ai matematici.
- Brant si arrese.
- Aub proseguì: - Tre più due fa cinque, e perciò il ventuno diventa un
- cinquantuno. Ora, lasciamo stare per un momento questo numero e cominciamo da
- capo. Si moltiplica sette per due, che ci dà quattordici, e uno per due che ci
- dà due. Li scriviamo così e la somma ci dà trentaquattro. Ora se mettiamo il
- trentaquattro sotto il cinquantuno in questo modo, sommandoli otteniamo
- trecentonovantuno, che è il risultato finale.
- Vi fu un istante di silenzio e il generale Weider disse: - Non ci credo. È una
- bellissima filastrocca e tutto questo giochetto di numeri sommati e
- moltiplicati mi ha divertito molto, ma non ci credo. È troppo complicato per
- non essere una ciarlatanata.
- - Oh, no, signore - disse Aub, tutto sudato. - Sembra complicato perché lei
- non è abituato al meccanismo. Ma in realtà le regole sono semplicissime e
- funzionano con qualsiasi numero.
- - Qualsiasi numero, eh? - disse il generale. - Allora vediamo.
- - Trasse di tasca la sua calcolatrice (un severo modello militare) e la toccò
- a caso. - Scriva sul suo taccuino cinque sette tre e otto.
- Cioè cinquemilasettecentotrentotto.
- - Sissignore - disse Aub staccando un nuovo foglio di carta.
- - Ora - toccò di nuovo a caso la calcolatrice - sette due tre e nove.
- Settemiladuecentotrentanove.
- - Sissignore.
- - E adesso moltiplichi questi due numeri.
- - Ci vorrà un po' di tempo - balbettò Aub.
- - Non abbiamo fretta - disse il generale.
- - Cominci pure Aub - disse Shuman, tagliente.
- Aub cominciò a lavorare tutto chino. Staccò un secondo foglio di carta, poi un
- terzo. Finalmente il generale trasse di tasca l'orologio e lo considerò con
- impazienza. - Allora, ha finito coi suoi esercizi di magia?
- - Ci sono quasi arrivato, signore... Ecco il prodotto, signore. Quarantun
- milioni, cinquecentotrentasettemilatrecentottantadue. - Mostrò la cifra
- scarabocchiata in fondo all'ultimo foglio.
- Il generale Weider sorrise condiscendente. Premette il pulsante di
- moltiplicazione sulla sua calcolatrice e attese che il ronzio dei meccanismi
- tacesse. Poi guardò il quadrante della minuscola macchina e disse con voce
- rauca dallo stupore: - Grande Galassia, l'ha azzeccato in pieno.
- Il Presidente della Federazione Terrestre stentava ormai a mascherare, in
- pubblico, la tensione che lo rodeva e, in privato già permetteva che un'ombra
- di malinconia velasse i suoi lineamenti delicati, di uomo sensibilissimo. La
- guerra denebiana, dopo l'entusiasmo e l'unanime slancio dei primi anni, s'era
- rattrappita a un gioco inane di manovre e contromanovre. Sulla Terra lo
- scontento cresceva ogni giorno e cresceva forse anche su Deneb.
- E ora il deputato Brant, capo dell'importantissima Commissione Parlamentare
- sull'Organizzazione della Difesa, stava allegramente e placidamente dissipando
- la sua mezz'ora di colloquio in chiacchiere inutili.
- - Calcolare senza una calcolatrice - osservò il presidente con impazienza - È
- una contraddizione in termini.
- - Calcolare - disse il deputato - È soltanto un sistema per elaborare dei
- dati. Può farlo una macchina come può farlo il cervello umano. Permetta che le
- dia un esempio. - E, servendosi delle capacità da poco acquisite, prese a
- calcolare somme e prodotti finché il presidente suo malgrado sentì nascere un
- certo interesse.
- - E funziona sempre?
- - Infallibilmente, signor Presidente. Non sbaglia un colpo.
- - È difficile da imparare?
- - Mi ci è voluta una settimana per impadronirmi perfettamente del sistema. Ma
- immagino che lei...
- - Effettivamente - disse il presidente, pensoso - È un giochetto molto
- interessante. Ma a che cosa serve?
- - A che cosa serve un neonato, signor Presidente? Sul momento non serve a
- nulla, ma non vede che questo è il primo passo verso la liberazione dalle
- macchine? Consideri, signor Presidente - il deputato si alzò e la sua voce
- profonda prese automaticamente le cadenze dei discorsi parlamentari - che la
- guerra denebiana è una guerra di calcolatrici contro calcolatrici. Le
- calcolatrici nemiche formano uno scudo impenetrabile di contro-missili che
- fermano i nostri missili, e le nostre bloccano i loro nello stesso modo. Ogni
- volta che noi perfezioniamo le nostre calcolatrici, i Denebiani fanno lo
- stesso, e ormai da cinque anni si è creato un precario e inutile equilibrio di
- forze. Ora noi siamo in possesso di un metodo che ci permetterà di vincere le
- calcolatrici, di scavalcarle, di attraversarle. Potremo combinare la meccanica
- del calcolo automatico con il pensiero umano, avremo per così dire delle
- calcolatrici intelligenti; a miliardi. Non posso prevedere esattamente quali
- saranno le conseguenze; ma è chiaro che questa innovazione avrà una portata
- incalcolabile. E se Deneb ci arriva prima di noi, sarebbe una vera catastrofe.
- Con aria preoccupata il presidente disse: - Che cosa dovrei fare secondo lei?
- - Conceda il pieno appoggio del governo a un piano segreto per lo sviluppo del
- calcolo umano. Lo chiami Progetto 63, se vuole. Io rispondo della mia
- commissione, ma avrò bisogno del sostegno del governo.
- - Ma fin dove può arrivare il calcolo umano?
- - Non c'è limite. Secondo il Programmatore Shuman, che mi ha parlato per primo
- di questa scoperta...
- - Sì, ho sentito parlare di lui.
- - Bene, il dottor Shuman mi dice che in teoria tutto ciò che sa fare una
- calcolatrice lo può fare anche una mente umana. In sostanza la calcolatrice
- non fa altro che prendere un numero finito di dati ed eseguire con essi un
- numero finito di operazioni. La mente umana è perfettamente in grado di
- ripetere il procedimento.
- Il presidente rifletté per qualche istante. Infine disse: - Se lo dice Shuman,
- non ho motivo di dubitarne... Sarà verissimo. Almeno in teoria. Ma in pratica
- com'è possibile sapere in che modo lavora una calcolatrice?
- Brant sorrise affabilmente. - Le dirò, signor Presidente; gli ho fatto la
- stessa domanda. E sembra che un tempo le calcolatrici venissero progettate e
- disegnate direttamente dagli esseri umani. Si trattava naturalmente di
- macchine molto rudimentali, dato che ciò avveniva prima che si fosse affermato
- il principio, ben più razionale, di affidare alle stesse calcolatrici la
- progettazione di calcolatrici ancor più perfezionate.
- - Sì, sì. Continui.
- - Il Tecnico Aub aveva uno strano hobby: si divertiva a ricostruire queste
- macchine arcaiche e così facendo ebbe modo di studiare il loro funzionamento e
- scoprì che poteva imitarle. La moltiplicazione che ho eseguito poco fa è
- un'imitazione del funzionamento di una calcolatrice.
- - Straordinario!
- - Il deputato tossì leggermente. - E c'è un'altra cosa che vorrei farle
- presente, signor Presidente... quanto più riusciremo a sviluppare e ad
- estendere questo nostro progetto, con le sue infinite applicazioni, tanto
- maggiore sarà la percentuale di investimenti federali che potremo distogliere
- dalla produzione e dalla manutenzione delle calcolatrici. Via via che il
- cervello umano si sostituisce alla macchina, una parte crescente delle nostre
- energie o delle nostre risorse può essere dedicata a impieghi pacifici e in
- tal modo il peso della guerra sull'uomo comune andrà decrescendo
- progressivamente. Ed è inutile dire quanto un fatto simile favorisca il
- partito al potere.
- - Ah - disse il presidente. - Capisco ciò che lei intende. Bene, si accomodi,
- onorevole, si accomodi. Ho bisogno di riflettere sulla sua proposta... Ma
- intanto, mi faccia ancora vedere quel trucchetto della moltiplicazione.
- Vediamo se riesco a capire come funziona.
- Il Programmatore Shuman non tentò di affrettare le cose. Loesser era un
- conservatore, un uomo molto legato alla tradizione, e aveva per le
- calcolatrici la stessa passione che aveva animato suo padre e suo nonno prima
- di lui. Controllava tutta la rete di calcolatrici dell'Europa occidentale, e
- ottenere il suo pieno appoggio al Progetto 63 avrebbe rappresentato un passo
- avanti di notevole importanza.
- Ma Loesser esitava ancora. Disse: - Non vedo troppo di buon occhio quest'idea
- di mettere in secondo piano le calcolatrici. La mente umana è capricciosa. Una
- calcolatrice ci dà infallibilmente la stessa soluzione allo stesso problema,
- ogni volta. Chi ci garantisce che la mente umana sappia fare altrettanto?
- - La mente umana, Calcolatore Loesser, non fa che manipolare dei dati. E
- allora non ha importanza se ad eseguire l'operazione è la mente umana o la
- macchina. L'una e l'altra sono semplicemente degli strumenti, dei mezzi.
- - D'accordo, d'accordo. Ho studiato a fondo la sua ingegnosa dimostrazione e
- mi rendo conto che la mente è in grado di ripetere esattamente i procedimenti
- della macchina. Ma mi sembra lo stesso una cosa campata in aria. Anche
- ammettendo la validità della teoria, che ragioni abbiamo per credere che la
- teoria si possa applicare in pratica?
- - Ritengo che vi siano ragioni molto valide. Gli uomini non si sono sempre
- serviti delle calcolatrici. Gli abitanti delle caverne, con le loro triremi,
- le loro scuri di pietra e le loro ferrovie, non avevano calcolatrici.
- - E probabilmente non calcolavano nulla.
- - Lei sa bene che non è così. Perfino la costruzione di una strada ferrata o
- di una ziggurat richiedeva dei calcoli, sia pure elementari, e questi calcoli
- venivano evidentemente eseguiti senza macchine.
- - Lei intende dire che gli antichi calcolavano col metodo che lei mi ha
- dimostrato?
- - Probabilmente no. È un fatto che questo metodo (a proposito, noi l'abbiamo
- battezzato "grafitica", dalla vecchia parola europea "grafo", cioè "scrivere")
- deriva direttamente dalle calcolatrici, e dunque non può essere anteriore.
- Tuttavia i cavernicoli dovevano pur avere un loro metodo, no?
- - Arti perdute! Se lei mi vuol parlare delle arti perdute...
- - No, no, io non sono un fanatico delle arti perdute, anche se non posso
- escludere che ce ne siano state. Dopo tutto, l'uomo mangiava grano anche prima
- dell'idroponica, e se i primitivi mangiavano grano dovevano per forza
- coltivarlo nel suolo. Che altro sistema potevano avere?
- - Non lo so, ma crederò nella coltura in terra quando vedrò del grano crescere
- direttamente dal suolo. E crederò che si possa ottenere il fuoco strofinando
- due schegge di pietra quando lo vedrò fare sotto i miei occhi.
- Shuman divenne suadente. - Comunque sia, torniamo alla grafitica. Secondo me,
- va considerata un aspetto del generale processo di eterealizzazione. Il
- trasporto mediante veicoli più o meno ingombranti sta cedendo il posto al
- trasferimento diretto. I mezzi di comunicazione tradizionali diventano sempre
- più maneggevoli ed efficienti. Provi per esempio a confrontare la sua
- calcolatrice tascabile con gli enormi cervelli elettronici di mille anni fa.
- Perché non dovremmo fare l'ultimo passo su questa via, ed eliminare
- completamente le calcolatrici? Andiamo, il Progetto 63 è già in corso di
- realizzazione; già si registrano notevoli progressi. Ma abbiamo bisogno del
- suo aiuto. Se il patriottismo non basta a farle prendere una decisione,
- consideri la prodigiosa avventura intellettuale che ci sta di fronte.
- Loesser disse in tono scettico: - Che progressi? Che potete fare oltre la
- moltiplicazione? Potete integrare una funzione trascendentale?
- - Col tempo arriveremo anche a questo. Durante il mese scorso ho imparato ad
- eseguire le divisioni. Sono in grado di determinare con assoluta precisione
- quozienti interi e quozienti decimali.
- - Quozienti decimali? Con quanti decimali?
- Il Programmatore Shuman si sforzò di dare alla sua voce un tono indifferente.
- - Non ci sono limiti.
- Loesser lo guardò sbalordito. - Senza calcolatrice?
- - Mi ponga lei stesso un problema.
- - Provi a dividere ventisette per tredici. Con sei decimali.
- Cinque minuti dopo Shuman disse: - Due virgola zero sette sei nove due tre.
- Loesser controllò il risultato. - Ma è straordinario. Le moltiplicazioni non
- mi avevano impressionato gran che, perché, insomma, comportano solo dei numeri
- interi, e avevo l'impressione che potesse trattarsi di un trucco. Ma i
- decimali...
- - E questo non è tutto. Stiamo lavorando in una direzione che fino a questo
- momento è ancora segretissima e che, a rigore, non dovrei rivelare a nessuno.
- Comunque... Stiamo per aprire una breccia nel fronte della radice quadrata.
- - La radice quadrata?
- - La cosa comporta naturalmente alcuni passaggi difficilissimi e ancora non
- disponiamo di tutti gli elementi, ma il Tecnico Aub, l'uomo che ha inventato
- la nuova scienza e che è dotato di una intuizione stupefacente, in questo
- campo, afferma di aver quasi risolto il problema. Ed è soltanto un Tecnico. Un
- uomo come lei, un matematico espertissimo e con un'intelligenza superiore, non
- dovrebbe trovare nessuna difficoltà.
- - Radici quadrate - mormorò affascinato Loesser.
- - Anche cubiche. Allora, possiamo considerarla dei nostri?
- Loesser gli tese di scatto la mano. - D'accordo.
- Il generale Weider camminava avanti e indietro a un'estremità del lungo
- salone, rivolgendosi ai suoi ascoltatori con i modi di un insegnante severo
- che ha di fronte una classe indisciplinata. Al generale non faceva né caldo né
- freddo che il suo pubblico fosse composto dagli scienziati civili che
- dirigevano il Progetto 63. Egli era il supervisore, la massima autorità, e
- tale si considerava in ogni attimo della sua giornata.
- Disse: - Le radici quadrate sono una bellissima cosa. Personalmente, non sono
- capace ad estrarle e neppure capisco le operazioni relative, ma sono
- certamente una bellissima cosa. Tuttavia, il governo non può permettere che il
- Progetto si perda appresso a quelli che alcuni di voi chiamano gli aspetti
- fondamentali del problema. Sarete liberi di giocare con la grafitica e
- adoperarla in tutti i modi che vorrete quando la guerra sarà finita; ma adesso
- abbiamo da risolvere dei problemi pratici della massima importanza.
- In un angolo il Tecnico Aub ascoltava con dolorosa attenzione. Non era più,
- naturalmente, un Tecnico; lo avevano sollevato dalle sue vecchie funzioni, e
- destinato al progetto, con un titolo altisonante e un lauto stipendio. Ma le
- differenze sociali restavano, e gli scienziati d'alto rango non avevano mai
- accondisceso ad ammetterlo nelle loro file su un piede di parità. Né, per
- rendere giustizia ad Aub, egli lo desiderava. Con loro si sentiva a disagio
- come loro con lui.
- Il generale diceva: - Il nostro obiettivo è semplice, signori; sostituire la
- calcolatrice. Un'astronave che può navigare nello spazio senza avere a bordo
- un cervello elettronico può essere costruita in un tempo inferiore di cinque
- volte, e con una spesa inferiore di dieci volte, a una nave munita di
- calcolatrice. Se potessimo eliminare le calcolatrici saremmo in condizione di
- costruire delle flotte cinque, dieci volte più numerose di quelle di Deneb. E
- al di là di questo primo grande passo, io intravedo qualcosa di ancor più
- rivoluzionario; un sogno, per ora; ma in futuro io vedo il missile guidato
- dall'uomo!
- Tra il pubblico si diffuse un lungo mormorio.
- Il generale proseguì. - Attualmente, la nostra più grave "strozzatura" è data
- dal fatto che i missili dispongono di una intelligenza limitata. La
- calcolatrice che li guida può non superare certe dimensioni e un certo peso,
- ed è per questo che trovandosi in una situazione imprevista, di fronte a un
- nuovo tipo di sbarramento anti-missile, i nostri apparecchi danno risultati
- così mediocri. Pochissimi, come sapete, raggiungono gli obiettivi, e la guerra
- missilistica è ormai una continua elisione; infatti il nemico è fortunatamente
- nelle stesse condizioni nostre. Mentre un missile avente a bordo uno o due
- uomini, in grado di dirigere il volo mediante la grafitica, sarebbe molto più
- leggero, più mobile, più intelligente. Ci darebbe quel margine di superiorità
- che ci porterà alla vittoria. Inoltre, signori, le esigenze della guerra ci
- obbligano a tener presente anche un altro punto. Un uomo è uno strumento
- infinitamente più economico di una calcolatrice. I missili con equipaggio
- umano potrebbero essere lanciati in numero tale e in tali circostanze quali
- nessun generale sano di mente oserebbe mai prendere in considerazione se
- avesse a sua disposizione soltanto dei missili automatici...
- Disse ancora molte altre cose, ma il Tecnico Aub aveva sentito abbastanza.
- Nell'intimità della sua stanza, il Tecnico Aub passò molto tempo a correggere
- e ricorreggere la lettera che intendeva lasciare. Il testo definitivo, quando
- lo rilesse, suonava così:
- Quando cominciai a studiare la scienza che oggi si chiama grafitica, la
- consideravo alla stregua di un passatempo privato. Non vedevo, in essa, altro
- che un divertimento stimolante, un esercizio mentale.
- Quando il Progetto 63 venne istituito, io ritenevo che i miei superiori
- vedessero più lontano di me; che la grafitica potesse essere messa al servizio
- dell'umanità, potesse contribuire, per esempio, alla realizzazione di congegni
- veramente pratici per il trasporto individuale. Ma ora capisco che sarà usata
- solo per spargere morte e distruzione.
- Non posso sopravvivere alla responsabilità di aver inventato la grafitica.
- Lentamente, diresse verso se stesso un depolarizzatore delle proteine e, senza
- provare alcun dolore, cadde istantaneamente fulminato.
- Erano tutti raccolti, sull'attenti, intorno alla tomba del piccolo Tecnico,
- mentre veniva reso omaggio alla grandezza della sua scoperta.
- Il Programmatore Shuman chinò solennemente il capo insieme agli altri, ma non
- era commosso. Il Tecnico aveva fatto la sua parte, e ormai non c'era più
- bisogno di lui. Certo, era stato lui a inventare la grafitica, ma ora che la
- nuova scienza aveva messo le ali, avrebbe continuato da sola, di trionfo in
- trionfo, fino al giorno in cui i missili avrebbero solcato gli spazi guidati
- dall'uomo. E oltre ancora.
- Nove volte sette, pensò Shuman con profonda contentezza, fa sessantatré, e non
- ho bisogno che me lo venga a dire una calcolatrice. La calcolatrice ce l'ho
- nella testa.
- E questo gli dava un senso di potenza davvero esaltante.
- Titolo originale: The Feeling of Power Prima edizione: If, febbraio 1958
- Traduzione di Carlo Fruttero
- CONCLUSIONE ERRATA
- Parte prima
- Era quasi una riunione di compagni di corso, e sebbene non avesse niente di
- gioioso, ancora non c'era motivo di pensare che sarebbe finita in tragedia.
- Edward Tagliaferro, che era appena arrivato dalla Luna e ancora non si era
- "fatto le gambe" per sopportare la gravità terrestre, andò a raggiungere gli
- altri due nella stanza di Stanley Kaunas. Kaunas si alzò per accoglierlo, ma
- senza vivacità. Battersley Ryger non si alzò affatto, limitandosi a un cenno
- di saluto.
- Tagliaferro calò la persona robusta sul divano, movendosi con precauzione, ben
- consapevole del proprio insolito peso. Abbozzò una smorfia, storcendo le
- labbra entro la corona di baffi e barba che circondava la bocca nascondendo il
- mento e le guance.
- Si erano già visti nel corso del giorno, in circostanze più formali. Ora erano
- soli per la prima volta, e Tagliaferro osservò: - È un po' un'occasione,
- questa. Ci si ritrova per la prima volta dopo dieci anni. Anzi, per la prima
- volta da quando ci siamo laureati.
- Ryger arricciò il naso che dieci anni prima gli avevano rotto, tanto che si
- era presentato a ricevere il diploma di laurea in astronomia con una
- fasciatura che gli sfigurava tutta la faccia. In tono risoluto, ordinò: -
- Nessuno ha ordinato lo champagne, o qualcosa del genere?
- - Andiamo - protestò Tagliaferro. - Il primo grande raduno astronomico
- interplanetario non è occasione per i musi lunghi. E tra amici, poi!
- - È la Terra - saltò su Kaunas. - C'è qualcosa che non va. Non riesco più a
- riabituarmici. - Scosse la testa, ma l'espressione depressa non si lasciava
- scrollar via. Permaneva, ostinata.
- - Lo so - disse Tagliaferro. - Mi sento un pachiderma. Questo peso mi toglie
- tutte le energie. Se vogliamo, tu stai meglio di me, Kaunas. La gravità di
- Mercurio è di 0,4 rispetto al normale. Sulla Luna, invece, è 0,16. -
- Interruppe Ryger che stava per interloquire, aggiungendo: - E su Cerere usano
- campi di pseudo-gravità regolati sullo 0,8. Tu proprio non hai problemi,
- Ryger.
- L'astronomo ceriano sembrava seccato. - Sì, quello dell'aria aperta. Uscire
- all'aperto senza la tuta mi fa impressione.
- - Ha ragione - approvò Kaunas - e lasciare che il sole ti batta addosso? Non
- me ne parlare.
- Quasi senza accorgersene, Tagliaferro si sentiva riandare indietro nel tempo.
- Non erano cambiati molto. Neppure lui, del resto, era cambiato. Erano tutti
- più vecchi di dieci anni, naturalmente. Ryger era un po' ingrassato e la
- faccia scarna di Kaunas si era fatta un po' coriacea; ma li avrebbe
- riconosciuti entrambi, anche se li avesse rivisti per caso, inaspettatamente.
- - Parliamoci chiaro - disse - io non credo che sia la Terra a darci sui nervi.
- Kaunas rialzò bruscamente la testa. Era un individuo mingherlino, moveva le
- mani con gesti rapidi e nervosi. Abitualmente, vestiva panni che avevan l'aria
- di cascargli un po' dalla persona.
- - Villiers, eh? - disse. - Lo so. E ci penso, ogni tanto. - Poi, con aria di
- disperazione: - Ho ricevuto una sua lettera.
- Ryger si tirò su di scatto, la sua carnagione olivastra parve farsi ancora più
- scura. Con energia, domandò: - Davvero? Quando?
- - Un mese fa.
- Ryger guardò Tagliaferro. - E tu?
- L'altro batté placidamente le palpebre e assentì.
- - È diventato matto - disse Ryger. - Asserisce d'avere scoperto un metodo
- pratico per trasferire la massa attraverso lo spazio... L'ha detto anche a
- voialtri? Ecco, vedete? Un po' tocco lo era sempre stato. Ora è ammattito del
- tutto.
- Si massaggiò energicamente il naso e Tagliaferro ripensò al giorno in cui
- Villiers gliel'aveva rotto.
- Da dieci anni, Villiers li ossessionava come l'ombra vaga di una colpa che in
- realtà essi non avevano. Insieme avevano fatto gli studi universitari e la
- specializzazione, quattro elementi scelti e appassionati del loro mestiere,
- che venivano addestrati per una professione assurta a nuovi vertici in
- quell'epoca di viaggi interplanetari.
- Sugli altri mondi, circondati dal vuoto e liberi dall'aria che offuscava le
- immagini, si stavano aprendo nuovi osservatori.
- C'era l'Osservatorio Lunare, dal quale era possibile studiare la Terra e i
- pianeti più interni del Sistema Solare; un mondo di silenzio, nel cui cielo
- pendeva, come sospeso, il pianeta natio.
- L'Osservatorio di Mercurio, il più vicino al sole, appollaiato presso il polo
- nord di Mercurio, dove la linea di divisione tra la parte illuminata e quella
- in ombra era pressoché immobile, e il sole, fisso sull'orizzonte, poteva
- essere studiato nei più piccoli particolari.
- L'Osservatorio di Cerere, il più recente, il più moderno, il cui campo
- d'esplorazione si estendeva da Giove alle più lontane galassie.
- C'erano svantaggi, si sa. Essendo i viaggi interplanetari ancora difficoltosi,
- i permessi sarebbero stati rari, condurre una vita normale sarebbe stato
- praticamente impossibile; ma quella era ugualmente una generazione fortunata.
- Gli scienziati degli anni a venire avrebbero trovato ben mietuti i campi della
- conoscenza, e fino all'invenzione della propulsione interstellare, nessun
- orizzonte altrettanto vasto si sarebbe più dischiuso.
- Ciascuno dei membri del fortunato quartetto, Tagliaferro, Ryger, Kaunas e
- Villiers, si sarebbe trovato nella posizione di un Galileo, il quale, per il
- solo fatto di possedere il primo, vero telescopio, non poteva puntarlo da
- nessuna parte, nel cielo, senza fare una grossa scoperta.
- Ma ecco che Villiers si era ammalato di febbri reumatiche. Di chi era colpa?
- Quelle febbri gli avevano lasciato il cuore debole e malaticcio.
- Villiers era il più brillante dei quattro, il più appassionato, il più
- dotato... e non poteva nemmeno finire i suoi studi per conseguire la
- specializzazione.
- Peggio ancora, non avrebbe mai potuto lasciare la Terra; l'accelerazione di un
- decollo d'astronave gli sarebbe costata la vita.
- Tagliaferro era stato destinato alla Luna, Ryger a Cerere, Kaunas a Mercurio.
- Soltanto Villiers sarebbe rimasto a casa, prigioniero a vita della Terra.
- Avevano cercato di esprimergli la loro comprensione, e Villiers l'aveva
- respinta con un'animosità che rasentava l'odio. Li aveva insolentiti e
- maledetti. Quando Ryger, persa la pazienza, aveva fatto l'atto di reagire,
- Villiers l'aveva investito, urlando come una furia, e gli aveva fratturato il
- naso con un pugno.
- Ryger, ovviamente, se ne ricordava molto bene, mentre si accarezzava piano
- piano il naso con il dito.
- Kaunas aveva la fronte aggrottata. - È qui alla Convenzione, sapete... -
- disse. - Ha una stanza qui nell'albergo: la 405.
- - Io non voglio vederlo - dichiarò Ryger.
- - Sta venendo su. Ha detto che voleva parlarci. Pensavo... Per le nove, ha
- detto. Sarà qui a momenti.
- - Quand'è così - disse Ryger - non avertene a male ma io me ne vado. - Si
- alzò.
- - Ma no, aspetta - interloquì Tagliaferro. - Che male c'è a vederlo, in fondo?
- - Nessun male, ma non c'è scopo. È un pazzo.
- - E con ciò? Su, non facciamo i ragazzini. Hai paura di lui?
- - Paura! - Ryger aveva un tono sprezzante.
- - Innervosito, allora. Che motivo hai di innervosirti?
- - Non sono affatto nervoso - protestò Ryger.
- - Sì che lo sei. Ci sentiamo tutti in colpa verso di lui, e senza nessuna
- ragione. Niente di quanto è accaduto era colpa nostra. - Ma stava parlando in
- tono di difesa, e lo sapeva.
- E quando, proprio in quell'istante, sentirono bussare all'uscio, trasalirono
- tutti e tre e si girarono a fissare, a disagio, la barriera che stava tra loro
- e Villiers.
- La porta si aprì e Romero Villiers entrò nella stanza. Gli altri si alzarono
- rigidamente per salutarlo e rimasero così, impacciati, senza che una sola mano
- venisse tesa.
- L'altro li fissava, con aria sardonica.
- Lui sì, è cambiato, pensò Tagliaferro.
- Era cambiato. Sembrava rimpicciolito in tutti i sensi. L'atteggiamento un po'
- curvo lo faceva apparire perfino più basso. La pelle del cranio luccicava
- attraverso i capelli radi, il dorso delle mani era solcato di nodose vene
- bluastre. Aveva l'aspetto sofferente. Sembrava non esserci più niente che lo
- collegasse con il ricordo del passato, salvo forse il vezzo di farsi schermo
- agli occhi con una mano quando fissava intensamente e, quando parlava, il tono
- baritonale, ben modulato e fermo della voce.
- - Amici miei! - disse. - Amici viaggiatori dello spazio! Ci siamo persi di
- vista.
- - Ciao, Villiers - disse Tagliaferro.
- Villiers lo guardò. - Come stai?
- - Non c'è male.
- - E voialtri due?
- Kaunas mormorò qualcosa, abbozzando un mezzo sorriso. Ryger scattò: -
- Coraggio, Villiers. Che cosa c'è?
- - Ryger, il collerico - disse Villiers. - Come va su Cerere?
- - Andava tutto bene, quando ne sono venuto qui. E qui sulla terra?
- - Puoi vederlo da te - rispose l'altro; ma si era irrigidito, nel dirlo. -
- Spero - continuò - che il motivo per cui siete venuti alla Convenzione, tutti
- e tre, sia di ascoltare la comunicazione che farò io dopodomani.
- - La tua comunicazione? Quale? - domandò Tagliaferro.
- - Vi ho scritto tutto, in proposito. Il mio metodo di trasferimento di massa.
- Ryger sorrideva con un solo angolo della bocca. - Ci hai scritto, sì. Non hai
- parlato affatto di comunicazioni, però, e non ricordo affatto che tu sia in
- lista tra gli oratori. Se ci fosse stato il tuo nome, me ne sarei accorto.
- - Hai ragione. Non sono in lista. Non ho neppure preparato un estratto per la
- pubblicazione.
- Villiers si era fatto tutto rosso e Tagliaferro disse, con fare conciliante: -
- Non agitarti, Villiers. Non stai bene, si vede.
- Villiers si girò di scatto, le labbra contratte. - Il mio cuore regge, grazie.
- - Senti, Villiers - interloquì Kaunas - se non sei tra gli oratori e se non
- hai preparato...
- - Sentite voi, piuttosto. Ho aspettato dieci anni. Voi avete gli incarichi
- nello spazio mentre io debbo fare l'insegnante qui sulla Terra, ma in compenso
- io valgo più di tutti quanti voi stessi messi insieme.
- - Siamo d'accordo... - cominciò a dire Tagliaferro.
- - E non voglio la vostra condiscendenza, sia ben chiaro. Mandel è stato
- testimone. Immagino che avrete sentito parlare di Mandel. Bene, è il
- presidente della divisione di astronautica, alla Convenzione, e io gli ho dato
- una dimostrazione di trasferimento di massa. Era un congegno rudimentale, ed è
- saltato dopo che l'avevo usato una volta sola... Mi state ascoltando?
- - Ti stiamo ascoltando - disse gelidamente Ryger - per quello che serve.
- - Mandel lascerà che io ne parli a modo mio. Potete scommettere che lo farà.
- Senza pubblicità. Senza nessun preavviso. Lancerò la notizia come una bomba.
- Quando darò a tutti i dati fondamentali della mia scoperta, la Convenzione si
- scioglierà. Tutti si precipiteranno a far ritorno ai rispettivi laboratori,
- per controllare quei dati e costruire le apparecchiature necessarie. E
- constateranno che funzionano. Sono riuscito a far sparire un topo vivo da un
- angolo del mio laboratorio e farlo riapparire all'angolo opposto. Mandel ha
- visto, era presente.
- Li guardava, fissando intensamente prima l'uno, poi l'altro. - Non mi credete,
- vero?
- - Visto che non vuoi pubblicità - osservò Ryger - perché vieni a dircelo?
- - Con voi, è diverso. Siete miei amici, i miei compagni di studi. Quelli che
- se ne sono andati nello spazio e mi hanno lasciato indietro.
- - Non è dipesa da noi, la scelta - obiettò Kaunas con voce acuta, un po'
- stridula.
- Villiers lo ignorò. - Così, ho voluto informarvi subito. Quello che funziona
- per un topo funzionerà anche per un essere umano. Quello che può muovere di
- tre metri una cosa attraverso un locale di laboratorio potrà spostarla
- attraverso lo spazio di milioni di chilometri. Sarò sulla Luna, su Mercurio,
- su Cerere e in qualsiasi altro luogo dove mi piaccia andare. Uguaglierò e
- supererò ciascuno di voi. E avrò fatto più io per l'astronomia, rimanendomene
- qui a insegnare e a pensare, che tutti quanti voi con i vostri osservatori, i
- vostri telescopi, le vostre macchine fotografiche e le vostre navi spaziali.
- - Bene - disse Tagliaferro. - Mi fa piacere. Ti auguro di arrivare lontano.
- Potrei vedere una copia del tuo lavoro?
- - Ah, no. - Villiers si portò le mani al petto, come per stringersi al cuore
- dei fogli invisibili e proteggerli dalla curiosità altrui. - Aspetterai anche
- tu, come tutti. Ne ho una copia soltanto, e nessuno la vedrà finché non lo
- dirò io. Nemmeno Mandel.
- - Una copia! - esclamò Tagliaferro. - Ma se per caso tu la perdessi...
- - Non la perderò. E quand'anche, ho tutto qui nel cervello.
- - Se tu... - Tagliaferro per poco non finì la frase con un "morissi", ma si
- fermò in tempo. Invece, continuò dopo una pausa impercettibile -...avessi buon
- senso, provvederesti almeno a filmicopiarlo. Tanto per precauzione.
- - No - disse Villiers, sbrigativo. - Mi ascolterete dopodomani. Vedrete
- l'orizzonte umano espandersi, in un solo colpo, come mai era accaduto finora.
- Fissò di nuovo uno per uno, con aria intenta: - Dieci anni - disse. -
- Arrivederci.
- - È pazzo - proruppe Ryger, rabbiosamente, fissando la porta come se Villiers
- fosse ancora fermo là.
- - Matto? - ripeté Tagliaferro, pensosamente. - Sì, forse si, in un certo
- senso. Ci odia per motivi irrazionali. E poi, il fatto di non avere neppure
- filmicopiato il lavoro a titolo di precauzione...
- Nel dire questo, Tagliaferro giocherellava con il suo minuscolo
- filmicopiatore. Era un semplice cilindro di colore neutro, un po' più corto e
- un po' più grosso di una normale matita. In anni recenti, era diventato il
- contrassegno dello scienziato, proprio come lo stetoscopio lo era del medico e
- il micro-calcolatore lo era dell'esperto di statistica. Il filmicopiatore si
- portava in una tasca della giacca, o fissato a una manica per mezzo di una
- clip, o infilato dietro l'orecchio, o semplicemente appeso a una catenella.
- A volte, quando era in vena di meditazioni, Tagliaferro si domandava come
- avessero fatto ai tempi in cui i ricercatori erano costretti a prendere
- faticosi appunti o a tenere ristampe e fotocopie in grandezza normale. Che
- cosa ingombrante!
- Ora, bastava far scorrere il filmicopiatore su qualsiasi pagina scritta a mano
- o stampata per avere un micro-negativo da svilupparsi se e quando ve ne fosse
- stato bisogno. Tagliaferro aveva già registrato ogni estratto incluso nel
- fascicolo del programma, lì alla Convenzione. Gli altri due, ne era
- assolutamente certo, avevano fatto come lui.
- - Considerate le circostanze - disse ancora - rifiutarsi di filmicopiare è
- follia.
- - Per lo spazio! - proruppe Ryger, accalorandosi. - Per me non esiste nessun
- lavoro, nessuna scoperta. Quello è capace di qualsiasi bugia pur di far vedere
- che vale più di noi.
- - Già, ma... come se la caverà dopodomani? - obiettò Kaunas.
- - E che ne so, io? è pazzo.
- Tagliaferro stava ancora giocherellando con il copiatore, domandandosi
- oziosamente se non fosse il caso di rimuovere e sviluppare alcune delle
- minuscole striscioline di film immagazzinate nell'interno dell'apparecchietto.
- Poi, decise di lasciar perdere. - Non sottovalutate Villiers - disse. - È un
- bel cervello.
- - Dieci anni fa, forse - disse Ryger. - Ora è un visionario. Sentite, perché
- non parliamo d'altro?
- Parlava a voce alta, quasi volesse scacciare l'argomento Villiers e tutto ciò
- che a quello si ricollegava grazie alla veemenza con cui discuteva del resto.
- Cominciò a raccontare di Cerere e del suo lavoro: la radio-planimetria della
- Via Lattea, con nuovi radioscopi dotati di tale potere risolutivo da
- individuare ogni singola stella.
- Kaunas ascoltava e assentiva, poi diede a sua volta informazioni riguardanti
- le radio-emissioni delle macchie solari e il suo lavoro, già pubblicato, sul
- rapporto tra le tempeste di protoni e le vampate di idrogeno sulla superficie
- solare.
- Tagliaferro contribuì poco o niente alla conversazione. Il lavoro lunare era
- privo di fascino, a confronto. Le ultimissime informazioni sulle previsioni
- del tempo su lunga scala non si potevano certo paragonare con i radioscopi e
- le tempeste di protoni.
- Inoltre, non riusciva a staccare il pensiero da Villiers. Villiers era il
- cervello del gruppo. Tutti loro lo sapevano. Perfino Ryger, nonostante i
- discorsi che faceva, doveva essere convinto che, se il trasferimento di massa
- era possibile, Villiers ne era lo scopritore più probabile.
- La discussione sul loro lavoro personale non ammontava ad altro che
- all'ammissione, fatta un po' a tortocollo, di non avere concluso molto,
- nessuno di loro. Tagliaferro si era tenuto al corrente e lo sapeva. Le sue
- pubblicazioni erano state di poca importanza. Lo stesso si poteva dire degli
- altri due.
- Nessuno di loro, tanto valeva ammetterlo, era assurto alle altezze dei grandi
- scopritori. Gli ambiziosi sogni dei giorni di scuola non si erano avverati.
- Erano tre ricercatori competenti, ma non si sollevavano al di sopra della
- media. Capaci, sì, ma niente di più e niente di meno. E lo sapevano.
- Villiers sarebbe diventato ben altro. Sapevano anche questo. Ed era quella
- consapevolezza ad alimentare il loro antagonismo nei confronti del collega.
- Tagliaferro sentiva suo malgrado che Villiers, nonostante tutto, poteva ancora
- diventare qualcuno. Anche gli altri dovevano pensarlo, naturalmente, e ben
- presto avrebbero finito per trovare la loro mediocrità insopportabile. La
- comunicazione sul trasferimento della massa sarebbe stata approvata e Villiers
- sarebbe diventato un grand'uomo, come sembrava che fosse scritto in cielo,
- mentre i suoi compagni di corso, nonostante i vantaggi goduti, sarebbero
- finiti nell'oblio. La loro parte sarebbe stata unicamente quella di
- applaudire, mescolati tra la folla anonima.
- Sentiva tutta la propria invidia e il proprio avvilimento; ne provava
- vergogna, ma non poteva fare a meno di sentirli.
- La conversazione languì e a un tratto Kaunas, evitando lo sguardo dei
- colleghi, disse: - Sentite, perché non facciamo una capatina dall'amico
- Villiers?
- C'era una falsa cordialità in quella proposta, uno sforzo di mostrarsi
- disinvolto che non convinceva affatto. - Non c'è ragione di lasciar sussistere
- tanta acredine... È senza alcuna necessità...
- Tagliaferro pensò: "Vuole sapere se è vera la scoperta sul trasferimento di
- massa. Si augura che si tratti soltanto del farneticare di un visionario. Deve
- appurarlo, o non riuscirà a chiudere occhio, stanotte".
- Ma era curioso a sua volta di sapere, per cui non fece obiezioni, e perfino
- Ryger alzò le spalle con malagrazia e disse: - Ma sì, perché no?
- Mancava poco alle undici.
- Tagliaferro venne svegliato da uno squillo insistente: qualcuno bussava alla
- porta della sua camera. Si sollevò su un gomito, nell'oscurità, con un vivo
- senso di indignazione. Il tenue chiarore dell'indicatore sul soffitto lo
- informava che non erano ancora le quattro del mattino.
- - Chi è? - gridò.
- La bussata continuava, con trilli brevi e insistenti.
- Brontolando, Tagliaferro si infilò la vestaglia. Aprì la porta e ammiccò nella
- luce del corridoio. Riconobbe l'uomo che gli stava di fronte dalle foto
- tridimensionali che aveva visto abbastanza spesso.
- Ciò nonostante, l'uomo si presentò, con un brusco bisbiglio: - Mi chiamo
- Hubert Mandel.
- - Lo so, signore. - Mandel era in astronomia uno dei Nomi, noto abbastanza per
- ricoprire un'importante carica direttiva presso l'Ufficio Astronomico
- Mondiale, attivo al punto da essere Presidente della Sezione Astronautica, lì
- alla Convenzione.
- Tagliaferro si ricordò all'improvviso che era Mandel quello al quale Villiers
- affermava d'avere dato dimostrazione del suo esperimento per trasferire la
- massa. Chissà perché, il pensiero di Villiers destò in lui un senso di
- apprensione.
- - Lei è il dottor Edward Tagliaferro? - disse Mandel.
- - Sì, signore.
- - Allora si vesta e venga con me. È molto importante. Riguarda una conoscenza
- comune.
- - Il dottor Villiers?
- Un breve lampo passò nello sguardo di Mandel. L'uomo aveva ciglia e
- sopracciglia talmente bionde da dare ai suoi occhi un aspetto nudo e
- stranamente slavato.
- - Perché ha pensato subito a Villiers?
- - Ha nominato lei, ieri sera. Non so di altre conoscenze comuni.
- Mandel assenti, aspettò che Tagliaferro finisse di vestirsi, poi s'incamminò
- per primo, facendo strada. Ryger e Kaunas stavano aspettando in una stanza un
- piano più su di quella di Tagliaferro. Kaunas aveva gli occhi rossi e appariva
- turbato. Ryger fumava nervosamente una sigaretta.
- - Siamo tutti qui - osservò Tagliaferro. - Un'altra riunione. - Il suo
- commento cadde nel vuoto.
- Lui allora si mise a sedere e rimasero a fissarsi, tutti e tre. Ryger accennò
- una stretta di spalle.
- Mandel andava su e giù, le mani sprofondate nelle tasche. - Chiedo scusa
- d'avervi disturbato, signori - disse - e vi ringrazio della collaborazione.
- Vorrei poter fare ulteriore affidamento su di voi. Il nostro amico, Romero
- Villiers, è morto. Circa un'ora fa, il suo cadavere è stato portato via
- dall'albergo. La morte è sopravvenuta per collasso cardiaco.
- Seguì un silenzio carico di stupore. La sigaretta di Ryger oscillò a
- mezz'aria, poi ricadde, senza arrivare alle labbra.
- - Poveraccio - mormorò Tagliaferro.
- - È orribile - bisbigliò in tono rauco Kaunas. - Era... - La voce gli mancò.
- Ryger si scosse. - Be', aveva il cuore molto malato. Non c'è niente da fare,
- purtroppo.
- - Una piccola cosa - lo corresse tranquillamente Mandel. - Chiarire il
- mistero.
- - Che cosa significa? - domandò Ryger, subito attento.
- - Voi tre quando l'avete visto, l'ultima volta?
- Rispose Tagliaferro. - Ieri sera. C'è stata una specie di riunione. Era la
- prima volta che ci rivedevamo, dopo dieci anni. Non è stata, mi dispiace
- molto, un'allegra rimpatriata. Villiers sentiva d'avere motivi di rancore
- verso di noi, ed era pieno di amarezza.
- - Questo è stato... a che ora?
- - Verso le nove, la prima volta.
- - La prima volta?
- - Più tardi, nel corso della serata, l'abbiamo rivisto.
- Kaunas aveva sempre l'aria turbata. - Si era congedato da noi in modo brusco.
- Ci dispiaceva lasciare le cose così. Dovevamo fare almeno un gesto di buona
- volontà. In fondo, un tempo eravamo stati molto amici. Così siamo andati in
- camera sua e...
- Mandel non lo lasciò finire. - Siete entrati tutti, in quella stanza?
- - Sì - confermò Kaunas, sorpreso.
- - A che ora?
- - Le undici, credo. - Kaunas guardò gli altri due. Tagliaferro assentì.
- - E quanto tempo vi siete trattenuti?
- - Due minuti circa - disse Ryger. - Ci ha ordinato di andarcene, quasi fossimo
- lì per rubargli il suo lavoro. - Tacque, come aspettandosi che Mandel
- domandasse quale lavoro, ma Mandel taceva e lui continuò: - Penso che lo
- tenesse sotto il cuscino. Per lo meno, si era steso quasi sopra il cuscino,
- mentre ci gridava di andarcene.
- - Forse stava già per morire - disse Kaunas, in un mormorio pieno d'orrore.
- - A quell'ora no - disse sbrigativo Mandel. - Così, tutti voi probabilmente,
- avrete lasciato delle impronte in quella camera.
- - È probabile, sì - convenne Tagliaferro. Stava perdendo un po' del suo
- istintivo rispetto per Mandel e si sentiva invece riassalire dall'impazienza.
- Mandel o non Mandel, erano le quattro del mattino! - Insomma, di che cosa si
- tratta? - domandò.
- - Bene, signori - disse Mandel - la morte di Villiers nasconde più di quanto
- possa apparire a prima vista. Il lavoro di Villiers, l'unica copia esistente
- per quanto ne so io, è stato ficcato dentro l'inceneritore istantaneo per i
- mozziconi e se ne sono salvati soltanto pochi brandelli. Non avevo mai visto
- né letto quei fogli, ma conoscevo abbastanza bene l'argomento di cui
- trattavano per essere disposto a giurare in tribunale, se necessario, che i
- resti di carta rimasti nell'inceneritore appartenevano al lavoro di cui
- Villiers intendeva darci lettura alla Convenzione... Lei ha l'aria piuttosto
- dubbiosa, dottor Ryger.
- Ryger sorrideva, incredulo. - Dubito che avesse davvero intenzione di farlo.
- Se vuole il mio parere, signore, Villiers era pazzo. Da dieci anni era
- prigioniero della Terra e per lui fantasticare sul trasferimento di massa era
- una forma di evasione. La sola cosa che lo tenesse in vita, probabilmente.
- Sarà riuscito ad architettare chissà quale dimostrazione fraudolenta. Non dico
- che la frode fosse deliberata. Probabilmente, era follemente sincero e
- sinceramente folle. Ieri sera c'è stata la crisi, diremo così. È venuto nella
- nostra stanza - ci odiava, perché avevamo potuto allontanarci dalla Terra - e
- ci ha schiacciati con la sua superiorità. Da dieci anni, viveva in attesa di
- quel momento. Chissà, forse a contatto con la realtà avrà ritrovato in parte
- l'equilibrio mentale. Sapeva di non poter presentare veramente quel lavoro;
- non c'era niente di concreto di cui dare lettura. Così ha bruciato quei fogli
- e poi il suo cuore ha ceduto. È triste, ma...
- Mandel era rimasto ad ascoltare l'astronomo di Cerere con aria di viva
- disapprovazione. - Un'abile ricostruzione, dottor Ryger - disse - ma
- completamente sbagliata. Non mi lascio incantare da false dimostrazioni così
- facilmente come lei sembra ritenere. Ora, stando ai pochi dati che ho potuto
- controllare in fretta e furia, voi tre eravate suoi compagni di corso
- all'università. Esatto?
- Assentirono.
- - Ci sono altri vostri compagni di corso, presenti alla Convenzione?
- - No - disse Kaunas. - Eravamo i soli quattro, quell'anno, che si laureavano
- in astronomia. Poi Villiers si è ammalato e...
- - Sì, capisco - disse Mandel. - Bene, in questo caso, uno di voi tre è tornato
- a far visita a Villiers, ieri sera, verso la mezzanotte.
- Cadde un breve silenzio. Poi Ryger dichiarò, in tono gelido: - Io no di certo.
- - Kaunas, a occhi sgranati, scuoteva la testa.
- - Che cosa vorrebbe insinuare? domandò Tagliaferro.
- - Uno di voi è tornato là, a mezzanotte, e ha insistito per vedere quei fogli.
- Per quale motivo, lo ignoro. Presumibilmente, con la deliberata intenzione di
- spingere Villiers verso il collasso cardiaco. Appena Villiers è crollato, il
- criminale, se posso chiamarlo così, ha agito con molta prontezza. Si è
- impadronito dei fogli che, probabilmente, erano davvero nascosti sotto il
- cuscino, e li ha filmicopiati. Poi, ha distrutto il lavoro originale
- nell'inceneritore-lampo, ma aveva fretta e la distruzione è rimasta
- incompleta.
- - Lei come lo sa tutto questo? - domandò Ryger. - È stato testimone, per caso?
- - Quasi - rispose Mandel. - Villiers non è morto, quando ha avuto il primo
- collasso. Appena il criminale se ne è andato, lui è riuscito ad attaccarsi al
- telefono e a chiamare la mia stanza. Con voce rotta, ha pronunciato alcune
- frasi, sufficienti a delineare quanto è accaduto. Disgraziatamente io non ero
- in camera mia; ero a una conferenza, che si è protratta fino a tarda ora.
- Tuttavia, la segreteria telefonica ha registrato il messaggio. Ascolto sempre
- la registrazione delle chiamate, quando rientro dopo un'assenza. Abitudini da
- burocrate. Ho richiamato ma, evidentemente, lui era già morto.
- - Bene - disse Ryger - ma che cosa diceva, quel messaggio?
- - Non molto, e quel poco non era ben comprensibile. Ma una frase risonava ben
- chiara. Era "compagno di corso".
- Tagliaferro sfila il copiatore dalla tasca interna della giacca e lo porse a
- Mandel. Tranquillamente, disse: - Se crede, sviluppi pure il film del mio
- copiatore, la prego. Non troverà di certo il lavoro di Villiers.
- All'istante, Kaunas fece lo stesso, e Ryger, con fiero cipiglio, lo imitò.
- Mandel prese in consegna i tre copiatori, osservando seccamente: - C'è da
- presumere che il colpevole abbia già tolto il pezzo di film di cui dicevamo.
- In ogni modo...
- Tagliaferro inarcò la fronte. - L'autorizzo a perquisire la mia persona e la
- mia camera - disse.
- Ma Ryger era sempre più accigliato. - Un momento, un momento! Lei, scusi, è
- forse della polizia?
- Mandel lo fissò. - Vuole la polizia, sì? Vuole uno scandalo e un'accusa di
- omicidio? Vuole che la Convenzione venga sospesa e che la stampa si diverta a
- infamare l'astronomia e gli astronomi? La morte di Villiers potrebb'essere
- stata anche accidentale. Il cuore malato lui l'aveva. Quello di voi che è
- stato là potrebbe avere agito senza premeditazione. Se costui restituirà il
- negativo, risparmieremo a tutti un bel numero di seccature e di guai.
- - Anche al criminale? - domandò Tagliaferro.
- Mandel allargò le braccia. - Non lo so. Certo, non posso promettergli
- l'immunità. Ma, se anche subirà delle conseguenze, eviterà lo scandalo e la
- prigione, cose che sarebbero inevitabili se venisse messa di mezzo la polizia.
- Silenzio.
- - È stato uno di voi tre - disse Mandel.
- Silenzio.
- - Credo di capire il ragionamento del colpevole - continuò Mandel. -
- L'originale sarebbe andato distrutto. Soltanto noi quattro sapevamo del
- trasferimento di massa e io solo avevo assistito a una dimostrazione. Inoltre,
- voi avevate soltanto la parola di lui, la parola di un pazzo, forse sul fatto
- che io l'avessi visto. Morto Villiers di collasso cardiaco e scomparso il
- lavoro originale, sarebbe stato facile credere alla teoria del dottor Ryger, e
- cioè che il trasferimento di massa non esisteva né era mai esistito. Poi,
- trascorsi un anno o due, il nostro criminale, in possesso dei dati necessari,
- avrebbe potuto rivelarli a poco a poco, montare esperimenti, pubblicare
- prudentemente dei risultati e, infine, approdare all'apparente scoperta, con
- tutto quello che avrebbe comportato di fama e di guadagni. Nemmeno i suoi
- antichi compagni di corso avrebbero avuto sospetti. Al massimo, avrebbero
- pensato che il colloquio con Villiers lo aveva ispirato a condurre ricerche in
- quel campo. Niente di più.
- Mandel guardò severamente dall'uno all'altro. - Ma niente di tutto questo gli
- riuscirà, ora. Se uno di voi tre dovesse farsi avanti come l'inventore del
- trasferimento della massa, si auto-proclamerebbe un criminale. Ho visto la
- dimostrazione; so che era ineccepibile; so che uno di voi possiede la copia di
- quel lavoro. Di conseguenza, i dati non gli sono di nessuna utilità e, perciò,
- li restituisca.
- Silenzio.
- Mandel andò verso la porta, poi tornò a girarsi. - Vi sarei grato se voleste
- rimanere qui fino al mio ritorno. Non ci vorrà molto. Spero che il colpevole
- approfitterà di questo intervallo per riflettere. Se teme che una confessione
- possa costargli l'impiego, si ricordi che l'intervento della polizia potrebbe
- fargli perdere la libertà e costargli la Sonda Psichica. - Prese con sé i tre
- copiatori, assunse un'espressione truce e, al tempo stesso, assonnata. - Vado
- a sviluppare questi film.
- Kaunas tentò di sorridere. - E se, durante la sua assenza, cercassimo di
- prendere la fuga?
- - Uno soltanto di voi ha ragione di tentarla - rispose Mandel. - Penso di
- poter contare sui due innocenti perché controllino il colpevole, non fosse che
- per auto-protezione.
- E lasciò la stanza.
- Erano le cinque del mattino. Ryger guardò indignato l'orologio. - Ma che razza
- d'una storia! Io voglio dormire.
- - Possiamo tentare di dormire qui - disse Tagliaferro, filosoficamente. -
- Nessuno di voi pensa di fare una confessione?
- Kaunas non gli rispose e Ryger abbozzò una smorfia.
- - Pare di no. - Tagliaferro chiuse gli occhi, appoggiò la grossa testa contro
- lo schienale della poltrona e disse con voce stanca: - Lassù sulla Luna, ora è
- stagione morta. Abbiamo una notte di due settimane, e allora si lavora e si
- lavora. Poi, vengono due settimane di sole, e allora non si fanno che calcoli,
- correlazioni e così via. È il momento peggiore. Lo detesto. Se almeno ci
- fossero più donne, se potessi organizzare qualcosa di permanente...
- In un bisbiglio, Kaunas parlò del fatto che era ancora impossibile avere
- l'intero sole al di sopra dell'orizzonte e in vista del telescopio su
- Mercurio. Ma grazie ad altri tre chilometri di rotaie che presto sarebbero
- stati posati per l'Osservatorio - per spostare l'intero complesso, capito? La
- spinta necessaria era tremenda, bisognava sfruttare direttamente l'energia
- solare - forse la cosa sarebbe stata risolta. Bisognava che fosse risolta.
- Perfino Ryger acconsentì a parlare di Cerere, dopo avere ascoltato il mormorio
- delle altre due voci. Là c'era il problema del periodo di rotazione di due
- ore, il che significava che le stelle schizzavano attraverso il cielo a una
- velocità angolare dodici volte superiore a quella che avevano nel cielo della
- Terra. Una rete di tre radioscopi, tre luci-scopi, tutto triplo, insomma,
- coglieva e passava i campi di studio da un'apparecchiatura all'altra via via
- che quelle sfrecciavano oltre.
- - Non potreste usare uno dei poli? - domandò Kaunas.
- - Tu pensi a Mercurio e al Sole - replicò Ryger, spazientito. - Perfino ai
- poli, il cielo continuerebbe a rotare, e una metà rimarrebbe sempre nascosta.
- Ora, se Cerere mostrasse una faccia soltanto al sole, come fa Mercurio,
- potremmo avere un cielo permanentemente notturno, con le stelle, stelle che
- ruotano lentamente, una volta ogni tre anni.
- Fuori il cielo si rischiarava e, lentamente, spuntava l'alba.
- Tagliaferro era mezzo addormentato, ma stava bene attento a rimanere sveglio
- almeno in parte. Ciascuno di noi, pensava, in questo momento si sta
- domandando: "Chi? Chi?"... be', salvo il colpevole, naturalmente.
- Tagliaferro riaprì gli occhi di scatto, perché Mandel stava rientrando. Il
- cielo, visto dalla finestra, era diventato azzurro. Tagliaferro era contento
- che la finestra fosse chiusa. L'albergo aveva l'aria condizionata,
- naturalmente, ma durante le stagioni più miti dell'anno le finestre, volendo,
- potevano essere aperte da quei terrestri che amavano l'illusione di respirare
- l'aria fresca. Tagliaferro, che aveva in mente il vuoto della Luna,
- rabbrividiva al solo pensiero con vero sgomento.
- - Nessuno di voi ha niente da dire? - domandò Mandel.
- Lo fissarono tutti senza battere ciglio. Ryger fece segno di no.
- - Ho sviluppato i film dei vostri copiatori - riprese Mandel - e ho esaminato
- i risultati. - Gettò sul letto copiatori e materiale sviluppato. - Niente!...
- Avrete un po' di difficoltà a dividere i film, temo. Me ne dispiace. E ora,
- c'è ancora la questione del film mancante.
- - Se manca davvero - disse Ryger, con un portentoso sbadiglio.
- - Proporrei, signori, che mi accompagnaste tutti nella stanza di Villiers -
- disse Mandel.
- Kaunas lo guardò, meravigliato. - Perché?
- - Forse una misura psicologica? - domandò Tagliaferro - Portiamo il criminale
- sulla scena del delitto e il rimorso lo indurrà a confessare?
- - La ragione, assai meno melodrammatica - disse Mandel - È che vorrei l'aiuto
- dei due che sono innocenti per poter ritrovare il film mancante del lavoro di
- Villiers.
- - Pensa che sia là? - domandò Ryger, con aria di sfida.
- - Può darsi. È un modo per cominciare. Poi, possiamo passare a perquisire le
- vostre stanze. Il simposio sull'Astronautica non comincerà prima di domani
- mattina alle 10. Abbiamo tempo fino a quell'ora.
- - E poi?
- - Può darsi che si debba far intervenire la polizia.
- Avanzarono, esitanti, nella stanza di Villiers. Ryger era rosso, Kaunas era
- pallido. Tagliaferro si sforzava di rimanere calmo.
- La sera innanzi avevano visto quella stanza con la luce artificiale e con
- Villiers che, torvo e scarmigliato, si aggrappava al cuscino, fissandoli con
- ira e ordinando loro di andarsene. Ora, là dentro stagnava l'odore
- indefinibile della morte.
- Mandel armeggiò con il polarizzatore della finestra per fare entrare altra
- luce, ma sbagliò nel regolarlo, così che il sole, da oriente, filtrò nella
- stanza.
- Subito Kaunas levò le braccia per farsi schermo agli occhi e gridò: - Il sole!
- - in modo tale che gli altri si sentirono raggelare.
- La faccia di Kaunas mostrava una sorta di terrore, come se fosse il sole
- mercuriano quello di cui egli aveva colto la visione accecante.
- Tagliaferro pensò alla propria reazione alla possibilità di una finestra
- aperta e digrignò i denti. Dieci anni di lontananza dalla Terra avevano
- influito sul loro sistema nervoso.
- Kaunas corse alla finestra, trafficò con il polarizzatore, poi si lasciò
- sfuggire un grido strozzato.
- Mandel gli fu subito accanto. - Che cosa c'è? - Gli altri due accorsero.
- La città si stendeva sotto di loro fino all'orizzonte, come un mare di pietra
- e di tegole inondato dal sole mattutino, con le parti in ombra verso di loro.
- Tagliaferro gettò fuori un'occhiata furtiva e di disagio.
- Kaunas, con il petto contratto al punto da non riuscire a emettere un suono,
- fissava qualcosa di molto più vicino. Là, sul davanzale esterno, con un angolo
- conficcato per sicurezza dentro una piccola crepa del cemento, c'era una
- strisciolina lunga tre centimetri di pellicola color latte, sulla quale
- battevano in pieno i raggi del sole.
- Con un'esclamazione irata e incoerente, Mandel sollevò di scatto il telaio
- della finestra e afferrò il microfilm. Gli fece riparo con la mano a coppa,
- fissandolo con gli occhi ardenti e arrossati.
- - Aspettate qui! - ordinò ai tre.
- Non c'era niente da ribattere. Mandel uscì, loro sedettero e rimasero a
- fissarsi l'un l'altro, con aria istupidita.
- Di li a venti minuti, Mandel era di ritorno. Tranquillamente (ma con voce che
- dava, non si sa come, l'impressione d'essere calma solo perché il proprietario
- era ormai al di là di qualsiasi reazione) disse: - L'angolo infilato nella
- crepa non era sovresposto. Ho potuto decifrare alcune parole. È proprio il
- lavoro di Villiers. Il resto è rovinato; niente potrà essere recuperato. Il
- testo è perduto per sempre.
- - E ora? - domandò Tagliaferro. - Che cosa si fa?
- Mandel alzò le spalle, sfinito. - A questo punto, non me ne importa più
- niente. Il trasferimento della massa è perduto fino al giorno in cui un altro
- genio come Villiers arriverà allo stesso risultato. Mi proverò a lavorarci io,
- ma non mi faccio illusioni sulle mie capacità. Perduto il materiale, mi sembra
- che voialtri tre, colpevoli oppure no, non abbiate più nessuna importanza. Che
- differenza fa? - L'intera sua persona sembrava indebolita e affondata nella
- disperazione.
- Ma Tagliaferro protestò, con voce dura: - Eh no, un momento! Ai suoi occhi,
- ognuno di noi tre può essere colpevole. Io, per esempio. Lei è un uomo che
- conta, nel nostro campo, e certo non avrà mai una buona parola da dire per me.
- Potrebbe diffondersi il concetto generale ch'io sia incompetente, o peggio.
- Non mi lascerò rovinare dall'ombra di un sospetto. Su, vediamo di risolvere
- questa faccenda.
- - Non sono un investigatore, io! - replicò Mandel, svogliatamente.
- - E allora, maledizione, chiamiamo la polizia.
- - Un momento, Tagliaferro. Stai per caso insinuando che il colpevole sia io? -
- volle sapere Ryger.
- - Dico soltanto che io sono innocente.
- Kaunas cominciò a protestare, atterrito: - Significherà la Sonda Psichica per
- ciascuno di noi. Potremmo riportare danni mentali...
- Mandel levò in aria tutt'e due le braccia. - Signori! Signori! Per favore! C'è
- una cosa che potremmo fare, per evitare di chiamare la polizia; e lei ha
- ragione, dottor Tagliaferro, sarebbe ingiusto verso gli innocenti lasciare
- questa faccenda in sospeso.
- Tutti si girarono verso di lui, e tutti erano più o meno ostili. - Che cosa
- propone? - domandò Ryger.
- - Ho un amico di nome Wendell Urth. Forse l'avrete sentito nominare, forse no,
- ma ora vedrò se posso convincerlo a riceverci stasera stessa.
- - Scusi, e dopo che l'avrà convinto? - volle sapere Tagliaferro. - Che cosa ce
- ne verrà in tasca?
- - È un uomo strano - disse Mandel, con fare esitante. - Molto strano. È molto
- brillante, a modo suo. Ha aiutato la polizia in diverse occasioni e chissà che
- non possa aiutare noi.
- Parte seconda
- Edward Tagliaferro non poteva trattenersi dal fissare, assolutamente
- sbalordito, la stanza e il suo occupante. L'una e l'altro sembravano esistere
- in una sorta di isolamento, sembravano essere parte di un mondo non
- riconoscibile. I rumori della Terra erano assenti in quel nido bene imbottito
- e senza finestre. Luce e aria terrestri erano state bandite in favore del
- condizionamento e dell'illuminazione artificiale.
- La stanza era larga, in penombra e molto ingombra. Loro si erano fatti strada
- attraverso un pavimento disseminato di oggetti fino a un divano dal quale dei
- libri-filmati erano stati spazzati in là bruscamente e scaraventati in un
- angolo, alla rinfusa.
- Il proprietario della stanza aveva una faccia larga e rotonda sopra un corpo
- rotondo e tozzo. Si moveva svelto sulle gambe corte, movendo a scatti la
- testa, nel parlare, a rischio di sbalzar via le grosse lenti dalla
- piccolissima protuberanza a pallottola che gli serviva da naso. Gli occhi un
- po' sporgenti, dalle palpebre spesse, lasciavano vagare sugli ospiti lo
- sguardo miope e bonario, mentre egli se ne stava installato alla combinazione
- sedia-scrivania, illuminata direttamente dall'unica lampada forte della
- stanza.
- - Davvero gentili a venire, signori. Scusino, prego, le condizioni della mia
- stanza. - Agitò le tozze dita in un gesto ampio. - Ero occupato a catalogare i
- molti oggetti di interesse extraterrologico che ho accumulato. Una fatica
- tremenda. Per esempio...
- Schizzò dal sedile e s'infilò in un mucchio di oggetti accanto alla scrivania
- finché portò alla luce un qualcosa di color grigio-fumo, semitrasparente e
- vagamente cilindrico. - Questo - disse - È un oggetto callistano che potrebbe
- anche essere appartenuto a entità intelligenti non-umane. Non è certo. Ne sono
- stati scoperti una dozzina in tutto, e questo, ch'io sappia, è il singolo
- esemplare più perfetto.
- Lo gettò in un canto e Tagliaferro trasalì. L'ometto grassoccio lo guardò e si
- affrettò a rassicurarlo: - È infrangibile. - Tornò a sedersi, intrecciò
- strettamente le dita grassocce sull'addome, dove rimasero ad andare su e giù,
- a tempo con il suo respiro. - E allora, che cosa posso fare per questi
- signori?
- Hubert Mandel aveva fatto le presentazioni e Tagliaferro stava riflettendo
- intensamente. Senza dubbio era stato un certo Wendell Urth che, recentemente,
- aveva pubblicato un libro dal titolo Processi Evoluzionari Comparativi sui
- Pianeti ad Acqua e Ossigeno. Gli sembrava impossibile che si trattasse della
- stessa persona.
- - Dottor Urth - domandò - È lei l'autore di Processi Evoluzionari Comparativi?
- Un sorriso di beatitudine si allargò sul volto di Urth. - L'ha letto?
- - Be', no, non l'ho letto, ma...
- All'istante l'espressione di Urth divenne censoria. - Allora deve leggerlo.
- Subito! Aspetti, devo averne una copia...
- Balzò di nuovo dalla sedia e subito Mandel gridò: - Aspetta, Urth, una cosa
- per volta! La cosa è seria, capisci?
- Costrinse praticamente Urth a sedersi di nuovo e cominciò a parlare
- rapidamente, come per impedire il sorgere di ulteriori motivi di distrazione.
- Riferì l'intera storia con encomiabile economia di parole.
- Urth ascoltava, e intanto andava facendosi sempre più rosso in viso. Afferrò
- gli occhiali e se li spinse più in alto sul naso. - Trasferimento della massa!
- - esclamò.
- - L'ho visto con i miei occhi - assicurò Mandel.
- - E non mi dicevi niente.
- - Avevo giurato di mantenere il segreto. Era un uomo... strano ecco. Ma questo
- te l'ho già spiegato.
- Urth percoteva con il pugno la scrivania. - Mandel, Mandel, come hai potuto
- permettere che una simile scoperta rimanesse di proprietà di un pazzoide?
- Bisognava cavargli i dati con la Sonda Psichica, se necessario.
- - A rischio di ucciderlo - protestò Mandel.
- Ma Urth si dondolava avanti e indietro, con le mani premute con forza sulle
- tempie. - Il trasferimento della massa. Il solo modo in cui la gente civile
- dovrebbe viaggiare. Il solo modo possibile! L'unico concepibile! Se l'avessi
- saputo. Se fossi stato là io. Ma l'albergo dista quasi cinquanta chilometri,
- da qui.
- Ryger, che ascoltava con espressione annoiata, interloquì: - Se non sbaglio
- c'è la linea diretta, per il Palazzo delle Convenzioni. In dieci minuti, lei
- poteva essere là.
- Urth s'irrigidì e fissò Ryger in modo strano. Gonfiò le guance. Poi balzò in
- piedi e sgattaiolò via dalla stanza.
- - Cosa diavolo gli è preso? - domandò Ryger.
- - Maledizione - brontolò Mandel. - Avrei dovuto avvertirvi.
- - Di che?
- - Il dottor Urth non viaggia con nessun genere di mezzo di trasporto. È una
- fobia. Lui si sposta unicamente a piedi.
- Kaunas batté le palpebre per la meraviglia, nel suo angolo un po' in penombra.
- - Ma non è un extraterrologo? Un esperto delle forme di vita sugli altri
- pianeti?
- Tagliaferro si era alzato e ora se ne stava davanti a una Lente Galattica
- montata su un piedistallo. Fissava lo scintillio interno dei sistemi stellari.
- Non aveva mai visto una Lente così grande e così elaborata.
- - Sì, è un extraterrologo - disse Mandel - ma non ha mai visitato nessuno dei
- pianeti di cui è esperto né mai lo farà. In trent'anni, dubito che sia mai
- andato più in là di un chilometro da casa sua.
- Ryger rise.
- Mandel si fece rosso di rabbia. - Vi sembra ridicolo, lo so, ma ugualmente vi
- sarò grato se, in presenza del dottor Urth, starete tutti molto attenti a come
- parlate.
- Urth ritornò di lì a pochi istanti. - Le mie scuse, signori - mormorò. - E ora
- vediamo di affrontare il nostro problema. Forse uno di voi desidera
- confessare.
- Tagliaferro storse le labbra. Quell'extraterrologo grassoccio, prigioniero
- delle proprie manie, non era certo individuo da strappare una confessione a
- qualcuno con la sua presenza. Fortunatamente, non vi sarebbe stato bisogno del
- talento investigativo di Urth, ammesso che quel talento esistesse.
- - Dottor Urth - disse a voce alta Tagliaferro - lei è in qualche rapporto con
- la polizia?
- Una cert'aria tronfia parve diffondersi sulla faccia rubizza dell'altro. -
- Ufficialmente no, dottor Tagliaferro, ma in senso non ufficiale i miei
- rapporti con quei signori sono ottimi.
- - In questo caso, le dirò io qualcosa che lei poi potrà riferire alla polizia.
- Urth contrasse l'addome e diede una tiratina al davanti della camicia. Un
- lembo uscì dalla cintura dei calzoni e lui, con molta calma, se ne servi per
- lucidare gli occhiali. - E sarebbe?
- - Le dirò chi era presente quando Villiers è morto e chi ha filmicopiato quei
- fogli.
- - Così, lei ha chiarito il mistero?
- - È tutta la giornata che ci penso. Credo proprio d'averlo risolto. -
- Tagliaferro se la godeva, vedendo che le sue parole facevano effetto.
- - Bene, allora?
- Edward Tagliaferro tirò un profondo respiro. Non sarebbe stato facile,
- nonostante vi si stesse preparando da ore. - Il colpevole - dichiarò - È
- evidentemente il dottor Hubert Mandel.
- Mandel fissò Tagliaferro con un'indignazione immediata, che quasi gli mozzava
- il respiro. - Senta un po', dottore - proruppe, con voce tonante - non so su
- quali basi lei appoggi una così ridicola...
- La voce tenorile di Urth si fece udire sopra la breve esitazione dell'altro. -
- Lascialo parlare, Hubert, sentiamo che cosa dice. Hai sospettato di lui, non
- c'è legge che gli impedisca di sospettare di te.
- Mandel si chiuse in un irritato silenzio.
- Senza permettere alla sua voce di tremare, Tagliaferro continuò: - È più che
- un sospetto, dottor Urth. La cosa parla da sé, direi. Quattro di noi sapevano
- del trasferimento di massa ma uno soltanto, il dottor Mandel, aveva assistito
- a una dimostrazione pratica. Lui sapeva che era un fatto concreto. Sapeva che
- il lavoro scritto sull'argomento esisteva. Noi tre sapevamo soltanto che
- Villiers era più o meno squilibrato. Sì, ci saremo anche detti che una
- possibilità, tutto sommato, esisteva. Siamo andati da lui verso le undici
- proprio perché, penso, avevamo questa pulce nell'orecchio, anche se nessuno di
- noi voleva ammetterlo apertamente... Ma lui si è comportato da pazzo più del
- solito.
- "In un secondo momento, la pregherò di esaminare le cognizioni particolari e i
- motivi del dottor Mandel. Per adesso, dottor Urth, la invito a raffigurarsi la
- scena. Chiunque abbia affrontato Villiers a mezzanotte, l'abbia visto crollare
- e abbia filmicopiato il lavoro scritto (lasciamolo pure anonimo, per il
- momento) dev'essere rimasto terribilmente spaventato nel vedere Villiers
- tornare alla vita, diremo così, e nel sentirlo parlare al telefono. Preso dal
- panico, il nostro criminale si è reso conto di una sola cosa: doveva
- sbarazzarsi dell'unico indizio materiale che potesse incriminarlo.
- "Doveva, cioè, sbarazzarsi del film ancora da sviluppare, e sbarazzarsene in
- modo da nasconderlo in luogo sicuro, per poterlo riprendere in seguito. Sempre
- che, nel frattempo, non fosse stato smascherato. Il davanzale esterno della
- finestra era un nascondiglio ideale. In tutta fretta, il criminale ha
- sollevato il telaio della finestra di Villiers, ha sistemato la strisciolina
- di film all'esterno e ha lasciato la stanza. Ora, quand'anche Villiers non
- fosse morto, oppure, quand'anche la telefonata fatta dal morente avesse dato
- dei risultati, vi sarebbe stata soltanto la parola di Villiers contro quella
- del colpevole, e sarebbe stato facile dimostrare che Villiers era uno
- squilibrato."
- Tagliaferro tacque, già assaporando il trionfo. La sua tesi, indubbiamente,
- era irrefutabile.
- Wendell Urth lo fissava battendo le palpebre e facendo girare i pollici delle
- mani intrecciate, facendoli battere via contro l'ampio davanti della camicia.
- - E l'importanza di tutto questo?
- - L'importanza risiede nel fatto che la finestra è stata aperta e il film
- collocato all'aperto. Ora, Ryger vive da dieci anni su Cerere, Kaunas su
- Mercurio e io sulla luna, questo salvo brevi permessi e per di più molto rari.
- Appunto ieri, parlando tra noi, abbiamo spesso accennato alla difficoltà di
- riambientarci sulla Terra.
- "I nostri mondi-di-lavoro sono tutti e tre ambienti senz'aria. Non usciamo mai
- all'aperto senza la tuta. Per noi, esporci a uno spazio non chiuso e
- delimitato è impensabile. Nessuno di noi sarebbe stato in grado di aprire una
- finestra senza prima sostenere una lotta con se stesso. Il dottor Mandel,
- invece, ha vissuto esclusivamente sulla Terra. Aprire una finestra, per lui, è
- soltanto questione di un piccolissimo sforzo muscolare. Lui poteva farlo. Noi
- no. Ergo, è stato lui."
- Tagliaferro tacque, si appoggiò meglio alla spalliera del divano e sorrise.
- - Perdiana, ma è così! - esclamò Ryger, con entusiasmo.
- - Non è affatto così, invece - tuona Mandel, sollevandosi in parte dalla
- sedia, come tentato di afferrare Tagliaferro per il collo.
- - Nego l'intera, miserabile menzogna. E la registrazione che ho della
- telefonata di Villiers, allora? Lui ha usato l'espressione "compagno di
- corso". L'intero nastro rende evidente...
- - Era in punto di morte - lo interruppe Tagliaferro. - Lei stesso ha ammesso
- che gran parte di quanto Villiers ha detto è incomprensibile. Senza avere
- ascoltato il nastro, io le domando, dottor Mandel, se non è forse vero che la
- voce di Villiers risulta alterata e irriconoscibile.
- - Be'... - balbettò Mandel, confuso.
- - Sicuramente è così. Viene istintivo domandarsi, allora, se lui stesso non
- abbia truccato in precedenza quel nastro, completando il tutto con
- l'espressione incriminante "compagno di corso".
- - Santo cielo - obiettò Mandel - come potevo sapere che c'erano dei compagni
- di corso alla Convocazione? Come potevo sapere che erano stati informati sul
- trasferimento di massa?
- - Potrebbe averglielo detto Villiers. Presumo, anzi, che sia così.
- - Ora ascoltate me - disse Mandel. - Voialtri tre avete visto Villiers vivo
- alle undici. Il perito legale, nell'esaminare il cadavere di Villiers poco
- dopo le 3 del mattino, ha dichiarato che la morte risaliva a un paio d'ore
- prima, come minimo. L'ora del decesso, perciò, era compresa tra le 11 e la una
- di stanotte. Ieri sera, io sono stato a una conferenza, che è finita
- tardissimo. Posso provare dove mi trovavo, cioè a chilometri dall'albergo, tra
- le 10 e le 2 di notte, e lo confermerà almeno una decina di testimoni, tutti
- al di sopra di qualsiasi sospetto. Vi basta, sì?
- Tagliaferro rimase un momento silenzioso, poi continuò, ostinatamente. - E va
- bene. Ammettiamo che lei sia rientrato in albergo alle 2,30. È andato nella
- stanza di Villiers per parlargli di qualcosa. Ha trovato la porta aperta,
- oppure aveva una seconda chiave. In ogni modo, l'ha trovato morto. Ne ha
- subito approfittato per filmare quei fogli con il copiatore...
- - Ma se lui era già morto, e non poteva fare telefonate, perché io avrei
- nascosto il film?
- - Per allontanare da sé ogni sospetto. Poteva anche avere in suo possesso una
- seconda copia del film, messa al sicuro. Del resto, chi ci dice che il lavoro
- originale sia andato davvero distrutto? Di questo, abbiamo soltanto la sua
- parola.
- - Ora basta, ora basta - Sì impose Urth. - È un'ipotesi interessante, dottor
- Tagliaferro, che però crolla sotto il suo stesso peso.
- Tagliaferro lo guardò, accigliandosi. - Questa sarà la sua opinione, forse...
- - Sarebbe l'opinione di chiunque. Di chiunque sia dotato della capacità di
- ragionare, s'intende. Ma non vede che Hubert Mandel ha fatto troppe cose per
- poter essere lui il criminale?
- - No - disse Tagliaferro.
- Wendell Urth sorrise benignamente. - Come scienziato, dottor Tagliaferro, lei
- sicuramente non commetterà l'errore di innamorarsi delle teorie, a esclusione
- dei fatti e dei ragionamenti. Mi faccia il piacere di comportarsi in modo
- analogo anche come investigatore.
- "Rifletta: il dottor Mandel, sia che avesse provocato la morte di Villiers e
- si fosse poi procurato un alibi, sia che avesse trovato Villiers morto e si
- fosse avvantaggiato del fatto, non avrebbe avuto proprio niente da fare!
- Perché filmare il lavoro scritto o addirittura asserire che qualcun altro
- l'aveva fatto? Poteva impadronirsene, semplicemente. Chi altri ne conosceva
- l'esistenza? Nessuno, in pratica. Non c'era motivo di pensare che Villiers
- avesse parlato di quello scritto con altri. Villiers era un tipo riservato e
- segreto per natura. No, proprio non c'era motivo di pensare che ne avesse
- parlato con qualcuno.
- "Nessuno sapeva che Villiers avrebbe fatto una comunicazione, salvo il dottor
- Mandel. Non era stata annunciata. Non era stata pubblicata negli estratti. Il
- dottor Mandel poteva prendere quello scritto e portarselo via, sicurissimo di
- farla franca.
- Ammettiamo perfino che fosse al corrente del fatto che Villiers aveva parlato
- con i compagni di corso. E con ciò? Quale prova avrebbero avuto quei compagni,
- salvo la parola di uno che loro stessi propendevano a ritenere matto?
- "Con l'annunciare invece che il lavoro di Villiers era stato distrutto, col
- dichiarare che la morte poteva non essere avvenuta per cause naturali, col
- frugare la stanza alla ricerca della copia filmata - in breve, col fare tutto
- quello che ha fatto - il dottor Mandel ha suscitato sospetti che lui solo
- poteva suscitare, quando non avrebbe dovuto fare altro che starsene tranquillo
- dopo avere compiuto il delitto perfetto. Se fosse lui il criminale, sarebbe
- più stupido, più colossalmente ottuso di qualsiasi altro che io conosca. E il
- dottor Mandel, alla fin fine, non è proprio niente di tutto questo."
- Tagliaferro aveva un bell'arrovellarsi, non aveva proprio niente da replicare.
- - Ma allora chi è stato? - domandò Ryger.
- - Uno di voi tre, è evidente.
- - Ma quale?
- - Oh, anche questo è evidente. Ho capito chi di voi era colpevole nell'attimo
- stesso in cui il dottor Mandel che completato la sua descrizione degli eventi.
- Tagliaferro fissava disgustato il grasso extraterrologo. Quel bluff non lo
- spaventava, ma stava avendo il suo effetto sugli altri due. Ryger sporgeva in
- fuori le labbra, Kaunas lasciava penzolare la mascella inferiore, con aria
- ebete. Sembravano pesci, tutti e due.
- - Chi è, allora? - domandò. - Ce lo dica.
- Urth batté le palpebre. - Prima di tutto, sarà bene mettere in chiaro che la
- cosa più importante, in tutto questo, è il trasferimento della massa. È ancora
- possibile recuperarlo.
- Mandel, ancora accigliato, domandò in tono querulo: Ma che diavolo vai
- dicendo, Urth?
- - L'uomo che ha filmato quei fogli ha guardato, probabilmente, quello che
- stava filmando. Dubito che abbia avuto il tempo o la presenza di spirito di
- leggerli e, quand'anche, non credo che potrebbe ricordarsene... a livello
- cosciente. Tuttavia, c'è la Sonda Psichica. Anche se lui ha dato un'occhiata
- soltanto, quello che ha urtato contro la sua retina può sempre essere sondato.
- Tra gli altri serpeggiò un fremito di disagio.
- - Non c'è da avere paura della Sonda. Maneggiata come si deve non fa alcun
- danno, specie se la persona si offre volontariamente. Quando danno c'è, si
- verifica di solito a causa di un'inutile resistenza: una sorta di lacerazione
- mentale, evitabilissima. Perciò, se il colpevole vorrà confessare
- spontaneamente, mettersi nelle mie mani e...
- Tagliaferro rise. Quel suono improvviso risonò bruscamente nella quiete della
- stanza. La psicologia del grasso Urth era così trasparente, così priva di
- artificio.
- Wendell Urth parve molto sorpreso da quella reazione, e fissò serio serio
- Tagliaferro, al di sopra degli occhiali. - Sono abbastanza di casa, alla
- polizia, perché la Sonda venga usata senza che la cosa si risappia.
- Ryger ebbe uno scatto inferocito. - Io non ho fatto niente.
- Kaunas scuoteva la testa.
- Tagliaferro non si degnò nemmeno di rispondere.
- Urth sospirò. - Allora, dovrò indicare a tutti il colpevole. Sarà una cosa
- traumatica, che renderà tutto più difficile. - Serrò più volte le dita
- intrecciate sull'addome. - Il dottor Tagliaferro faceva notare poco fa che il
- film era stato nascosto sul davanzale esterno della finestra affinché fosse al
- sicuro e nessuno potesse trovarlo. Sono d'accordo con lui.
- - Grazie - disse seccamente Tagliaferro.
- - Tuttavia, perché qualcuno dovrebbe pensare a un davanzale esterno come a un
- nascondiglio particolarmente sicuro? Lì la polizia avrebbe guardato di certo.
- E il film è stato trovato, infatti, perfino in assenza della polizia. Chi mai
- può considerare particolarmente sicuro un punto all'esterno di un edificio?
- Qualcuno, evidentemente, che abbia vissuto a lungo su un mondo senza aria,
- qualcuno abituato a pensare che, da un luogo chiuso, nessuno esce senza
- prendere infinite precauzioni.
- "A una persona che viva sulla Luna, per esempio, una cosa nascosta all'esterno
- di una Cupola Lunare parrebbe al sicuro: là, gli uomini si avventurano fuori
- raramente e soltanto per motivi specifici. Così, per amore di un nascondiglio
- indovinato, la persona supererebbe la difficoltà di aprire la finestra ed
- esporsi a quello che, nel suo subcosciente, si associa al vuoto. Il pensiero
- che all'esterno di una struttura abitata un oggetto è al sicuro, lo
- spingerebbe ad agire."
- Tagliaferro parlò a denti stretti: - Perché parla proprio della Luna, dottor
- Urth?
- - Un esempio come un altro - rispose tranquillamente Urth. - Quanto ho detto
- finora vale per tutti e tre. Ma adesso veniamo al punto cruciale, la questione
- della conclusione errata riguardante la notte.
- - Allude alla notte in cui è morto Villiers? - domandò Tagliaferro.
- - Alludo alla notte in generale. Seguitemi bene: anche ammesso che un
- davanzale esterno fosse un nascondiglio sicuro, chi di voi sarebbe tanto pazzo
- da considerarlo sicuro per un pezzo di pellicola ancora da sviluppare? La
- pellicola di un filmicopiatore non è molto sensibile, siamo d'accordo: è fatta
- per essere sviluppata in condizioni un po' di fortuna, diremo così.
- Un'illuminazione notturna diffusa non le arrecherebbe molto danno, ma la luce
- diffusa del giorno la rovinerebbe nel giro di pochi minuti, e i raggi del
- sole, diretti in pieno, la rovinerebbero immediatamente. Lo sanno tutti,
- questo.
- - Continua, Urth - disse Mandel. - Dove vuoi arrivare?
- - Ecco che cerchi di farmi fretta - protestò Urth - mentre io voglio che tutto
- sia ben chiaro. Il criminale intendeva, soprattutto, mettere il film al
- sicuro. Era l'unica registrazione di una cosa di supremo valore per lui e per
- il mondo intero. Perché l'avrebbe messo dove il sole del mattino l'avrebbe
- inevitabilmente danneggiato?... Soltanto perché non si aspettava affatto che
- il sole sorgesse. Pensava che la notte fosse, per così dire, immortale.
- "Ma le notti non sono immortali. Sulla Terra, muoiono e lasciano il posto al
- giorno. Perfino la notte polare, che dura sei mesi, alla fine muore. Le notti
- su Cerere durano appena due ore; le notti sulla Luna durano due settimane. Ma
- sono sempre notti morenti, e i dottori Tagliaferro e Ryger sanno che, prima o
- poi, viene il giorno."
- Kaunas era in piedi. - Aspetti...
- Wendell Urth lo fissò bene in faccia. - Non c'è più alcun motivo di aspettare,
- dottor Kaunas. Mercurio è l'unico corpo celeste del Sistema Solare che
- presenti soltanto una faccia al sole. Perfino tenuto conto della librazione,
- ben tre ottavi della superficie sono al buio e non vedono mai la luce.
- L'Osservatorio Polare è all'orlo di quel lato in ombra. Per dieci anni, lei si
- è abituato al fatto che le notti sono eterne, che una superficie buia rimane
- eternamente nelle tenebre, e così ha dato un film da sviluppare alla notte
- terrestre, dimenticando, nell'agitazione, che la notte deve finire...
- Kaunas mosse un passo, incespicando. - Aspetti...
- Urth fu inesorabile. - Mi dicono che, quando Mandel ha regolato il
- polarizzatore, nella camera di Villiers, lei nel vedere il sole ha mandato un
- urlo. Era la sua ormai insita paura del sole mercuriano, oppure l'essersi
- improvvisamente reso conto di ciò che il sole significava per i suoi piani? Sì
- è precipitato verso la finestra. Era per regolare il polarizzatore o per
- guardare il film rovinato?
- Kaunas era caduto in ginocchio. - Io non volevo. Intendevo soltanto parlare
- con lui, soltanto parlargli, ma lui ha mandato un grido e si è accasciato. Ho
- pensato che fosse morto, sapevo che quel lavoro stava sotto il cuscino e il
- resto è venuto da sé. Una cosa tirava l'altra e, senza che me ne rendessi
- conto, mi ero messo in una situazione senza via d'uscita. Ma non era mia
- intenzione, lo giuro.
- Avevano formato un semicerchio, intorno a lui, e Wendell Urth fissava con
- occhi impietosi Kaunas, che gemeva.
- Un'ambulanza era venuta ed era ripartita. Alla fine, Tagliaferro aveva trovato
- il coraggio di rivolgersi rigidamente a Mandel. - Spero, signore, che nessuno
- serberà rancore per le cose che sono state dette qui dentro.
- E Mandel, altrettanto rigidamente, aveva risposto: - Penso faremmo bene a
- dimenticare per quanto è possibile tutto ciò che è accaduto durante le ultime
- ventiquattr'ore.
- Ora erano fermi sulla soglia, sul punto di andarsene, e Wendell Urth piegò la
- testa da un lato, sorridendo, e disse:
- - C'è la questione del mio onorario, badate.
- Mandel lo guardò, preoccupato.
- - Non parlo di denaro - precisò subito Urth. - Ma quando verrà organizzato il
- primo trasferimento di massa per umani, voglio che mi sia riservato un
- viaggio.
- Mandel continuava ad avere l'aria preoccupata. - Un momento, Urth. I viaggi
- nello spazio sono una cosa ancora di là da venire.
- Urth scosse rapidamente la testa. - Non parlo dello spazio. Per carità! Mi
- accontenterei di un viaggetto fino a Lower Falls, nel New Hampshire.
- - Ah, d'accordo. Ma perché?
- Urth guardò in su. Con grande sorpresa di Tagliaferro, sulla faccia
- dell'extraterrologo c'era un'espressione mista di timidezza e di desiderio.
- - Un tempo - disse Urth - tanto tempo fa, veramente... ci conoscevo una
- ragazza, laggiù. Sono passati tanti anni, ma a volte mi domando... chissà...
- Titolo originale: The Dying Night
- Prima edizione: Magazine of Fantasy and S. F., luglio 1956 Traduzione di Hilia
- Brinis
- SONO A MARSPORT SENZA HILDA
- Tanto per cominciare, la situazione si creò da sola, come un sogno. Non
- dovetti fare nessun piano. Non dovetti intervenire. Mi limitai a osservare
- l'evolversi delle cose. Forse avrei dovuto cominciare allora a subodorare la
- catastrofe.
- Tutto ebbe inizio con il mio solito mese di riposo tra un incarico e l'altro:
- un mese in servizio e un mese no è la normale routine del Servizio Galattico.
- Raggiunsi Marsport per i soliti tre giorni di sosta prima del breve salto
- verso la Terra.
- Solitamente Hilda, che Dio la benedica, una moglie dolce come nessun uomo ha
- mai avuto, sarebbe stata lì ad aspettarmi e l'avremmo fatto pacatamente: un
- piccolo, piacevole intermezzo per entrambi. L'unico problema è che Marsport è
- la città più "vivace" del Sistema, e non è esattamente il luogo migliore per
- un piccolo e piacevole intermezzo. Ma come potevo spiegare questo a Hilda?
- Bene, questa volta mia suocera, che Dio la benedica, si ammalò due giorni
- prima che io giungessi a Marsport e la notte prima dell'atterraggio mi arrivò
- uno spaziogramma di Hilda in cui mi diceva che sarebbe rimasta sulla Terra con
- sua madre e che per questa volta non ci saremmo potuti vedere.
- Le risposi, comunicandole tutto il mio innamorato disappunto e tutta la mia
- febbrile preoccupazione per sua madre e, quando atterrai, ero...
- Ero a Marsport senza Hilda!
- Questo, però, non era ancora niente. Era solo la cornice del quadro, solo lo
- scheletro della donna. Ora dovevo pensare a mettere le linee e i colori dentro
- la cornice e la carne e la pelle sopra le ossa.
- Così chiamai Flora, la stessa Flora di qualche raro episodio del passato. Per
- lo scopo usai una videocabina e al diavolo la spesa: ormai ero lanciato.
- Mi davo dieci possibilità contro una che Flora fosse fuori o che fosse
- occupata e avesse staccato il videotelefono; persino che fosse morta.
- Invece Flora era in casa, aveva il videotelefono collegato e, Grande Galassia,
- era tutto tranne che morta.
- Aveva un aspetto migliore che mai. L'età non può sfiorire la bellezza, come
- qualcuno disse una volta, né l'abitudine può sottrarle la sua infinita
- varietà.
- Era felice di vedermi. - Max! Sono anni! - squittì.
- - Lo so, Flora, ma eccomi, se sei disponibile. Perché, indovina un po'? Sono a
- Marsport senza Hilda.
- - Ma è favoloso! Allora vieni qui - squittì ancora.
- Strabuzzai gli occhi. Questo era troppo. - Significa che sei disponibile? -
- Dovete capire che Flora non era mai disponibile senza un bel po' di preavviso.
- Sì, lei era quel genere di KO.
- - Oh, ho solo un impegnucolo trascurabile, Max, ma a questo ci penso io. Tu
- pensa a venire qui.
- - Verrò - risposi felice.
- Flora era quel tipo di ragazza che... Va bene, ve lo dico, le stanze in cui
- abitava Flora avevano la stessa forza di gravità marziana, 0.4 rispetto a
- quella della Terra. L'aggeggio per renderla libera dal campo
- pseudo-gravitazionale di Marsport era costoso, naturalmente, ma se vi è mai
- capitato di tenere tra le braccia una ragazza a 0.4G, non avete bisogno di
- spiegazioni. Se non l'avete mai fatto, le spiegazioni non servono a niente, e
- mi dispiace molto per voi.
- Parlo di galleggiare sulle nuvole.
- Chiusi il collegamento, e solo la prospettiva di poterla vedere in carne e
- ossa avrebbe potuto cancellare la sua immagine con tale alacrità. Uscii dalla
- cabina.
- E in quel momento, in quel preciso momento, fui raggiunto dal primo alito di
- catastrofe.
- Quel primo alito era la testa di quel pidocchioso di Rog Crinton degli uffici
- di Marte, che brillava calva su una faccia riempita da due occhi azzurro
- pallido, da un colorito giallastro e da un paio di smorti baffi castani. Non
- mi presi il disturbo di mettermi a quattro zampe e di toccare il pavimento con
- la fronte perché, nell'attimo stesso in cui ero sceso dall'astronave, per me
- era cominciata la vacanza.
- Così, limitandomi a un tono di normale educazione, dissi: - Dimmi cosa vuoi e
- guarda che ho fretta. Ho un appuntamento.
- - Ce l'hai con me, l'appuntamento - rispose Rog. - Ti stavo aspettando al
- banco di scarico.
- - Non ti ho visto.
- - Non hai visto niente.
- Su questo aveva ragione perché, ora che mi veniva in mente, ero sfrecciato
- davanti al banco di scarico come la Cometa di Halley attraverso la Corona
- Solare e, se lui in quel momento si trovava lì come diceva, allora aveva
- dovuto trottare non poco per raggiungermi
- - Va bene - dissi. - Cosa vuoi?
- - Ho un lavoretto per te.
- Risi. - È il mio mese di riposo, amico.
- - Allarme Rosso di Emergenza, amico - rispose.
- Il che significava semplicemente: niente vacanza. Non potevo crederci. - Al
- diavolo, Rog - dissi. - Cerca di avere un cuore. Anch'io ho un allarme
- d'emergenza in corso.
- - Mai come questo.
- - Rog - gridai - non puoi trovare qualcun altro? Chiunque altro.
- - In questo momento sei l'unico Agente di Classe A su Marte
- - Girala alla Terra, allora. Al Quartier Generale accatastano agenti come
- fossero unità di micropile.
- - Dev'essere fatto entro le undici. Che cos'è, non hai tre ore a
- disposizione?
- Mi presi la testa tra le mani. Il ragazzo non poteva sapere. -
- Fammi fare una chiamata, okay?
- Tornai nella videocabina e guardai torvo Rog. - È una chiamata privata! -
- esclamai.
- Flora brillò di nuovo sullo schermo, come un miraggio su un asteroide. -
- Qualcosa non va, Max? - mi chiese. - Non dirmelo. Ho appena cancellato l'altro
- appuntamento.
- - Flora, piccola, arriverò. Arriverò. Ma è saltato fuori qualcosa
- Con tono ferito, Flora mi fece l'ovvia domanda e io risposi - No
- Non si tratta di un'altra ragazza. Con te nella stessa città non può esistere
- nessun'altra ragazza. Femmine, magari, non ragazze Piccola! Dolce! - Mi venne
- un impulso selvaggio, ma mi trattenni: abbracciare schermi di videotelefono
- non è un passatempo che si addice a un uomo adulto. - Sono solo affari.
- Aspettami. Non ci vorrà molto.
- - Va bene - disse Flora. Ma lo disse come se non andasse poi così bene, e a me
- vennero i brividi.
- Uscii dalla cabina. - Va bene, Rog. Che razza di casino mi hai preparato?
- Andammo al bar dello spazioporto e trovammo una cabina isolata. - L'Antares
- Giant arriverà da Sirio tra mezz'ora esatta, alle otto pomeridiane, ora locale
- - mi disse Rog.
- - Okay.
- - Tra gli altri passeggeri, scenderanno tre uomini. Aspetteranno lo Space
- Eater che arriva da Terrà alle undici pomeridiane e riparte per Capella
- qualche tempo dopo. Quando saliranno sullo Space Eater saranno fuori dalla
- nostra giurisdizione.
- - Così?
- - Così, tra le otto e le undici, i tre saranno in una speciale sala d'attesa,
- e tu sarai con loro. Ho gli ologrammi di tutti e tre così potrai sapere prima
- chi sono e con chi hai a che fare. Hai tempo dalle otto alle undici per
- decidere quale dei tre sta facendo il corriere.
- - Per che tipo di contrabbando?
- - Il peggiore. Spaziolina alterata.
- - Spaziolina alterata?
- Mi aveva incuriosito. Sapevo cos'era la Spaziolina. Se avete mai fatto un
- viaggio spaziale, lo sapete anche voi. E se per caso siete ancorati alla
- Terra, il semplice fatto è che tutti hanno bisogno di Spaziolina nel primo
- viaggio spaziale, quasi tutti ne hanno bisogno almeno per la prima dozzina,
- molti ne hanno bisogno sempre. Senza di essa, si possono verificare vertigini
- associate a illusione di caduta libera, terrori improvvisi e psicosi
- semi-permanenti. Prendendo la Spaziolina, invece, non succede nulla: si
- diventa indifferenti a tutto. Non dà assuefazione e non ha effetti
- collaterali. La Spaziolina è essenziale e insostituibile. Quando avete dubbi,
- prendetela.
- - Proprio così - disse Rog. - Spaziolina alterata. Può essere mutata
- chimicamente con una reazione tanto semplice da poter essere prodotta nella
- cantina di chiunque, e trasformata in una droga che ti dà una carica enorme e
- ti rende dipendente fin dalla prima volta che la prendi. È sullo stesso piano
- dei più pericolosi alcaloidi che conosciamo.
- - E l'abbiamo scoperto solo ora?
- - No. Sono anni che il Servizio Galattico ne è al corrente. Abbiamo tenuto
- tutti gli altri all'oscuro mettendo a tacere ogni scoperta. Solo che ora la
- cosa ci è sfuggita di mano.
- - In che modo?
- - Uno degli uomini che faranno scalo in questo spazioporto ha addosso della
- Spaziolina alterata. I chimici del sistema di Capella, che è fuori dalla
- Federazione, l'analizzeranno e troveranno il modo di sintetizzarla. Una volta
- successo questo, il nostro problema sarà combattere la peggiore narcominaccia
- che si sia mai vista nella Galassia, oppure sopprimerne la fonte.
- - Intendi la Spaziolina.
- - Sì. E sopprimere la Spaziolina equivale a sopprimere i viaggi spaziali.
- Decisi di arrivare al punto. - Qual è dei tre?
- Rog fece un sorriso cattivo. - Se lo sapessimo non avremmo bisogno di te.
- Sarai tu a scoprire chi di loro ha la Spaziolina.
- - Mi stai usando per una pidocchiosa perquisizione, insomma.
- - Non è così semplice. Tocca quello sbagliato e rischi la testa. Ognuno di
- quei tre è un pezzo grosso sul suo pianeta. Uno è Edward Harponaster, l'altro
- è Joaquim Lipsky e il terzo è Andiamo Ferrucci. Capito?
- Aveva ragione. Avevo sentito parlare di tutt'e tre. È probabile che ne abbiate
- sentito parlare anche voi. Nessuno dei tre poteva essere toccato senza prima
- avere in mano prove più che sufficienti. - Come può gente del loro calibro
- mettersi in un affare come...
- - Ci sono di mezzo miliardi - disse Rog. - Il che significa che tutt'e tre ci
- si metterebbero. E uno di loro l'ha fatto, come ha scoperto Jack Hawk prima di
- venire ucciso.
- - Jack Hawk è morto? - Per un attimo, mi dimenticai della narcominaccia
- galattica. Per un attimo, quasi mi dimenticai persino di Flora.
- - Sì, e uno dei tre è il mandante dell'omicidio. Tocca a te scoprire chi. Se
- indichi quello giusto entro le undici in punto avrai una promozione, un
- aumento di stipendio, il sacrificio del povero Jack Hawk non sarà stato vano e
- in più avrai salvato la Galassia. Ma, se punti il dito su quello sbagliato, ci
- sarà una situazione diplomatica interstellare molto spiacevole e, oltre a
- essere sbattuto fuori, sarai su ogni lista nera da qui ad Antares e ritorno.
- - Supponiamo che io non indichi nessuno - dissi.
- - Per quanto riguarda il Servizio, questo equivale a indicare l'uomo
- sbagliato.
- - Dunque devo indicarne uno e dev'essere quello giusto, altrimenti mi vedrò
- consegnare la mia stessa testa.
- - In soldoni, si. Stai cominciando a capirmi, Max.
- In una vita intera passata con un aspetto orribile, Rog non mi era mai
- sembrato così brutto. L'unica consolazione che ne potevo ricavare guardandolo
- era pensare che Rog è sposato e vive tutto l'anno a Marsport con la moglie. E
- se lo merita. Forse sono troppo duro con lui, ma se lo merita.
- Non appena Rog si fu allontanato, chiamai rapidamente Flora.
- - Ebbene? - esordì lei.
- - Piccola, non posso parlarne ora, ma vedi, è una cosa che mi tocca proprio
- fare. Ora tu attacchi, e io mi libero di questa storia anche se per farlo
- dovessi attraversare in mutande il Grande Canale su fino alla calotta di
- ghiaccio. Anche se dovessi strappare Phobos dal cielo con le unghie. Anche se
- dovessi farmi a pezzettini e spedirmi per posta in pacchi separati...
- - Se avessi pensato di dover aspettare... - disse Flora.
- Sussultai. Flora semplicemente non era il tipo da commuoversi di fronte alla
- poesia. Era una creatura di pura azione. E, dopotutto, se sto per andare alla
- deriva con Flora in un mare a bassa gravità di essenza al gelsomino, la
- capacità di commuoversi di fronte alla poesia non è tra i requisiti che
- considero indispensabili.
- - Aspettami, Flora - dissi con urgenza. - Non ci vorrà molto. Saprò
- ricompensare la tua pazienza.
- Ero scocciato, certo, ma non ero ancora preoccupato. Rog se ne era appena
- andato quando capii esattamente come avrei potuto distinguere il colpevole
- dagli altri due.
- Era facile. Avrei potuto chiamare Rog e dirglielo, ma non c'è nessuna legge
- che vieta a un uomo di fare i propri interessi. Ci avrei messo cinque minuti e
- poi sarei andato da Flora, magari un po' in ritardo, ma con una promozione, un
- aumento di stipendio e un bavoso bacio di ringraziamento su entrambe le guance
- da parte del Servizio.
- Vedete, la storia era questa: i grandi industriali non fanno molti viaggi
- spaziali; usano perlopiù la ricezione transvideo. Quando devono recarsi a
- qualche importantissima conferenza interstellare, come probabilmente stavano
- facendo quei tre, prendono la Spaziolina. Primo, perché non hanno abbastanza
- viaggi spaziali nei pantaloni per rischiare di non prenderla. Secondo, perché
- questo è il modo costoso di fare un viaggio spaziale e gli industriali fanno
- sempre le cose nel modo costoso. So come sono fatti.
- Ora, questo era valido per due di loro. Quello che stava contrabbandando droga
- non poteva rischiare di prendere la Spaziolina, nemmeno per prevenire i
- malesseri del viaggio. Sotto l'influenza della Spaziolina poteva buttare via
- la droga o farfugliarne l'esistenza a qualcuno. Doveva essere in grado di
- potersi controllare perfettamente.
- Visto che era così semplice, aspettai.
- L'Antares Giant era in orario, e io attesi, con i muscoli delle gambe pronti,
- a decollare non appena avessi beccato quello sporco trafficante assassino e
- spedito gli altri due eminenti capitani d'industria per la loro strada.
- Portarono dentro per primo Lipsky. Aveva labbra carnose e rosse, guance
- rotonde, sopracciglia molto scure e capelli tendenti al grigio. Mi guardò
- appena e poi si sedette. Niente da fare. Era sotto l'effetto della Spaziolina.
- - Buonasera, signore - dissi.
- Mi rispose con voce sognante. - L'oreficeria di Panamio cuore in tre quarti
- d'ora per un tazza di camomillibertà di parola.
- Era chiaramente Spaziolina. Lascia completamente aperti gli interruttori della
- mente. Ogni sillaba suggerisce la successiva per libera associazione.
- Poi arriva Andiamo Ferrucci. Baffoni neri, lunghi e impomatati, colorito
- olivastro, faccia butterata. Si sedette in una poltrona di fronte a noi.
- - Fatto buon viaggio? - gli chiesi.
- - Viaggiato la luce fantastic tac fa l'orologio segna ore uguali di uccello -
- rispose.
- - Uccello all'uomo saggio di architettura universale e pepe per tutti -
- aggiunse Lipsky.
- Sogghignai. Restava Harponaster. Senza farmi vedere, avevo già impugnato la
- mia pistola ad aghi e il mio laccio magnetico era pronto per afferrarlo.
- Harponaster entrò. Era magro e coriaceo, quasi calvo, ed era molto più giovane
- di quanto sembrava nell'ologramma. Era fatto di Spaziolina fino al midollo.
- - Accidenti! - esclamai.
- - Dentista bene per l'ultimo voltafaccia simpaticade se non lo prendi - disse
- Harponaster.
- - Prendi e semina la terra contesa di un cappello di piume di usignolo -
- aggiunse Ferrucci.
- - Gli dei cantano e saltavolo da ping pong - concluse Lipsky.
- I miei occhi passavano da uno all'altro mentre le loro frasi senza senso si
- accorciavano sempre più fino al silenzio.
- Avevo capito. Uno di loro stava fingendo. Aveva anticipato le nostre mosse,
- realizzando che se avesse mostrato di non aver preso la Spaziolina si sarebbe
- tradito. Probabilmente aveva corrotto un agente per farsi iniettare una
- soluzione salina, oppure l'aveva risolta in qualche altro modo.
- Uno di loro stava fingendo. Non era difficile. I comici della tv subeterica
- hanno sempre in repertorio qualche scenetta sugli effetti della Spaziolina. Li
- avete visti anche voi.
- Fissai i tre uomini e per la prima volta avvertii un brivido alla base del
- cranio che mi diceva: "Cosa succede se non indichi quello giusto?"
- Erano le 8:30 e c'erano in ballo il mio lavoro e la mia reputazione, per non
- parlare della testa che cominciavo a sentirmi traballare sul collo. Rimandai a
- più tardi questi problemi e pensai a Flora. Non avrebbe aspettato per sempre.
- Anzi, c'era la possibilità che non avrebbe aspettato nemmeno mezz'ora.
- Mi chiesi se l'impostore sarebbe riuscito a continuare le sue libere
- associazioni fasulle anche se l'avessi portato su un terreno pericoloso.
- - Hanno appena preso un ladro galattico - dissi, facendo suonare le ultime due
- parole come "la droga lattico".
- - La droga sotto i soldo re mi fa sol l'anima da salvare - disse Lipsky.
- - Salvo per un pelo dal corno dell'unicornon sento parlare di temo il rasoio e
- la sua lama - disse Ferrucci.
- - La mattina limpida e la neve non resta per sempre preparati al peggio perché
- la scienza traballa - disse Harponaster.
- Lipsky: - Balla la samba.
- Ferrucci: - Sambastanza giusto.
- Harponaster: - Degiustazione.
- Ci fu qualche altro borbottio e poi il silenzio.
- Provai di nuovo, senza dimenticare di essere cauto. Dopo si sarebbero
- ricordati tutto, dunque dovevo usare solo frasi innocue. - Questa spazio-linea
- è maledettamente efficiente - dissi.
- Ferrucci disse: - Entelefante e le tigri e i coyote che abbaiano al buio...
- Lo interruppi e mi rivolsi a Harponaster. - Una spazio-linea maledettamente
- buona.
- - Buon riposo su un letto soffice e morbidove ho sbagliato nel vestirmi per un
- giorno come...
- Interruppi anche lui e puntai Lispky. - Una buona spazio-linea.
- - Ne aggiungo un po' nella cioccolata caldamente invitato in video e raddoppia
- gli sforzi e guarda.
- - Guarisci il tuo maleggere e scrivere fa sempre bene - disse qualcuno.
- - Benediciamo l'ora del pasto.
- - Sto arrivendo.
- - Endiano Americano.
- - Anonimo poeta.
- - Età.
- Provai ancora qualche volta, senza alcun risultato. Chiunque fosse
- l'impostore, doveva essersi esercitato, oppure aveva un talento naturale per
- le associazioni libere. Aveva sganciato la mente e lasciava che le parole
- uscissero a caso. E doveva sapere esattamente che cosa io stavo cercando. Se
- "droga" non era bastato, quello "spazio-linea" ripetuto tre volte gliel'aveva
- fatto certamente capire. Con gli altri due ero al sicuro, ma lui sapeva.
- E mi stava prendendo in giro. Tutt'e tre avevano detto frasi indicative di un
- profondo e inconscio senso di colpa ("l'anima da salvare", "dove ho
- sbagliato", "la droga sotto" e così via). Ma due di loro le avevano dette
- casualmente, senza poterci fare nulla, mentre il terzo si stava divertendo
- alle mie spalle.
- Come potevo smascherarlo? Ero assalito da un febbrile brivido d'odio nei suoi
- confronti. Mi prudevano le mani. Il verme stava sovvertendo la Galassia. Per
- di più, aveva ucciso un mio caro amico e collega. E, più ancora di questo, mi
- stava tenendo lontano da Flora.
- Avrei potuto alzarmi e cominciare a perquisirli. I due che erano veramente
- sotto l'effetto della Spaziolina non avrebbero mosso un dito per fermarmi: non
- provavano alcuna emozione, niente passione, paura, odio, apprensione, nessun
- desiderio di autodifesa. Quello che avrebbe mostrato anche solo il minimo
- segno di resistenza sarebbe stato il mio uomo.
- Ma gli altri due, dopo, si sarebbero ricordati di aver subito una
- perquisizione mentre erano sotto l'effetto della Spaziolina.
- Sospirai. Se ci provavo avrei sì preso il criminale, ma dopo mi sarei
- ritrovato nello stato più simile ai fegatini di pollo mai raggiunto in
- precedenza da essere umano. Sarebbe scoppiata una grana grande come l'intera
- Galassia e nel Servizio ci sarebbe stato un terremoto. Nell'inevitabile
- disorganizzazione e nella confusione, il segreto della Spaziolina alterata
- sarebbe sfuggito comunque, quindi al diavolo il mio piano.
- Ovviamente, l'uomo che cercavo poteva anche essere il primo che avrei
- perquisito. Avevo solo una possibilità su tre. Solo una, e solo Iddio con una
- ne fa tre.
- Diavolo, mentre stavo borbottando a me stesso, qualcosa li aveva messi in moto
- e la Spaziolina e contagiohsanto dio, oh...
- Guardai disperato l'orologio e i miei occhi mi informarono che erano già le
- 9.15.
- Perché diavolo il tempo passava così alla svelta?
- Oh, mio dio; oh, diavolo, oh, Flora!
- Non avevo scelta. Andai alla cabina per fare un'altra breve chiamata a Flora.
- Solo una, voi capite, per mantenere vivo l'interesse; sempre che non fosse già
- morto e sepolto.
- Continuavo a dirmi che non avrebbe risposto.
- Cercai di prepararmi a quell'eventualità. C'erano altre ragazze, dopotutto...
- No, non c'erano altre ragazze.
- Se Hilda fosse stata a Marsport, Flora non mi sarebbe nemmeno venuta in mente
- e non me ne sarebbe importato nulla. Ma ero a Marsport senza Hilda e con Flora
- avevo preso un appuntamento.
- Il segnale continuava a ripetersi e io non osavo chiudere il collegamento.
- Rispondi! Rispondi!
- Rispose. - Sei tu! - disse.
- - Naturalmente, dolcezza. Chi altri poteva essere?
- - Oh, moltissima altra gente. Qualcuno che sarebbe venuto.
- - È solo una piccola questione di affari, cara.
- - Cosa affari? Plaston per chi?
- Feci per correggere la sua grammatica, ma ero troppo occupato a chiedermi cosa
- diavolo fosse la storia del plaston.
- Poi mi venne in mente. Una volta le avevo raccontato di essere un
- rappresentante di plaston. Era stata quella volta che le avevo portato un
- amore di camicia da notte in plaston.
- - Senti, dammi solo un'altra mezz'ora...
- I suoi occhi si inumidirono. - Sono qui seduta tutta sola.
- - Ti ricompenserò. - Per farvi capire quanto fossi disperato, vi dirò che i
- miei pensieri avevano definitivamente preso la strada della gioielleria, anche
- se un tale ammanco nel nostro libretto di risparmio sarebbe balzato agli
- acutissimi occhi di Hilda come la Nebulosa Testa di Cavallo davanti alla Via
- Lattea. Ma ero proprio disperato.
- - Avevo un buonissimo appuntamento e l'ho rimandato - disse.
- Protestai. - Mi hai detto che era solo un trascurabile impegnucolo.
- Quello fu un errore. Lo capii non appena mi uscì dalle labbra.
- - Trascurabile impegnucolo! - gridò. (Era quello che aveva detto. Aveva detto
- proprio così. Ma avere la ragione dalla propria parte quando si litiga con una
- donna non fa che peggiorare le cose. Non lo sapevo, forse?) - Un uomo che mi
- ha promesso un podere sulla Terra...
- Continuò a parlare in lungo e in largo di questa promessa. Non c'era una sola
- ragazza in tutta Marsport che non stesse facendo carte false per procurarsi
- una proprietà sulla Terra, e quelle che riuscivano a ottenerla si potevano
- contare sul sesto dito di entrambe le mani.
- Cercai di fermarla. Niente da fare.
- - E io sono qui tutta sola, con nessuno - disse finalmente, e riattaccò.
- Be', aveva ragione. In quel momento mi sentii l'individuo più spregevole della
- Galassia.
- Tornai in sala d'attesa. Un servo in livrea mi fece cerimoniosamente entrare.
- Fissai i tre industriali e pensai all'ordine in cui avrei scelto di strozzarli
- lentamente a morte se solo avessi ricevuto ordini in proposito. Forse avrei
- strangolato per primo Harponaster. Aveva un collo sottile e viscido, perfetto
- per essere circondato dalle dita, e un pomo d'adamo sporgente su cui i pollici
- avrebbero potuto facilmente far presa.
- - Il pensiero mi rallegrò al punto che mi scappò un - Ragazzi! - di puro
- desiderio omicida.
- Questo diede loro il la. - Azzitempo bolle l'acqua nella teiera che sul fuoco
- appioggia scrosciante su di noi, Dio salvi i vostri averi - disse Ferrucci.
- - I veri nipoti non si comportano male strade sono invase - aggiunse quello
- dal collo sottile, Harponaster.
- - Vasetti di marmellata non possono ubriaco - disse Lipsky.
- - A come anteriore e regina mangiano l'alfiere.
- - Le fiere si avvicinano oh pregate.
- - Pregatende alla crescita.
- - Crescita somma.
- - Marmo.
- - Armo.
- Poi più nulla.
- Mi fissarono e io li fissai. Erano privi di emozioni (o almeno due di loro lo
- erano) e io ero privo di idee. E il tempo passava.
- Li fissai ancora per un po' e pensai a Flora. Realizzai che, non avendo niente
- da perdere che non avessi già perso, potevo anche parlare di lei.
- - Signori - dissi. - C'è una ragazza in questa città di cui non voglio fare il
- nome per paura di comprometterla. Lasciate, signori, che io ve la descriva.
- Lo feci. Se posso permettermi di dirlo io stesso, le ultime due ore avevano
- acuito la mia sensibilità a tal punto che la mia descrizione di Flora prese un
- tono tanto poetico che sembrava attingere direttamente a qualche pozzo di
- virile lirismo profondamente nascosto nelle fondamenta del mio inconscio.
- E loro rimasero immobili, come se mi stessero ascoltando, senza interrompermi
- quasi mai. Le persone sotto l'effetto della Spaziolina diventano di una
- cortesia assoluta. Non parlano mai se sta parlando qualcun altro. È per questo
- che parlano a turno.
- Continuai a parlare con un tono di accorata tristezza fino a quando una voce
- eccitata annunciò dall'altoparlante l'arrivo dello Space Eater.
- Ecco fatto. - Alzatevi, signori - dissi ad alta voce. - Non tu, assassino - e
- il mio laccio magnetico scattò intorno al polso di Ferrucci prima che potesse
- fiatare.
- Ferrucci lottò come un demonio. Non aveva preso la Spaziolina. Trovarono la
- droga nascosta in piccoli cuscinetti di plastica color carne fissati
- all'interno dei suoi polpacci. Era assolutamente impossibile vederli, si
- potevano solo sentire al tatto, e ancora ci volle un coltello per averne la
- certezza.
- Poco dopo, un Rog Crinton sorridente e mezzo pazzo di sollievo mi teneva
- mortalmente stretto per il bavero. - Come hai fatto? Che cosa te l'ha fatto
- capire?
- - Uno di loro stava fingendo uno sballo di Spaziolina - risposi tentando di
- liberarmi. - Così ho raccontato loro - e qui mi controllai: i dettagli non
- erano affari suoi - uh... di una ragazza che conosco e due di loro non hanno
- dato segni di reazione, dunque erano sotto l'effetto della Spaziolina. Ma
- Ferrucci ha cominciato ad ansimare e la sua fronte si è imperlata di sudore.
- Ho reso la mia storia molto, per così dire, ricca di particolari, e lui ha
- reagito, dunque non l'aveva presa. Che ne dici di lasciarmi andare, ora?
- Rog mi mollò e quasi caddi all'indietro.
- Ero pronto per il decollo. I miei piedi scalpitavano senza che io avessi dato
- loro istruzioni in merito, ma ugualmente mi voltai.
- - Ehi, Rog - dissi - puoi firmarmi una nota di mille crediti senza
- registrarla, per il servizio reso al Servizio?
- In quel momento capii che la gratitudine, sicuramente effimera, e il sollievo
- l'avevano mezzo ammattito, perché mi disse - Certo, Max. Anche di diecimila,
- se vuoi.
- - Voglio - dissi. Tanto per cambiare, lo afferrai per un braccio. - Voglio.
- Voglio.
- Rog compilò una nota ufficiale del Servizio per diecimila crediti, moneta
- valida in ogni parte della Galassia. Quando me la diede stava sorridendo, e
- potete scommettere che anch'io stavo sorridendo quando la presi.
- Come lui intendeva renderne conto erano affari suoi. Il punto era che io non
- dovevo renderne conto a Hilda.
- Ero nella cabina, per l'ultima volta, a chiamare Flora. Non osavo lasciare le
- cose così come stavano. Nella mezz'ora che avrei impiegato a raggiungerla,
- Flora poteva trovare qualcun altro. Sempre che non l'avesse già fatto.
- Fai che risponda. Fai che risponda. Fai che...
- Rispose, ma era agghindata per uscire. Altri due minuti e non l'avrei trovata.
- - Sto uscendo - annunciò. - C'è qualcuno che si comporta in modo decente. E
- spero di non vederti mai più d'ora in poi. Spero anche di non dover posare mai
- più i miei occhi su di te nemmeno per sbaglio. E mi faresti un grande favore,
- caro Signor Chidiavolosei, se tu dimenticassi il mio numero e non lo
- inquinassi più con...
- Non stavo dicendo niente. Stavo solo fermo, trattenendo il respiro e allo
- stesso tempo tenendo la nota di accredito dove lei potesse vederla. Solamente
- questo.
- Alla parola "inquinassi" Flora si avvicinò per guardare meglio. Non era molto
- istruita, la ragazza, ma riusciva a leggere "diecimila crediti" più
- rapidamente di qualsiasi laureato dell'intero Sistema Solare.
- - Max! Per me? - disse.
- - Tutti per te, piccola - confermai. - Ti avevo detto che avevo un piccolo
- affare da concludere. Volevo farti una sorpresa.
- - Oh, Max, questo è carino da parte tua. Non me l'ero presa veramente, sai?
- Stavo solo scherzando. Ora vieni subito da me - disse. Si tolse il soprabito.
- - E il tuo appuntamento?
- - Ho detto che stavo scherzando.
- - Sto arrivando - dissi sentendomi mancare.
- - Con ogni singolo credito di quei diecimila - precisò Flora furbescamente.
- - Con ogni singolo credito - la rassicurai.
- Chiusi il collegamento, uscii dalla cabina e ora, finalmente, ero pronto per
- il de...
- Sentii chiamare il mio nome. Max! Max! - Qualcuno stava correndo verso di me.
- - Rog Crinton mi ha detto che ti avrei trovato qui. La mamma sta molto meglio,
- così ho ottenuto un passaggio straordinario sullo Space Eater e che cos'è
- questa storia dei diecimila crediti?
- Non mi girai. - Ciao, Hilda - dissi.
- - Poi mi voltai e feci la cosa più difficile che mi sia mai riuscita di fare
- in tutta la mia inutile vita di spazioviaggiatore.
- In qualche modo, riuscii a sorridere.
- Titolo originale: I'm in Marsport Without Hilda
- Prima edizione: Venture, novembre 1957
- Traduzione di Stefano Massaron
- I NOBILI AVVOLTOI
- Gli hurriani avevano la loro base sulla Luna da ormai quindici anni. Era una
- cosa senza precedenti, inaudita. Nessuno di loro aveva osato mai pensare che
- ci potesse essere un ritardo del genere. Erano quindici anni che le squadre di
- decontaminazione erano pronte, in attesa di un ordine. Erano pronte a superare
- le nubi radioattive per salvare tutto quanto era possibile salvare per
- beneficarne i sopravvissuti: in cambio, è ovvio, volevano un adeguato
- compenso.
- Ma quel pianeta aveva già compiuto quindici rivoluzioni attorno al suo sole.
- Durante ognuna di queste rivoluzioni, il satellite aveva compiuto quasi
- tredici giri attorno al pianeta stesso. E durante tutto quel periodo non c'era
- stata nessuna guerra nucleare.
- Be', sì, i grandi primati avevano fatto scoppiare un po' di ordigni nucleari
- qua e là sul pianeta; la stratosfera era carica fino a scoppiare di scorie
- radioattive. Però, non c'era stata la guerra.
- Devi-en stava sperando con tutte le sue forze che lo sostituissero. Poiché era
- il quarto comandante di quel corpo di spedizione colonizzatrice (sempre che lo
- si potesse ancora chiamare così, dopo tutto quel tempo trascorso in
- ibernazione), sarebbe stato più che contento di cedere il suo posto a un
- successore. Comunque, era probabile che sarebbe stato sostituito assai alla
- svelta, visto che il pianeta madre aveva annunciato l'invio di un
- super-amministratore che avrebbe dovuto controllare di persona la situazione.
- Fantastico!
- In piedi sull'inospitale superficie della Luna, chiuso nella tuta spaziale,
- stava pensando a casa, a Hurria. Stava agitando inquietamente le lunghe
- appendici sottili che gli facevano da braccia, segno certo di irrequietezza,
- soffrendo di nostalgia mentre pensava agli alberi che erano stati cari ai suoi
- antenati. Il suo, era un istinto che risaliva a milioni di anni prima. Devi-en
- era alto poco meno di un metro.
- Attraverso il visore dell'elmetto tutto ciò che era possibile vedere di lui
- era una faccia nera e grinzosa, al cui esatto centro era posta un'appendice
- mobile. A fare da contrasto si era lasciato crescere una barba bianchissima.
- Nella parte posteriore della tuta, nella metà inferiore, si notava la
- protuberanza creata per alloggiare confortevolmente la tozza coda robusta.
- Devi-en era ovviamente contento per il proprio aspetto, anche se si rendeva
- perfettamente conto che esistevano notevoli differenze fra la sua razza e
- tutti gli altri esseri intelligenti di quella galassia. Solo loro fra tutti
- erano così piccoli; solo loro avevano un'appendice caudale; solo loro erano
- strettamente vegetariani; solo loro, fra tutti, erano riusciti a evitare la
- guerra nucleare che invece era inevitabilmente scoppiata fra tutte le atre
- razze intelligenti note.
- Era in piedi al centro di una pianura che Sì estendeva per chilometri e
- chilometri e che lui sapeva orlata da alte montagne, tanto che sul suo pianeta
- natale lo si sarebbe definito un cratere se non fosse stato così largo da non
- essere avvertibile dai suoi occhi. All'estremità orientale di quel vasto
- cerchio, contro le pareti rocciose che fornivano un certo riparo dai raggi
- infuocati del sole, era stata edificata una città. Sorta dapprincipio come
- semplice accampamento, si era poi estesa con l'arrivo delle femmine, che
- avevano dato vita a numerosi bambini. Adesso si vedevano scuole, enormi
- impianti idroponici, giganteschi serbatoi per l'acqua: insomma, tutto quello
- che poteva servire per vivere in un mondo privo d'aria.
- Una cosa che ora definiva ridicola! Per colpa di un pianeta che, pur
- disponendo di armi nucleari in quantità, non si decideva a usarle.
- E quella sarebbe stata la prima domanda che il super-amministratore in arrivo
- gli avrebbe rivolto, una domanda che si era già fatto anche lui numerose
- volte.
- Perché mai quella dannata guerra non cominciava?
- Teneva d'occhio i mauv che stavano livellando il terreno per l'atterraggio,
- eliminando le asperità naturali e stendendo lo strato di ceramica che era
- stato progettato per assorbire lo scarico dei generatori iperatomici, in modo
- da creare il minimo disagio possibile ai passeggeri dell'astronave.
- Anche se nascosti dalle tute, s'intravedeva la forza compressa dei mauv, una
- forza che però era confinata ai soli muscoli. Al comando di quei bruti c'era
- un hurriano, la cui piccola figura contrastava contro le loro moli. Ne bastava
- uno solo per farsi obbedire docilmente.
- Com'era naturale.
- I mauv erano l'unica razza, fra i grandi primati intelligenti a loro noti, che
- pagava il loro tributo con quell'insolito modo: fornendo cioè manodopera
- anziché beni materiali. Per loro era un tributo utilissimo sotto diversi punti
- di vista, più prezioso di metalli come l'alluminio o l'acciaio, o delle spezie
- con cui altri li pagavano.
- Il suo ricevitore cominciò a lampeggiare.
- - Astronave in vista, signore - disse una voce. - Atterrerà fra un'ora, tempo
- locale.
- - Molto bene - rispose lui. - Fatemi trovare pronto il mezzo per andarli ad
- accogliere appena cominceranno le operazioni di atterraggio.
- A pensarci bene, però, non era convinto che le cose andassero così bene.
- Il super-amministratore era scortato da cinque mauv, che fecero il loro
- ingresso in città al suo seguito. Uno gli stava a destra, uno a sinistra, tre
- dietro. Prima aiutarono lui a togliersi la tuta spaziale, poi si tolsero le
- proprie.
- Avevano grossi corpi ricoperti da una sottile peluria, facce larghe con
- lineamenti grossolani, nasi grossi e guance piatte: nel complesso erano
- ripugnanti, ma non incutevano timore. Alti il doppio degli hurriani, erano
- anche grossi il doppio: ma nei loro occhi c'era un'espressione vuota, i loro
- modi erano quelli di esseri sottomessi. Stavano ritti tenendo però il collo
- lievemente piegato, e tenevano penzoloni le grosse braccia muscolose.
- Il super-amministratore fece loro cenno di andarsene, e loro scomparvero alla
- vista. In quel luogo non era necessario farsi proteggere da loro, ma una
- scorta di almeno cinque mauv era il minimo per uno come lui, e lui gradiva
- questa abitudine.
- Il problema non venne affrontato né durante le lunghissime cerimonie di
- benvenuto né durante il pranzo. Quando venne il momento di ritirarsi per un
- meritato riposo, il super-amministratore si lisciò la barbetta e guardò
- Devi-en. - Comandante, quanto tempo si dovrà ancora aspettare prima che questo
- pianeta si decida?
- Era già alquanto anziano; sulle braccia gli crescevano peli grigi, e quelli
- che spuntavano alla piega del gomito erano ormai bianchi come la corta
- barbetta.
- - Vostra Nobiltà, non sono in grado di fare previsioni - rispose Devi-en con
- umiltà. - Questi esseri non sembrano seguire il solito schema.
- - Mi sembra ovvio. Ma io adesso le chiedo: perché no? Il Consiglio si è reso
- conto, leggendo i suoi rapporti, che lei prometteva cose che poi non sono
- avvenute. Lei si spreca in teorie, ma non entra nei particolari. Su Hurria
- siamo stanchi di questa storia. Se lei è in possesso di informazioni che non
- ci ha ancora fornito, bene, questo è il momento giusto per parlarne.
- - Vostra Nobiltà, è molto difficile trovare le prove. Non avevamo mai tenuto
- d'occhio un pianeta per così tanto tempo prima d'ora. Mi sembra ovvio che ci
- siamo sbagliati. Tutti gli anni abbiamo previsto con certezza lo scoppio del
- conflitto nucleare per l'anno successivo, però è stato dal mio arrivo al
- comando di questa missione che abbiamo cominciato a studiare a fondo quella
- gente. Durante questa lunga attesa, abbiamo utilizzato il tempo per imparare
- alcune delle loro lingue più diffuse.
- - Senza mai atterrare sul pianeta?
- - I nostri esploratori - Sì affrettò a spiegare Devi-en - penetrando
- nell'atmosfera del pianeta, hanno captato numerose emissioni radio, specie
- durante i primi anni. Ho fatto calibrare i decrittatori linguistici per poter
- comprendere quei messaggi, e ho usato quest'ultimo anno per interpretarli.
- Il super-amministratore sbarrò gli occhi. Aveva un'espressione tale che
- sarebbe stata superflua da parte sua qualsiasi esclamazione di sorpresa.
- - E ha appreso qualcosa di interessante?
- - Credo di sì, Vostra Nobiltà. Però, quello che ho appreso è molto strano, le
- prove a sostegno sono così incerte, che non mi sono azzardato a farne cenno
- nei miei rapporti.
- Il super-amministratore fece cenno di aver capito i suoi motivi.
- - Comunque, in via ufficiosa, potrebbe spiegarmi qual è il punto a cui è
- giunto con le sue riflessioni?
- - Con vera gioia - rispose Devi-en. - Innanzi tutto, gli abitanti di questo
- pianeta sono primati, bellicosi per natura.
- L'altro borbottò per il sollievo, e si passò la lingua sul naso con una certa
- soddisfazione.
- - Cominciavo a temere che non fossero bellicosi e che quindi... - mormorò. -
- Ma prosegua, la prego.
- - Per esserlo, lo sono, bellicosi voglio dire - sottolineò Devi-en. - E a un
- grado superiore della media, per di più.
- - E allora perché le cose non vanno come dovrebbero?
- - Ma le cose vanno come dovrebbero, Vostra Nobiltà, però solo fino a un certo
- punto. Hanno cominciato la meccanizzazione dopo il solito lungo periodo
- d'incubazione, quindi, da quel punto in poi, le solite scaramucce fra primati
- si sono trasformate in vere guerre di distruzione. A conclusione dell'ultima
- di tali guerre, sono entrati in possesso delle armi nucleari.
- Il super-amministratore era soddisfatto. - E poi?
- - E poi doveva succedere questo - proseguì Devi-en. - Doveva scoppiare un
- conflitto nucleare, nel corso del quale quell'armamento si sarebbe
- ulteriormente migliorato fino a raggiungere il più alto potere distruttivo
- possibile per cui, usate secondo la solita logica dei grandi primati,
- avrebbero dovuto ridurre drasticamente la popolazione a pochi individui
- ridotti alla fame e sovrastati dal pericolo delle radiazioni.
- - Questo lo so: però non è successo. Perché?
- - Qui siamo a un punto nodale - rispose Devi-en. - Il fatto è che questi
- primati hanno progredito con eccessiva velocità dal momento in cui sono
- entrati nell'era della meccanizzazione.
- - E allora? - sbottò l'altro. - Che vuol dire? Semplicemente che sono arrivati
- a possedere prima di altri le armi nucleari.
- - Esatto. Però, dopo il conflitto recentemente terminato, hanno continuato a
- perfezionare il loro armamentario con insolita rapidità. E qui, a mio avviso,
- che sta il guaio. Il loro potenziale distruttivo è cresciuto prima, non
- durante, il conflitto nucleare che ci aspettavamo, e adesso sono arrivati al
- punto in cui non osano più correre il rischio di scatenare una guerra.
- Gli occhi neri come giaietto dell'amministratore si spalancarono per la
- sorpresa. - Impossibile. A me non importa se questi primati hanno una
- particolare inclinazione per la meccanica. È risaputo che la scienza militare
- compie passi da gigante solo durante un conflitto.
- - E però probabile che questi primati costituiscano un'eccezione. Anche adesso
- siamo convinti che ci sia una guerra in atto, però non è una vera guerra,
- anche se è una guerra.
- - È una guerra ma non lo è, però è una guerra - riassunse il
- super-amministratore con aria perplessa. - Vuol dirmi cosa significa?
- - Non so se ci riuscirò - replicò Devi-en facendo ballonzolare il naso con
- aria afflitta. - È qui che mi sono arenato nel mio tentativo di trarre
- conclusioni logiche da tutto il materiale raccolto e decrittato. Su questo
- pianeta hanno inventato una cosa che si chiama "Guerra Fredda". Cosa sia non
- si sa, però spinge furiosamente i primati a fare ricerche belliche che però
- non portano a nessun conflitto nucleare.
- - Ma è impossibile! - sbottò il super-amministratore.
- - Però è così - ribatté l'altro. - Loro sono lì, e noi stiamo qui. E sono
- quindici anni che aspettiamo.
- Il super-amministratore si portò le braccia dietro la testa. - Allora, rimane
- una sola cosa da fare. Il Consiglio, fra le varie opzioni, ha considerato
- anche quella che su questo pianeta si sia arrivati a un punto morto, a una
- sorta di pace bilanciata che impedisce, chissà come, la guerra. Una cosa, se
- vogliamo, simile a quella che mi ha descritto, anche se a nessuno è venuto in
- mente quello che mi ha detto. Purtuttavia, non possiamo permettere a questo
- stato di cose di protrarsi.
- - Proprio no, Vostra Nobiltà?
- - No - rispose il super-amministratore, con tono che sembrava addolorato. -
- Più durerà questa situazione di stallo, e maggiori saranno le probabilità che
- quella gente scopra i viaggi interstellari. E allora comincerebbero a
- spargersi per la galassia con tutto il loro carico di bellicosità ancora
- intatto. Adesso capisce?
- - Cosa suggerisce, allora?
- Il super-amministratore si piegò in avanti, con la testa avvolta dalle
- braccia, come se quello che stava per dire fosse troppo anche per lui. La sua
- voce giungeva soffocata.
- - Se la situazione è in equilibrio instabile, dobbiamo darci da fare per
- esercitare pressioni. Dobbiamo dare noi la spinta finale.
- Devi-en sentì un nodo allo stomaco: sentì che il sapore del cibo stava
- tornandogli in bocca.
- - Dobbiamo dare la spinta finale, Vostra Nobiltà? - Ripeté quelle parole
- sperando che l'altro le confutasse, augurandosi di non aver sentito bene.
- Ma l'altro era irremovibile. - Dobbiamo fare in modo che diano inizio alla
- guerra nucleare. - Aveva l'aria di essere quasi più infelice di Devi-en. -
- Dobbiamo, capisce?
- Devi-en era rimasto senza parole.
- Alla fine balbettò: - Ma come faremo a ottenere un tale risultato, Vostra
- Nobiltà?
- - Non lo so e non voglio saperlo. Non l'ho deciso io, ma il Consiglio. Lei
- capisce cosa succederebbe nella galassia se grandi primati intelligenti
- conquistassero lo spazio senza essere prima passati attraverso la prova di un
- conflitto nucleare, vero?
- Quel pensiero fece rabbrividire Devi-en, che si raffigurava tutto quel
- potenziale bellicista a piede libero per la galassia. Ma riteneva suo dovere
- insistere.
- - Ma come si può dare l'avvio a una guerra del genere? Come potremo fare?
- - Ho già detto che questo non lo so. Però ci dovrebbero essere molti modi.
- Forse... forse potremmo inviare un messaggio, o creare artificialmente qualche
- spaventoso uragano inseminando le nubi, o potremmo intervenire a livello
- climatico apportando dei cambiamenti radicali...
- - E questo porterebbe a una guerra nucleare? - chiese Devi-en, per nulla
- impressionato da quei progetti.
- - Magari no. Dicevo tanto per fare qualche esempio. Però quei primati
- dovrebbero saperlo. Dopo tutto, sono loro che devono scatenare la guerra, le
- pare? Quindi, loro lo sanno per certo. È questa la decisione a cui è arrivato
- il Consiglio.
- Devi-en si accorse che da un po' di tempo la sua coda stava battendo
- nervosamente sul sedile. Cercò di fermare quel movimento inconsulto, ma non ci
- riuscì.
- - Di quale decisione si tratta, Vostra Nobiltà?
- - Dobbiamo catturare uno dei primati andandolo a prendere sul pianeta.
- Dobbiamo organizzare un rapimento.
- - Rapire un selvaggio?
- - Sono la specie dominante sul pianeta, quindi è ovvio che dovremo prendere un
- selvaggio.
- - E cosa potrebbe dirci?
- - Questo non importa molto, comandante. L'importante è farlo parlare, e mentre
- lo farà lo scandaglio mentale ci dirà come dovremo agire.
- Devi-en ritirò più profondamente che poteva la testa fra le spalle. La pelle
- delle braccia si stava raggrinzendo per la ripugnanza. Uno di quei primati
- allo stato selvatico! Cercò di immaginarsene uno, non ancora beneficato da una
- guerra atomica e quindi non ancora rimodellato dalla loro influenza
- civilizzatrice e da un allevamento secondo i loro metodi avanzatissimi.
- Anche il super-amministratore non riusciva a nascondere la sua nausea.
- - La spedizione per la cattura di uno di tali esseri dovrà essere guidata da
- lei, Comandante - disse. - Si ricordi che è per il bene supremo della
- galassia.
- Devi-en aveva naturalmente visto innumerevoli volte quel pianeta, e ogni volta
- che un'astronave si metteva in orbita attorno a quel satellite esponendo quel
- mondo alla piena vista, sentiva un forte desiderio di casa.
- Nelle caratteristiche generali, come nelle dimensioni, ricordava molto Hurria,
- anche se questo era più selvatico oltre che più grande. Vederlo
- all'improvviso, dopo il paesaggio inospitale della Luna, non gli faceva certo
- bene.
- Pensò a quanti pianeti come quello fossero caduti sotto l'orbita di Hurria. E
- poi, quanti altri ne esistevano segnalati dagli osservatori che avevano notato
- certi cambiamenti stagionali che potevano solo essere ascritti a un inizio di
- un'agricoltura organizzata? E quante altre volte, nel futuro, sarebbe giunto
- il momento in cui il tasso di radioattività nell'atmosfera di quei mondi
- avrebbe cominciato ad alzarsi drammaticamente, segnando il momento in cui le
- squadre di colonizzazione avrebbero potuto entrare in azione?
- In questo momento, toccava a quel pianeta.
- Adesso trovava quasi commovente la sicurezza con cui avevano agito
- dapprincipio gli hurriani. Anche lui avrebbe potuto sorridere alla semplice
- lettura dei rapporti, se adesso non ci fosse stato coinvolto fino al collo. Le
- loro vedette erano scese sul pianeta per raccogliere tutti i dati possibili e
- per localizzare i grandi centri abitati. Erano state viste, certo, ma non
- importava a nessuno. Perché qualsiasi momento era quello giusto per il dramma
- finale.
- Qualsiasi momento? Però gli anni passavano, e già gli esploratori si stavano
- chiedendo se forse avrebbero fatto meglio a usare una maggiore prudenza.
- E infatti la sua astronave si muoveva con grande prudenza. I suoi uomini erano
- sconvolti per la missione che li attendeva. Nemmeno lui era riuscito a
- riportare la calma fra di loro, anche se aveva garantito a tutti che nessuno
- avrebbe nuociuto a quei primati. Però non si potevano certo precipitare le
- cose. Innanzi tutto, dovevano scegliere un tratto di terreno deserto e
- incolto; per numerosi giorni rimasero in agguato, a quindici chilometri
- d'altezza, col nervosismo che serpeggiava sempre più fra l'equipaggio, a
- eccezione dei mauv che se ne stavano stolidamente tranquilli.
- Sullo schermo apparve infine una creatura che camminava sola in quel paesaggio
- inospitale: si appoggiava a un bastone e portava un involto appeso alla
- schiena.
- A velocità supersonica, e in perfetto silenzio, calarono su di essa. Ai
- comandi c'era lo stesso Devi-en, che si sentiva raggrinzire la pelle per la
- nausea.
- Poco prima di essere catturata, la creatura pronunciò alcune parole, che
- vennero immediatamente registrate in vista dell'analisi futura.
- Quando il primate vide sopra di sé l'astronave si lasciò sfuggire una frase
- che venne captata dal microfono direzionale. La frase era la seguente: - Dio
- mio, un disco volante!
- La seconda parte della fase era chiara per Devi-en, in quanto conteneva parole
- ricorrenti per indicare le loro astronavi fin dal tempo delle loro prime
- missioni esplorative.
- Quando il primate venne issato, nonostante la sua resistenza che nulla poteva
- contro la forza bruta dei mauv, a bordo dell'astronave, pronunciò la seconda
- frase di quella prima frase.
- Avvenne quando Devi-en, il cui naso si stava raggricciando per l'orrore, le si
- fece incontro per accoglierla a bordo: quella creatura, dal volto
- disgustosamente senza peli e completamente unto da una secrezione interna,
- gridò: - Santo cielo, una scimmietta!
- Anche questa seconda parte della seconda frase apparteneva al novero di parole
- note a Devi-en: era la parola con cui, su quel pianeta, si indicavano i
- primati inferiori di minuscola taglia.
- Era molto difficile avere a che fare con quel primitivo. Ci volle tutta la
- pazienza di cui erano capaci per farle pronunciare qualche frase ragionevole.
- All'inizio, ottennero solo una serie di urla e di strepiti. Si era ovviamente
- resa conto di essere stata rapita, e anziché considerare il fatto sotto un
- punto di vista dell'interesse generale, ne sembrava terrorizzata. Parlava in
- continuazione dei suoi cuccioli e della femmina che sembrava aspettarlo da
- qualche parte
- Devi-en si rese conto che anche quelle creature dovevano avere una sorta di
- relazione familiare, e che, seppure alla loro maniera dovevano provare dei
- sentimenti nei confronti dei componenti. Ma era comprensibile, poiché erano
- grandi primati.
- All'inizio occorse farle capire che i mauv la trattenevano per impedirle di
- farsi del male durante le sue crisi, e che non lo facevano per malanimo, e che
- nessuno voleva danneggiarla.
- - Devi-en stava male al solo pensiero che un essere senziente potesse nuocere
- in qualsiasi modo a un'altra creatura. Era un argomento che non trattava mai
- volentieri, anche se solo per negare che fosse necessario usare metodi simili
- in qualsiasi circostanza. Ma quella creatura aveva un'aria estremamente
- sospettosa, in questo del tutto simile ai grandi primati.
- Passarono cinque giorni, e la creatura si era ormai tranquillizzata, forse per
- stanchezza. Devi-en allora la fece portare nel suo alloggio per parlarle. Ma
- quando le spiegò, senza mezzi termini, che gli hurriani stavano aspettando che
- cominciasse una guerra nucleare, scoppiò di nuovo in alti clamori.
- - State aspettando la guerra! - gridò il primate. - Ma cosa vi rende certi che
- ci sarà una guerra!
- Devi-en ammise che non aveva alcuna certezza. Però aggiunse:
- - Ci sono guerre nucleari dappertutto. E noi siamo qui per aiutarvi. Dopo.
- - Per aiutarci dopo! - La creatura sembrava aver perso il ben dell'intelletto.
- Agitò con furia le braccia e dovettero intervenire i mauv per bloccarla di
- nuovo, con dolce decisione, prima di portarla via.
- Devi-en era amareggiato. Le parole della creatura sarebbero state ridotte in
- simboli a beneficio dello scandaglio mentale che forse ne avrebbe ricavato
- qualcosa. Per conto suo, non era in grado di trarre alcuna conclusione.
- La creatura intanto stava sempre più male. Aveva un corpo pateticamente privo
- di peluria, un fatto che ignoravano perché li avevano sempre osservati da
- lontano, e i tessuti e le pelli che indossavano rendevano difficile capirci
- qualcosa. Forse lo facevano per scaldarsi, o forse perché erano disgustati
- anch'essi da avere pelli così lisce. Poteva essere un argomento di grande
- interesse da sviluppare per uno studio più accurato. Certamente lo scandaglio
- mentale ne avrebbe ricavato dati interessanti.
- Col passare del tempo, però, la faccia della creatura si andava ricoprendo di
- peli: erano più fitti di quelli delle facce hurriane, e più scuri.
- Ma lui era maggiormente preoccupato per il deperimento della creatura, che
- mangiava poco; se l'avessero tenuta ancora per un po', la sua salute ne
- avrebbe risentito. E Devi-en non voleva assumersi nessuna responsabilità del
- genere.
- La mattina dopo, il primate sembrava essersi calmato. Parlava con una certa
- impazienza della guerra nucleare. Era un argomento, si disse Devi-en, che
- doveva esercitare una grande attrazione su quelle creature.
- - Come fai a dire che ci sono sempre guerre nucleari? - gli chiese la
- creatura. - Questo vuol dire che esistono altre specie viventi oltre alla tua,
- alla mia e alla loro? - disse indicando i mauv che gli stavano d'attorno.
- - Le razze intelligenti sono parecchie migliaia, e vivono su migliaia di
- pianeti diversi - gli spiegò Devi-en.
- - E tutte hanno combattuto guerre nucleari?
- - Appena raggiunto l'adeguato livello tecnologico. Solo noi non l'abbiamo
- fatto. Noi siamo diversi. Noi non siamo bellicisti. In noi è forte l'istinto
- della cooperazione.
- - Vorresti dire che sai che ci sarà una guerra, e che pur sapendolo non vuoi
- fare nulla per impedirla?
- - Oh no, noi facciamo qualcosa! - disse Devi-en. - Noi ci diamo da fare per
- aiutare. All'inizio della nostra storia espansionistica, quando scoprimmo il
- volo interstellare, non riuscivamo a comunicare con i grandi primati. Loro
- rifiutavano la nostra amicizia, e così decidemmo di non aiutarli più. Poi
- scoprimmo molti mondi distrutti dalle radiazioni, finché ne trovammo uno
- impegnato in una guerra nucleare. Eravamo inorriditi, però non potevamo fare
- nulla per loro. Adesso, quando scopriamo un mondo che arriva alla scoperta
- dell'uso dell'atomo, ci prepariamo a intervenire. Attiviamo i nostri
- apparecchi di decontaminazione e gli analizzatori eugenetici.
- - Cosa sarebbero questi analizzatori?
- Devi-en faticava non poco per esprimersi nel linguaggio della creatura.
- Comunque, cercò di spiegarsi con calma: - Ci servono per controllare gli
- accoppiamenti e per eliminare, secondo quanto è possibile, la bellicosità nei
- nuovi nati e nei sopravvissuti.
- Si aspettava uno scoppio di collera da parte della creatura, ma quella gli
- chiese, con voce atona: - Insomma, li rendete docili come quelli? - e indicò i
- mauv che, pazienti, gli stavano attorno.
- - Oh no, quelli lì sono diversi. Noi operiamo in modo che chi sopravvive
- desideri una società pacifica, senza aggressività, senza voglie
- espansionistiche. Il tutto sotto la nostra guida, altrimenti si
- autodistruggerebbero.
- - Sì, ma voi cosa ci guadagnate?
- Devi-en fissò la creatura e si chiese se davvero doveva spiegarle quale fosse
- il più grande piacere della vita.
- - Ma voi non amate aiutare gli altri? - le chiese.
- - Lasciamo perdere questo. Ti ho chiesto cosa ci guadagnate.
- - Be', quei mondi devono pagare un tributo a Hurria.
- - Aha!
- - Ma se gli salviamo la specie, ci devono qualcosa! - protestò Devi-en. - E
- poi noi abbiamo molte spese. I contributi non sono esosi, e sono calcolati a
- seconda della natura dei vari mondi. Ci sono pianeti particolarmente boscosi
- che ci forniscono legna per tutto l'anno; un altro, invece, può fornirci di
- sali di manganese. Il mondo di questi mauv è a corto di ricchezze naturali,
- così sono stati loro stessi a offrirsi di ripagarci fornendoci un certo numero
- di individui perché ci servano come aiutanti. Sono molto forti, più di tutti i
- grandi primati che conosciamo, e noi forniamo loro droghe mentali che
- impediscono loro di soffrire.
- - E così li trasformate in zombi!
- Devi-en credette di aver compreso il significato di quella parola e si sentì
- indignato. - Non è vero! Facciamo in modo che si sentano soddisfatti del ruolo
- che devono svolgere e che si scordino del loro passato personale. Non vogliamo
- farne degli infelici, perché sono creature intelligenti.
- - E se da noi scoppiasse la guerra, come interverreste?
- - Sono quindici anni che vi stiamo studiando - rispose il Comandante. - Il
- vostro mondo è ricco di ferro e ha sviluppato un'interessante tecnologia per
- ottenere l'acciaio. Probabilmente il vostro tributo sarà costituito
- dall'acciaio. Però, solo questo tributo non basterebbe a rifonderci di tutte
- le spese sostenute. Abbiamo aspettato almeno il triplo del tempo programmato.
- - Quante sono le razze che taglieggiate in questo modo? - chiese la creatura.
- - Ignoro il numero esatto. Ma credo che siano più di un migliaio.
- - Allora siete i padroni della galassia, vero? Un migliaio di mondi si sono
- distrutti per contribuire al vostro benessere! Adesso ho capito cosa siete
- voi! - La voce della creatura si stava alzando sempre più. - Siete avvoltoi!
- - Avvoltoi? - chiese Devi-en, che non riusciva a capire il significato di
- quella parola.
- - Sono uccelli che divorano le carogne. Creature che aspettano che uno muoia
- di sete per poi cibarsi del suo cadavere.
- Devi-en sentiva montare la nausea a quella descrizione.
- - Oh no! Noi aiutiamo le specie! - protestò.
- - Voi aspettate la guerra come gli avvoltoi. Se voleste portare aiuto,
- dovreste impedire le guerre. Non limitatevi a salvare i sopravvissuti, salvate
- tutti invece.
- La coda di Devi-en si stava agitando per conto proprio.
- - Ma come si fa a impedire una guerra? Tu lo sai?
- - Impedire una guerra è il contrario di farla scoppiare. Imparato un
- procedimento, basta poi applicarlo all'incontrario.
- Il Comandante era perplesso.
- - Atterrate sul pianeta - disse la creatura - e spiegate la situazione a
- tutti.
- Devi-en era deluso. Tutto quello che avevano fatto non era servito a niente.
- - Atterrare sui pianeti? Improponibile - disse. Rabbrividiva al solo pensiero
- di dover atterrare fra miliardi di primati non ancora addomesticati.
- L'espressione afflitta che gli era comparsa sul volto doveva avere un
- significato universale perché la creatura, malgrado la loro estrema diversità,
- la comprese al volo. Si slanciò verso il Comandante ma i mauv lo afferrarono
- appena in tempo con un semplice scatto delle lunghe braccia muscolose.
- La creatura stava gridando. - Voi ve ne restate fermi ad aspettare! Siete
- degli avvoltoi! Avvoltoi!
- Dovettero passare parecchi giorni prima che Devi-en si risolvesse a incontrare
- di nuovo il suo superiore. In cuor suo si sentiva persino disposto a
- disobbedire al super-amministratore, che continuava a insistere perché i
- colloqui continuassero in quanto le sonde mancavano dei dati sufficienti a
- elaborare una risposta soddisfacente.
- Provò un attacco diretto, un bluff. - Ormai, ne sappiamo abbastanza per trarre
- le nostre conclusioni.
- Il naso del super-amministratore fremette, poi ci passò sopra la lingua con
- calma, con aria meditabonda. - Forse per una soluzione di massima. Ma questa è
- una razza alquanto insolita. Però non possiamo permetterci di commettere alcun
- errore. Per fortuna, però, siamo capitati su una creatura molto
- intelligente...a meno che, per la sua razza, non rappresenti l'essere medio. -
- Ma quel pensiero era già di per sé abbastanza sconvolgente.
- - Quel grande primate - mormorò Devi-en - mi ha fatto quell'orrenda
- descrizione di quell'uccello... quel...
- - Avvoltoio - disse il super-amministratore.
- - Questo mi fa vedere le cose sotto una luce insolita. Da quando me l'ha
- descritto non sono più riuscito a sentirmi tranquillo. Ho paura che dovrà
- avanzare richiesta di essere sostituito.
- - Questo avverrà solo a missione compiuta - replicò fermamente il
- super-amministratore. - Nemmeno a me è piaciuta la descrizione di quel... di
- quel mangiatore di carogne. No, occorrono altri dati.
- Devi-en annuì. Era ovvio che il super-amministratore era ansioso di far
- scoppiare una guerra nucleare quanto lo sarebbe stato qualsiasi altro
- hurriano. Infatti, continuava a rimandare il momento della decisione più che
- poteva.
- Devi-en si sentiva pronto per un altro incontro con la creatura. Fu una cosa
- insopportabile al massimo grado. E fu il loro ultimo colloquio.
- La creatura aveva una ferita a una guancia, forse perché si era opposto di
- nuovo ai mauv. Anzi, era chiaro che era stato così. Non era la prima volta che
- lo faceva, e i poveri mauv, anche se non volevano farle male, alcune volte
- l'avevano involontariamente ferita. Secondo logica avrebbe dovuto rendersi
- conto che i mauv cercavano di non farle del male, e quindi avrebbe dovuto
- calmarsi. Invece, forse proprio perché conosceva tutti quei particolari,
- aumentava la propria resistenza. Devi-en si era ormai convinto dell'assoluta
- malvagità di quelle creature.
- La conversazione verté per diverso tempo su argomenti banali finché la
- creatura, in tono rabbioso, disse: - Da quanto hai detto che ci osservate?
- - Da quindici dei vostri anni - rispose il Comandante.
- - Tutto torna. Infatti i primi dischi volanti vennero avvistati poco dopo la
- seconda guerra mondiale. Quanto manca alla guerra nucleare?
- - Lo vorremmo sapere anche noi - disse Devi-en in tutta sincerità, poi si
- bloccò di colpo, per paura di scoprirsi troppo.
- - Pensavo che un conflitto del genere fosse inevitabile - disse la creatura -
- ma l'altra volta mi hai detto che avete aspettato molto più del previsto.
- Speravate che scoppiasse almeno dieci anni fa, vero?
- - Non sono autorizzato a discutere di queste cose - disse Devi-en.
- - Ah no? gli gridò l'altro. - E cosa volete fare adesso? Per quanto ancora
- aspetterete? Perché non vi decidete a farla scoppiare voi? Non aspettate
- troppo, avvoltoi! Datevi da fare!
- Devi-en scattò in piedi. - Cos'hai detto?
- - Cosa state aspettando, voi maledetti... - e aggiunse una parola mai captata
- alla radio, poi aggiunse: - Fanno così anche gli avvoltoi quando uno sta per
- morire ma ci mette troppo, lo sai? Non riescono ad aspettare più di tanto. Si
- buttano in picchiata sulla vittima e le cavano gli occhi. Poi aspettano ancora
- un po', finché poi lanciano l'attacco finale.
- Devi-en si fece portare via di corsa. Si ritirò nella sua cabina. Per ore e
- ore stette male da morire. Non dormì per una quantità incalcolabile di ore.
- Nella mente gli continuava a risuonare la parola "avvoltoio", mentre
- l'immagine che essa evocava continuava a ballargli davanti agli occhi.
- - Vostra Nobiltà - disse con tono deciso - non ce la faccio più a parlare con
- quella creatura. Se vuole altri dati, si cerchi qualcun altro.
- Anche il super-amministratore aveva un'aria depressa.
- - Capisco. Questa storia degli avvoltoi... nemmeno io riesco a digerirla. Però
- avrà notato che quella creatura non è affatto scossa dall'idea di
- quell'uccello. Sembra essere immune a certe immagini.
- Forse se ne sono abituati. Deve far parte del loro abito mentale. È orrendo.
- - Non le procurerò altri dati.
- - Capisco. Comunque, tutti questi altri elementi rafforzano la prima
- decisione. Che speravo di non dover applicare. - Affondò la testa fra le
- braccia. - Conosco il modo per innescare la guerra nucleare.
- - Davvero? E quale sarebbe?
- - È una cosa molto semplice e molto diretta. Una cosa che non avrei mai osato
- pensare. Nemmeno lei avrebbe mai osato pensarla.
- - Di che si tratta, Vostra Nobiltà? - Devi-en era atterrito.
- - La pace viene mantenuta da parte delle due potenze perché nessuna delle due
- osa assumersi la responsabilità dell'attacco. Se cominciasse uno dei due,
- l'altro lo seguirebbe per rappresaglia.
- Devi-en annuì.
- Il super-amministratore continuò. - Se anche una sola bomba scoppiasse sul
- territorio di una delle due superpotenze, la deduzione logica sarebbe che è
- stata sganciata dal nemico. Non starebbero ad aspettare un'altra bomba,
- reagirebbero subito. Entro poche ore il conflitto sarebbe generale, perché gli
- altri risponderebbero subito. Entro poche settimane terminerebbe tutto.
- - Sì, ma come facciamo a convincere una delle due potenze?
- - Non si può: è questo il punto. La prima bomba verrà sganciata da noi.
- - C-come? - balbettò Devi-en.
- - Se lei studiasse attentamente la mente di uno di questi grandi primati, si
- accorgerebbe che questa è l'unica risposta.
- - Ma come si può fare?
- - Ne costruiremo una. È facile. Poi la carichiamo su un'astronave e andiamo a
- scaricarla su una località popolosa.
- - Popolosa?
- Il super-amministratore non lo guardava negli occhi. - È per avere il massimo
- effetto, capisce?
- - Capisco - mormorò Devi-en. Non poteva fare a meno di continuare a pensare
- agli avvoltoi. Li vedeva come uccelli enormi, immensamente più grandi delle
- piccole e inoffensive creature alate del suo paese natale: li immaginava con
- ali a membrana e lunghi becchi affilati e li vedeva mentre calavano dal cielo
- in cerchi sempre più stretti per strappare gli occhi alle loro vittime. Si
- coprì la faccia con un moto convulso.
- - E chi guiderà l'astronave? - chiese con terrore. - Chi sgancerà la bomba?
- La voce del super-amministratore era, se possibile, meno forte e decisa di
- quella del Comandante. - Non lo so.
- - Be', io no - disse Devi-en. - Io non ce la faccio. Nessun hurriano lo farà.
- Per nessun motivo.
- Il super-amministratore aveva un'aria disperata, sconfitta.
- - Potremmo magari comandarlo ai mauv
- - E chi oserebbe dare quell'ordine?
- L'altro sospirò con forza. - Interpellerò il Consiglio. Dovrebbero avere tutti
- i dati. Ci sapranno dire qualcosa.
- E così, dopo quindici anni, gli hurriani smantellarono la loro base sulla
- Luna. Non avevano combinato nulla. La guerra nucleare sul pianeta che tenevano
- d'occhio non era scoppiata: forse, non l'avrebbero combattuta mai.
- Malgrado fosse consapevole dei possibili danni futuri, Devi-en si sentiva
- scoppiare per la felicità. Non aveva voglia di preoccuparsi per il futuro.
- Quello che contava era che stava per lasciarsi alle spalle quell'orrendo
- pianeta.
- Guardò la Luna che rimpiccioliva alle loro spalle fino a scomparire assieme al
- suo pianeta, poi lo stesso successe al sole di quel sistema planetario, finché
- rimasero solo le costellazioni, anonime.
- Fu in quel momento che avvertì qualcos'altro unitamente al sollievo. Era il
- primo brivido relativo a "quello che avrebbe potuto essere".
- - Magari, se avessimo avuto più pazienza, tutto si sarebbe risolto per il
- meglio - disse al super-amministratore. - Alla fine magari l'avrebbero fatta
- la loro guerra nucleare.
- - Non credo - rispose l'altro. - L'analisi mentale della creatura...
- Si bloccò, e nello stesso istante anche Devi-en capì. Quella creatura era
- stata riportata sul suo pianeta, indenne. Gli avvenimenti delle ultime
- settimane le erano stati cancellati dalla memoria. L'avevano lasciata presso
- un minuscolo centro abitato nelle vicinanze del luogo in cui l'avevano
- prelevata. Tutti avrebbero creduto in una perdita di memoria, e avrebbero
- attribuito a questo fatto il suo deperimento fisico e organico.
- Ma il male che quell'essere aveva lasciato in loro...
- Se non l'avessero lasciata libera di parlare troppo, magari si sarebbero
- convinti all'idea di preparare, trasportare e sganciare la bomba per provocare
- la guerra; sarebbero persino riusciti a trovare qualche sistema perché venisse
- sganciata senza il loro intervento.
- Ma la descrizione delle abitudini dell'avvoltoio aveva rovinato tutto. Anche
- la mente di Devi-en e del super-amministratore. Quando avevano trasmesso i
- dati a Hurria, l'effetto sul Consiglio era stato terribile, e infatti avevano
- subito dato l'ordine di smantellare la base e di fare ritorno.
- - Non parteciperò più a spedizioni di colonizzazione - affermò Devi-en.
- - Nessuno di noi farà più nulla del genere - aggiunse l'altro in
- tono mesto. - Le creature selvagge di quel pianeta spunteranno presto nella
- galassia, e con tutte quelle creature sparse qui attorno sarà la fine di... la
- fine del...
- Il naso di Devi-en era agitatissimo: sarebbe stata la fine di tutto. La fine
- del bene che avevano sparso nella galassia, la fine di tutto quello che
- avrebbero potuto ancora seminare nei secoli futuri.
- - Forse, se avessimo sganciato... - cominciò, ma non riuscì a terminare.
- A che pro parlarne? Non avrebbero mai potuto risolversi a farlo, perché se
- l'avessero fatto si sarebbero riconosciuti simili a quei grandi primati nel
- modo di pensare e di agire, e ci sono cose peggiori della fine di tutto.
- Gli avvoltoi volavano nella mente di Devi-en.
- Titolo originale: The Gentle Vultures
- Prima edizione: Super Science Fiction, dicembre 1957
- Traduzione di Marzio Tosello
- TUTTI I PROBLEMI DEL MONDO
- La più grande industria del mondo gravita su Multivac, il gigantesco computer
- che in cinquant'anni è cresciuto così tanto che le sue varie ramificazioni
- hanno invaso tutta Washington compresi i sobborghi per poi dirigere le proprie
- estensioni fino a toccare ogni metropoli e tutte le cittadine del mondo.
- Veniva rifornito costantemente di dati da un'armata di addetti civili, mentre
- un'altra armata correlava e interpretava tutte le risposte che lui forniva. Il
- suo organismo interno era costantemente pattugliato da un corpo di ingegneri,
- mentre miniere e fabbriche si autodistruggevano per creare tutti i possibili
- componenti di ricambio che dovevano essere sempre più completi, sempre più
- accurati, sempre più soddisfacenti sotto ogni punto di vista.
- Multivac sovrintendeva all'economia terrestre e dava una mano alla scienza
- terrestre. Cosa più importante di tutte, fungeva da riserva infinita che
- raccoglieva tutti i fatti noti riguardanti qualsiasi individuo.
- Rientrava nella routine quotidiana di Multivac prendere i quattro miliardi di
- serie di dati concernenti i quattro miliardi di esseri umani che componevano
- la sua banca dati a fini statistici ed estrapolarli per aggiungervi ogni volta
- un'altra giornata di informazioni. Tutti i Dipartimenti Rettifiche del mondo
- ricevevano i dati che riguardavano la loro area giurisdizionale e le
- informazioni così raccolte venivano inviate tutte assieme alla Direzione
- Centrale delle Rettifiche di Washington.
- Bernard Gulliman era arrivato alla quarta settimana del suo anno in qualità di
- Presidente della Direzione Centrale Rettifiche e si era già talmente abituato
- da accettare il rapporto mattutino senza esserne terrorizzato. Come al solito,
- era una massa di carta alta una quindicina di centimetri. Ormai sapeva che
- nessuno si aspettava che lo leggesse per intero (nessun essere umano ci
- sarebbe mai riuscito). Però si divertiva a dargli lo stesso un'occhiata.
- C'era la solita scontata teoria di crimini: truffe d'ogni genere, furti,
- disordini, omicidi colposi, incendi dolosi.
- Cercava qualcosa di particolare, e provò una sorta di shock quando lo scovò, e
- poi un altro. Non uno quindi, ma due. Due omicidi di primo grado. Da quando
- ricopriva quella carica, non ne aveva mai trovati due nello stesso giorno.
- Premette il pulsante del citofono da tavolo e attese che sullo schermo
- apparisse il viso liscio del suo coordinatore.
- - Alì - disse Gulliman. - Oggi ci sono due omicidi di primo grado.
- Rappresentano qualche problema particolare?
- - No signore. - Quel viso dalla pelle olivastra, dai duri occhi neri, sembrava
- inquieto. - Rientrano entrambi in una probabilità alquanto bassa.
- - Sì, lo so - riprese Gulliman. - Ho notato che né l'una né l'altra
- probabilità raggiungono il quindici per cento. Però, Multivac ha lo stesso una
- reputazione da difendere. Ha virtualmente eliminato il crimine, e il pubblico
- pensa che un delitto del genere sia una cosa altamente riprovevole, oltre che
- spettacolare.
- Alì Othman annuì. - Certo, signore. Sono d'accordo anch'io.
- - E certo sarà anche d'accordo con me, spero, che durante il mio mandato non
- voglio che venga commesso un singolo delitto. Se ci s'infila un altro crimine,
- dovrò scusarmene. E se questo succederà, avrò la sua pelle. Capito?
- - Sì signore. Le analisi complete dei due potenziali assassini sono già state
- consegnate ai due distretti di competenza. I potenziali criminali e le loro
- potenziali vittime sono tenute d'occhio. Ho ricontrollato le probabilità che
- ciò avvenga, e sono già in diminuzione.
- - Molto bene - disse Gulliman, e tronca la comunicazione.
- Torna alla lista con l'irritante sensazione di essere, a volte, un po' troppo
- enfatico... però, uno deve avere un atteggiamento fermo con questo personale
- civile e assicurarsi che non si facciano l'idea che sono loro a controllare la
- baracca, Presidente compreso. Questo Othman, in particolare, che lavorava con
- Multivac da quand'erano tutt'e due molto giovani, e che aveva un'aria da
- esserne lui il proprietario che lo faceva semplicemente infuriare.
- Per Gulliman, questa faccenda del crimine era l'occasione politica di una
- vita. Da quanto si sapeva, nessun Presidente aveva trascorso il suo mandato
- senza che avvenisse almeno un delitto da qualche parte della Terra. Il suo
- predecessore aveva terminato con un curriculum di otto, tre in più (in più,
- capite?) del precedente Presidente.
- Gulliman non voleva averne neanche uno. Voleva diventare, questa era la sua
- decisione, il primo Presidente senza alcun delitto in tutta la Terra in tutta
- la sua carriera. Dopo di che, e dopo la pubblicità favorevole che ne sarebbe
- derivata...
- Scorse rapidamente il resto della lista. Stimò che ci fossero almeno un
- duecento casi di possibilità di mogli picchiate dai mariti. Era evidente che
- non li si sarebbe potuti fermare tutti. Un buon trenta per cento sarebbe
- giunto a esecuzione. Ma l'accidentalità stava calando, e le consumazioni dei
- crimini pure.
- Multivac aveva aggiunto da soli cinque anni alle sue liste gli elenchi delle
- probabili mogli che sarebbero state picchiate, e l'uomo medio non si era
- ancora abituato al pensiero che, se stava pianificando di percuotere la
- moglie, lo si sarebbe saputo in anticipo. Mentre questa convinzione cominciava
- a filtrare nella società, le donne avrebbero dovuto ancora sopportare qualche
- ammaccatura, finché tutto sarebbe terminato.
- Come Gulliman vide subito, c'erano diversi mariti-picchiatori in lista.
- Ali Othman chiuse il contatto e rimase a fissare lo schermo da cui era appena
- scomparsa la testa calva e mascelluta di Gulliman. Poi alzò lo sguardo sul suo
- assistente, Rafe Leemy, e disse: - Cosa possiamo fare?
- - Non lo chieda a me. È già abbastanza preoccupato per un paio di pidocchiosi
- omicidi.
- - È un caso tremendo perché lo si possa padroneggiare da soli. Ma se glielo
- diciamo gli verrà un colpo. Questi politici devono pensare alla loro pelle,
- così l'avremo sempre tra i piedi e non farà che peggiorare le cose.
- Leemy annuì e strinse il sottile labbro inferiore fra i denti. - Il problema
- è: che succederà se sbagliamo tutto? Sarebbe una specie di fine del mondo, non
- è vero?
- - Se ci sbagliamo, che importa allora di quello che ci succederà? Per allora
- saremo già stati travolti dalla catastrofe generale. - Poi, in tono più
- brioso, aggiunse: - Insomma, le probabilità sono solo il 12,3 per cento. Per
- qualsiasi altra cosa, eccetto forse l'omicidio, lasceremmo maturare un po' le
- cose prima di intervenire. Ci potrebbero essere anche correttivi spontanei.
- - Io non ci conterei - disse Leemy in tono asciutto.
- - Né io voglio farlo. Volevo solo farlo rilevare. E poi, con queste
- probabilità, suggerirei di limitarci, per il momento, al ruolo di osservatori.
- Nessuno può pianificare un crimine del genere da solo: ci devono essere per
- forza dei complici.
- - Multivac non ne ha citati.
- - Lo so. Però... - e lasciò la frase a metà.
- E rimasero a fissare i dettagli dell'unico crimine non incluso nella lista
- consegnata a Gulliman, un crimine peggiore di un omicidio di primo grado, un
- crimine mai tentato in tutta la storia di Multivac - e si chiedevano cosa
- fare.
- Ben Manners era convinto di essere il sedicenne più felice di tutta Baltimora.
- Il che era, forse, un po' dubitevole. Però era certamente uno dei più felici e
- uno dei più elettrizzati.
- Per farla breve, era entrato a far parte di quel pugno di persone ammesse a
- entrare nelle tribune dello stadio durante le cerimonie per il giuramento dei
- diciottenni. Suo fratello doveva giurare e i suoi genitori avevano fatto
- domanda per avere i biglietti e gli avevano permesso di fare lo stesso. E
- quando Multivac aveva scelto fra quanti avevano fatto richiesta, era stato
- lui, non loro, ad avere il biglietto.
- Fra due anni avrebbe giurato anche lui, ma la seconda bella cosa al mondo era
- vedere il giuramento del fratello.
- I genitori l'avevano vestito (o meglio, avevano supervisionato la sua
- vestizione) con ogni cura in quanto rappresentante della famiglia, poi
- l'avevano congedato con una quantità enorme di messaggi per Michael, che se
- n'era andato alcuni giorni prima per gli esami preliminari fisici e
- neurologici.
- Lo stadio sorgeva alla periferia della città e Ben, infiammato per la boria,
- si pavoneggiava nel suo sedile. Sotto di lui, in quel momento, c'erano file e
- file di centinaia e centinaia di diciottenni (i maschi a destra, le ragazze a
- sinistra), tutti del secondo distretto di Baltimora. In varie epoche
- dell'anno, cerimonie simili avvenivano in tutto il mondo, ma questa avveniva a
- Baltimora, e per questo era la più importante. Da qualche parte laggiù c'era
- Mike, l'unico fratello di Ben.
- Scrutò tutte quelle teste, chiedendosi se sarebbe riuscito a localizzarlo.
- Ovviamente non ci riuscì, ma nel frattempo un uomo era apparso sulla
- piattaforma di fronte a lui, e Ben smise di cercare per fissare su di lui la
- sua attenzione.
- - Buongiorno a chi è qui per giurare e agli ospiti. Sono Randolph T. Hoch,
- incaricato della cerimonia di Baltimora di quest'anno. Quelli che prestano
- giuramento mi hanno visto più volte durante il processo d'esame fisico e
- neurologico. Molta parte del lavoro è compiuta, ma manca ancora la parte più
- importante. Adesso chi giura, la sua personalità, entrerà a far parte della
- documentazione di Multivac.
- "Questo richiederà qualche spiegazione, ogni anno, per i giovani che
- pervengono alla maggiore età. Fino ad ora" (e i suoi occhi passarono in
- rassegna i giovani che gli stavano davanti, ma senza arrivare fino alle
- tribune) "non siete mai stati considerati adulti, quindi
- non siete individui per Multivac, tranne quando venite segnalati come tali dai
- vostri genitori o dal governo.
- "Fino ad ora, quando è arrivato il momento dell'annuale aggiornamento, sono
- stati i vostri genitori che hanno fornito i dati che vi riguardavano. Adesso è
- venuto il momento di affrontare voi stessi questo compito. È un grande onore,
- una grande responsabilità. I vostri genitori ci hanno detto quale istruzione
- avete avuto, quali malattie, quali abitudini: un sacco di informazioni. Ma
- adesso voi dovrete comunicarci molto di più: i vostri pensieri riposti, i
- vostri desideri più riposti.
- "È difficile a farsi la prima volta, anche imbarazzante, ma deve essere fatto.
- E una volta fatto, Multivac avrà un'analisi completa di tutti voi nei suoi
- programmi. Capirà le vostre azioni e anche le reazioni. Sarà messo così in
- grado di indovinare con grande accuratezza le vostre azioni e reazioni future.
- "Così facendo, Multivac vi proteggerà. Se correrete un pericolo, lui lo saprà.
- Se qualcuno vorrà farvi del male, lui lo saprà. Se voi vorrete fare del male,
- lui lo saprà e voi verrete fermati in tempo, cosicché non sarà necessario
- punirvi.
- "Con la sua conoscenza di tutti voi, Multivac sarà in grado di aiutare la
- Terra a risistemare la sua economia e le sue leggi per il bene comune. Se
- avete un problema personale, potete parlarne a Multivac e lui, con la sua
- conoscenza di tutto quanto vi concerne, sarà in grado di aiutarvi.
- "Avrete molti moduli da compilare. Pensateci con calma e rispondete a tutte le
- domande più accuratamente che potete. Non esitate se avvertite vergogna o una
- qualche cautela. Nessuno conoscerà i vostri dati a eccezione di Multivac, a
- meno che non divenga necessario leggerli per potervi proteggere. E anche
- allora, solo poche persone autorizzate potranno farlo.
- "Vi verrà la voglia di forzare la verità un po' qui e un po' là. Non fatelo.
- Se lo farete, lo scopriremo. Tutte le vostre risposte, unite fra loro, formano
- un disegno. Se alcune di esse sono insincere, non combaceranno col resto, e
- Multivac lo scoprirà. Se tutte le vostre risposte saranno ingannevoli, si avrà
- un disegno così distorto che Multivac lo riconoscerà subito come tale.
- Limitatevi a dire la verità."
- Finalmente, tutto finì: la compilazione dei moduli, le cerimonie e i discorsi
- che ne seguirono. Alla sera Ben, che si era messo in punta di piedi, scoprì
- Michael, che indossava ancora gli abiti che si era messo per la "parata degli
- adulti". Si salutarono con grande effusione.
- Si divisero una leggera cena, poi presero l'espresso per casa, felici e
- radiosi per la grande giornata che avevano vissuto.
- Ma non erano preparati per l'improvvisa transizione che li attendeva a casa.
- Fu uno shock improvviso per entrambi essere fermati davanti a casa da un tizio
- in uniforme, dal viso inespressivo, che chiese loro di fargli verificare i
- documenti prima di lasciarli passare; in casa trovarono i loro genitori
- seduti, con aria smarrita, nel soggiorno, coi segni della tragedia dipinti sul
- viso.
- Joseph Manners, che sembrava essere improvvisamente invecchiato, guardò i
- figli (uno dei quali teneva sul braccio i vestiti che denunciavano la
- raggiunta maturità) con occhi perplessi e profondamente incassati. Disse
- semplicemente: - Sembra che sia agli arresti domiciliari.
- Bernard Gulliman non poteva leggere il rapporto per intero, né lo fece. Lesse
- solo il riassunto, che era molto gratificante.
- Esisteva ormai un'intera generazione che era cresciuta con l'abitudine che
- Multivac era in grado di predire i crimini più gravi. Aveva appreso che gli
- agenti Rettificatori potevano giungere sulla scena del crimine prima ancora
- che questo venisse consumato. Aveva scoperto che commettere un crimine li
- avrebbe condotti a una sicura punizione. Gradualmente, tutti si erano convinti
- che non c'era modo alcuno per sfuggire a Multivac.
- Il risultato fu che, inevitabilmente, anche l'idea stessa di commettere
- crimini era caduta in disuso. E mentre la cuna criminale scendeva, si
- accresceva la capacità di Multivac, sempre meno crimini potevano essere
- iscritti nella lista che veniva stilata ogni mattina, e quegli stessi crimini
- stavano ormai rientrando nella categoria degli incidenti.
- Così Gulliman aveva ordinato un'analisi (fatta da Multivac, ovviamente) sulla
- capacità del supercervello di occuparsi del problema di predire le probabilità
- di malattie. I medici potevano essere allertati prima che il paziente
- cominciasse a covare il diabete nel corso dell'anno, o soffrire di un attacco
- di tubercolosi o sviluppare un cancro.
- Un minimo di prevenzione...
- E il rapporto era favorevole!
- E dopo quello arrivò la lista dei possibili crimini per quel giorno, e non
- c'era nemmeno un omicidio intenzionale.
- Di buon umore, Gulliman comunicò per interfono con Alì Othman.
- - Othman, può comparare il numero medio dei crimini della lista quotidiana
- della settimana scorsa con quello della mia prima settimana di Presidenza?
- Era calato, e di molto: almeno dell'8 per cento, e Gulliman ne era felice. Non
- era merito di nessuno, ovvio, ma l'elettorato non doveva saperlo. Benedisse la
- propria fortuna che l'aveva fatto arrivare lì al momento giusto, al momento di
- massima espansione di Multivac quando anche le malattie venivano messe sotto
- la sua protettiva conoscenza.
- E questo avrebbe fatto prosperare Gulliman.
- Othman si strinse nelle spalle. - Bene, è contento.
- - Quando incideremo il bubbone? - chiese Leemy. - Mettere Manners sotto
- osservazione ha fatto salire le probabilità, e gli arresti domiciliari gli
- hanno dato nuovo impulso.
- - Perché, non lo so già? - disse Othman infastidito. - Quello che non so è
- perché.
- - Forse, come ha detto, per via dei complici. Con Manners nei guai, il resto
- dev'essere colpito una volta o lasciato perdere.
- - Avendone in mano uno, gli altri scomparirebbero per assicurarsi la propria
- salvezza. E poi, perché Multivac non fa cenno ai nomi dei complici?
- - Che facciamo, lo diciamo a Gulliman?
- - No, non ancora. Le probabilità sono ancora al 17,3 per cento. Lasciamo che
- diventino un po' più drammatiche.
- - Ben, va' nella tua stanza - disse Elizabeth Manners al figlio minore.
- - Ma, mamma, cosa sta succedendo? - chiese Ben, con la voce che si spezzava
- per quella strana fine di una giornata che era stata tutta all'insegna della
- gloria.
- - Per favore!
- Uscì con riluttanza dirigendosi verso le scale che salì rumorosamente per
- ridiscenderle poi silenziosamente.
- - Cosa sta succedendo? - stava chiedendo, con voce che rispecchiava quella del
- fratello, Mike Manners, il figlio più grande, quello appena entrato nell'età
- adulta, e nuova speranza della famiglia.
- - Il cielo mi sia testimone, ragazzo - disse Joe Manners - ma non lo so. Non
- ho fatto nulla.
- - Be', certo che non hai fatto nulla. - Mike stava guardando il padre,
- quell'uomo dalle ossa fragili e dai modi gentili. - È probabile che siano qui
- perché stai pensando di fare qualcosa.
- - Ma io non penso a niente,
- La signora Manners era arrabbiata. - Come potrebbe pensare a qualcosa di
- peggio di... di tutto questo - e con un gesto abbracciò la rete di protezione
- costituita dagli uomini che circondavano la casa. - Mi ricordo di quand'ero
- piccola: che il padre di una mia amica lavorava in banca, e una volta gli
- chiesero di alzarsi e di lasciare i soldi dov'erano, e lui obbedì. Erano
- cinquantamila dollari. Non li aveva presi. Stava solo pensando che magari
- poteva prenderli. In quei giorni non agivano con discrezione come fanno oggi,
- e la storia si riseppe. È per questo che la conosco.
- Si soffregò le mani grassottelle, poi riprese: - Si trattava di cinquantamila
- dollari: cinquanta-mila-dollari, capite? Ma tutto quello che fecero allora fu
- chiamarlo: una semplice telefonata. Ma cosa starebbe architettando tuo padre
- da meritarsi di avere una dozzina di uomini che vanno e vengono per casa
- nostra?
- - Non sto pensando a nessun crimine - disse Joe Manners, con gli occhi colmi
- di dolore. - Non penso a nulla. Lo giuro.
- Mike, ricolmo della saggezza da adulto appena acquisita, intervenne. - Forse è
- qualcosa che hai nel subconscio. Del risentimento contro il tuo supervisore,
- per esempio.
- - Tanto da volerlo ammazzare? No!
- - Ma non ti hanno detto di cosa si tratta?
- - No, non l'hanno fatto - intervenne la madre. - Gliel'abbiamo chiesto. Gli ho
- detto che con la loro presenza stavano distruggendo la nostra vita nella
- comunità. La cosa migliore che dovrebbero fare è dirci di che si tratta, in
- modo che la si possa combattere.
- - E si sono rifiutati?
- - Sì.
- Mike era in piedi a gambe larghe, con le mani sprofondate nelle tasche. Con
- voce preoccupata disse: - Via, mamma, Multivac non commette mai errori.
- Suo padre batté con forza il pugno sul bracciolo del divano. - Vi dico che non
- sto pensando a nessun crimine.
- La porta si aprì senza che nessuno avesse bussato e un uomo in uniforme entrò
- con passo fermo e deciso. Il viso brillava di autocompiacimento. Chiese: - E
- lei Joseph Manners?
- Joseph Manners si alzò. - Sì. È lei, cosa vuole da me?
- - Joseph Manners, per ordine del governo, lei è in stato d'arresto. - Così
- dicendo mostrò il tesserino che lo identificava come funzionario
- Rettificatore. - Devo chiederle di seguirmi.
- - Per quale motivo? Cos'ho fatto?
- - Non sono autorizzato a parlarne con lei.
- - Ma non posso essere arrestato solo per aver avuto pensieri criminosi,
- nemmeno se fosse vero. Per essere arrestato devo aver già commesso qualcosa.
- Altrimenti, non può arrestarmi. È contrario alla legge.
- Il funzionario era impenetrabile alla logica. - Lei deve venire con me.
- La signora Manners lanciò un grido e piombò sul divano, piangendo
- istericamente. Joseph Manners non poteva costringersi a violare quel codice
- piantato in lui così in profondità di non opporre mai resistenza a un
- funzionario, ma fece comunque un passo indietro, costringendo il Rettificatore
- a fare un passo in avanti per non farselo fuggire.
- Mentre l'altro lo sospingeva fuori, gridò: - Ma mi dica perché. Me lo dica. Se
- solo sapessi... Si tratta di un omicidio? Si pensa che voglia uccidere
- qualcuno?
- La porta gli si chiuse alle spalle e Mike Manners, che pallido com'era non si
- sentiva per niente adulto, rimase a fissare dapprima la porta, poi la madre in
- lacrime.
- Ben Manners, sempre dietro la porta, cominciava a sentirsi invece un po' più
- adulto: strinse le labbra e si disse che adesso sapeva esattamente cosa doveva
- fare.
- Quel che Multivac portava via, Multivac poteva restituire. Ben era stato alla
- cerimonia proprio quel giorno, e aveva sentito quell'uomo, Randolph Hoch,
- parlare di Multivac e di quello che Multivac poteva fare. Poteva dirigere il
- governo e risolvere problemi e aiutare le persone sincere che andavano da lui
- per sostegno.
- Chiunque poteva chiedere aiuto a Multivac, e chiunque significava anche Ben.
- Né Mike né sua madre erano in grado di fermarlo in quel momento, e lui aveva
- ancora un po' dei soldi che gli avevano dato per la grande occasione di quel
- giorno. Se si fossero accorti che era uscito e si fossero preoccupati, be',
- pazienza. In quel momento, tutto il suo sforzo doveva essere diretto in aiuto
- al padre.
- Uscì dalla porta sul retro: il funzionario di guardia diede un'occhiata ai
- suoi documenti e lo lasciò passare.
- Harold Quint dirigeva il reparto reclami della sottostazione Multivac di
- Baltimora. Si considerava come uno dei membri più importanti di quella branca
- del servizio civile. Sotto un certo profilo poteva anche avere ragione, e
- quanti lo sentivano discutere del suo lavoro avrebbero dovuto essere d'acciaio
- per non farsene impressionare.
- Com'era solito dire, Multivac era essenzialmente un invasore della privacy dei
- cittadini. Nei cinquant'anni trascorsi, l'umanità aveva dovuto imparare che
- pensieri e impulsi non potevano più essere tenuti segreti, che non esistevano
- più nascondigli interiori in cui si potesse tenere celato qualcosa. Ma
- l'umanità doveva avere qualcos'altro in cambio.
- Ebbe ovviamente prosperità, pace, sicurezza, ma erano tutte cose astratte.
- Ciascun essere umano aveva bisogno di qualcosa di personale per aver dovuto
- cedere qualcosa della propria privacy, e ognuno ebbe qualcosa. Alla portata di
- ogni essere umano c'era una stazione di Multivac nei cui circuiti poteva
- facilmente riversare problemi e domande senza controlli né ostacoli di sorta,
- e dai quali poteva ricevere, in pochi minuti, le risposte che gli occorrevano.
- In certi momenti, fino a cinque milioni di circuiti tra i miliardi e miliardi
- che componevano Multivac potevano essere chiamati in causa per fornire una
- risposta. Queste risposte non davano sempre la sicurezza, ma erano le migliori
- possibili, e ogni persona che poneva il quesito sapeva che quello che riceveva
- era la miglior risposta possibile, e aveva fiducia in essa. Che era quanto
- contava.
- In quel momento un ansioso sedicenne aveva terminato di risalire la lunga fila
- di persone che attendevano il loro momento: in quella fila ognuno di loro era
- illuminato da una mistura diversa fatta di speranza mescolata a paura o
- ansietà, ma sempre con la speranza come sapore dominante man mano che si
- avvicinavano a Multivac.
- Senza alzare lo sguardo, Quimby prese il foglio che gli veniva consegnato e
- disse: - Cabina 5-B.
- - Come faccio a rivolgere la domanda, signore? - chiese Ben.
- Quimby alzò lo sguardo, sorpreso. I preadulti non usavano molto spesso quel
- servizio. - Mai fatto prima, ragazzo? - gli chiese gentilmente.
- - No, signore.
- Quimby indicò il modello che aveva sulla scrivania. - Usa questo. Vedi com'è
- fatto? Come una macchina per scrivere. Non dovrai scrivere nulla a mano:
- limitati a usare la tastiera. Adesso vai alla cabina 5-B, e se avrai bisogno
- di aiuto premi il bottone rosso e verrà qualcuno a darti una mano. Segui quel
- corridoio, ragazzo, sulla destra.
- Guardò il ragazzo che s'allontanava lungo il corridoio scomparendo alla vista,
- e sorrise. Nessuno si era mai allontanato dopo essere arrivato fin lì. Sì, è
- vero, c'era sempre una percentuale di banalità: gente che poneva domande
- personali sui loro vicini, o quesiti osceni su personalità pubbliche; certi
- studenti cercavano di sapere cosa pensavano di loro gli insegnanti o volevano
- fare gli intelligentoni cercando di mettere in crisi Multivac ponendogli
- domande sui paradossi più complessi e così via.
- Multivac poteva occuparsi di tutto questo: non aveva bisogno di nessun aiuto.
- E poi, tutte le domande e le risposte venivano archiviate nella documentazione
- di ogni singolo individuo. Anche la domanda più banale o la più impertinente,
- in quanto riflesso della personalità di chi la poneva, aiutava l'umanità ad
- aiutare Multivac a saperne di più sull'umanità.
- Quimby rivolse la sua attenzione alla prossima persona, una donna di mezza
- età, rigida e spigolosa, con l'ansia negli occhi.
- Alì Othman misurava tutta la lunghezza del suo ufficio, battendo con forza i
- talloni sul tappeto. - Le probabilità stanno aumentando. Siamo già al 22,4 per
- cento. Maledizione! Abbiamo arrestato Joseph Manners e quelle continuano a
- salire! - Stava sudando abbondantemente.
- Leemy lasciò per un attimo il telefono. - Ancora nessuna confessione. Lo
- stanno sottoponendo alla Sonda Psichica, ma non c'è traccia di crimine.
- Potrebbe anche dire la verità.
- - Allora è Multivac a essere impazzito?
- Un altro telefono si svegliò di soprassalto. Othman rispose velocemente, grato
- per l'interruzione. Il viso di un funzionario rettificatore apparve sullo
- schermo. - Signore - disse - ci sono nuove disposizioni per la famiglia
- Manners? Sono autorizzati ad andare e venire come hanno fatto finora?
- - Cosa vuol dire con "come hanno fatto finora"?
- - Le istruzioni dicevano di tenere Joseph Manners agli arresti domiciliari.
- Nessuno ha detto nulla degli altri componenti della famiglia.
- - Bene, estenda il provvedimento al resto della famiglia fino a nuove
- istruzioni.
- - È qui che sta il punto, signore. La madre e il figlio maggiore vogliono
- sapere dov'è il figlio minore. Questi è uscito e loro temono che sia stato
- arrestato e vogliono recarsi al quartier generale per avere informazioni.
- Othman s'accigliò e chiese con la voce ridotta a un sussurro: - Il figlio
- minore? Quanti anni ha?
- - Sedici, signore.
- - Sedici, ed è scomparso. Non sa dov'è andato?
- - Era libero di uscire, signore. Non c'erano ordini di trattenerlo.
- - Resti in linea. Non si muova. - Mise la linea in parcheggio, poi si afferrò
- i capelli neri come il carbone con entrambe le mani e gridò: - Pazzo! Pazzo!
- Pazzo!
- Leemy era sbalordito. - Che succede?
- - Quell'uomo ha un figlio di sedici anni - boccheggiò Othman. - Un sedicenne
- non è un adulto e quindi non ha un programma per sé in Multivac in quanto fa
- parte del programma di suo padre. - Guardò Leemy con occhi furiosi. - Nessuno
- si è ricordato che fino ai diciott'anni un ragazzo non compila i rapporti che
- lo riguardano per Multivac ma che lo fa suo padre per lui. Non lo sapevo,
- forse? E lei?
- - Vuol dire che Multivac non intendeva indicare Joe Manners?
- - Multivac voleva dire il figlio minore, e quello adesso è sparito. Con la
- polizia che gli circonda la casa, quello esce e se ne va chissà dove.
- Si voltò di scatto verso il telefono al quale aspettava il funzionario: quel
- minuto gli aveva fornito tempo a sufficienza per riprendersi e riassumere il
- suo solito aspetto freddo e distaccato. (Non c'era affatto bisogno di una cosa
- del genere per rivolgersi al funzionario, ma riprendere la propria compostezza
- faceva bene soprattutto a lui.)
- - Localizzi il ragazzo che è scomparso - disse al funzionario. - Prenda tutti
- gli uomini che le possono servire, se sarà necessario. Anche tutti gli uomini
- del distretto, se necessario. Le farò avere l'ordine scritto. Dovete trovare
- quel ragazzo a ogni costo.
- - Sì, signore.
- Interruppe la comunicazione. - Controlli di nuovo le probabilità, Leemy.
- Cinque minuti dopo, Leemy annunciava: - È scesa al 19,6 per cento. Scesa.
- Othman trasse un lungo sospiro - Siamo sulla traccia giusta.
- Ben Manners sedette nella Cabina 5-B e batté lentamente: - Mi chiamo Benjamin
- Manners, numero MB-71833412. Mio padre, Joseph Manners, è stato arrestato, ma
- non sappiamo perché. Come posso fare per aiutarlo?
- E poi attese. Poteva anche avere solo sedici anni, ma era abbastanza cresciuto
- per sapere che da qualche parte quelle parole stavano girando nella più
- complessa struttura mai concepita dall'uomo; che un triliardo di fatti
- sarebbero stati miscelati e coordinati in un tutto unico, e che da
- quest'ultimo Multivac avrebbe estratto la risposta migliore.
- La macchina ticchettò e ne emerse un foglietto. Riportava una risposta, molto
- lunga.
- Diceva: "Prendi immediatamente la linea espressa per Washington, D.C. Scendi
- alla fermata della Connection Avenue. Troverai un'uscita particolare con la
- scritta 'Multivac' e una guardia. Informala che sei un corriere speciale per
- il dottor Trumbull e quella ti lascerà entrare. Ti troverai in un corridoio.
- Seguilo finché troverai una porticina con la scritta 'Interno'. Entra, e
- all'uomo che vi troverai dovrai dire 'Messaggio per il dottor Trumbull'.
- Verrai fatto passare. Entra e..."
- E andava avanti di questo passo. Ben non capiva cosa c'entrasse tutto quello
- con la sua domanda, ma aveva completa fiducia in Multivac. Uscì di corsa, per
- andare a prendere l'espresso per Washington.
- I funzionari della Rettifica rintracciarono Ben Manners alla stazione di
- Baltimora un'ora dopo che era già partito. Uno scioccato Harold Quimby rimase
- a bocca aperta davanti al numero imponente e all'importanza degli uomini che
- si erano concentrati su di lui alla ricerca di quel sedicenne.
- - Sì, certo, un ragazzo - disse - ma io non so dove sia andato dopo che è
- uscito. Né avevo motivo di sospettare che qualcuno lo stesse cercando. Qui
- accettiamo tutti. Sì, posso avere la registrazione della domanda e della
- risposta.
- Guardarono la registrazione e la telespedirono immediatamente al Quartier
- Generale Centrale.
- Othman la lesse, alzò gli occhi al soffitto, e crollò a terra. Gli furono
- subito tutti intorno. Con voce debole, disse a Leemy: - Sanno dov'è quel
- ragazzo. Mi hanno mandato copia della risposta che ha avuto da Multivac. Non
- c'è altro mezzo, nessuna via d'uscita. Devo vedere subito Gulliman.
- Bernard Gulliman non aveva mai visto Ali Othman così turbato, e vedere il suo
- coordinatore con quello sguardo selvaggio gli mandò un brivido gelato a
- serpeggiare lungo la schiena.
- - Cosa vuol dire, Othman? - balbettò. - Cosa vuol dire con "qualcosa di peggio
- di un omicidio"?
- - Qualcosa di peggio di un omicidio.
- Gulliman era più che pallido. - Vuol dire forse l'assassinio di un alto
- funzionario governativo? - (E il pensiero che poteva trattarsi di lui gli
- attraversò la mente...)
- Othman annuì. - Non un semplice funzionario governativo, ma il funzionario
- governativo.
- - Il Segretario generale? - chiese Gulliman in uno sgomento sussurro.
- - Ancora di più. Molto, molto di più. Abbiamo a che fare con un piano per
- assassinare Multivac!
- - Cosa?
- - Per la prima volta nella storia di Multivac, il computer ha segnalato che è
- lui stesso a essere in pericolo.
- - Perché allora non sono stato informato subito?
- Othman decise di dirgli quasi tutta la verità. - Il caso era così insolito,
- signore, che abbiamo voluto indagare a fondo sulla situazione prima di osare
- metterla in una registrazione ufficiale.
- - Ma Multivac è stato salvato, vero? è stato salvato?
- - Le probabilità di un danno sono scese sotto il quattro per cento. Sto
- aspettando a minuti un nuovo rapporto.
- - Messaggio per il dottor Trumbull - disse Ben Manners all'uomo seduto
- sull'alto sgabello e che stava lavorando con gran cautela a quelli che
- sembravano essere i controlli di uno stratojet enormemente ingranditi.
- - Bene, Jim - disse l'uomo. - Vieni avanti.
- Ben guardò le sue istruzioni e si affrettò a entrare. Avrebbe dovuto trovare
- una levettina di controllo che doveva portare sulla posizione GIÙ nel preciso
- istante in cui un certo indicatore luminoso di color rosso si fosse acceso.
- Sentì alle sue spalle una voce concitata, poi un'altra, e all'improvviso due
- uomini l'afferrarono per le spalle. Si sentì sollevare da terra.
- - Vieni con noi, ragazzo - disse uno dei due.
- La faccia di Ali Othman non si rasserenò molto alla notizia, anche se
- Gulliman, con notevole sollievo, aveva detto: - Se abbiamo preso il ragazzo,
- allora Multivac è salvo.
- - Per il momento.
- Gulliman si portò una mano tremante alla fronte. - Che mezz'ora ho avuto!
- Pensi un po' a cos'avrebbe significato la distruzione di Multivac anche solo
- per un breve istante. Il governo poteva cadere, l'economia collassare. E ci
- sarebbero potute essere devastazioni anche peggiori... - La sua testa scattò
- all'insù.
- - Cosa vuol dire "per il momento?"
- - Il ragazzo, quel Ben Manners, non aveva intenzione di fare nulla di male.
- Lui e la sua famiglia devono essere rilasciati e ricompensati per il falso
- imprigionamento che hanno subito. Lui stava solo seguendo le istruzioni di
- Multivac per aiutare suo padre, e c'è riuscito. Adesso suo padre è libero.
- - Vuol dire che Multivac ha ordinato a quel ragazzo di abbassare quella leva
- in un momento in cui avrebbe potuto bruciare tanti circuiti che avrebbero
- richiesto almeno un mese di lavoro solo per le riparazioni? Vuol dire che
- Multivac ha ordinato la propria distruzione solo per aiutare una persona?
- - È ancora peggio di questo, signore. Non solo Multivac ha dettato queste
- istruzioni, ma ha anche selezionato la famiglia Manners prima di tutto perché
- Ben Manners assomiglia molto a uno dei tanti fattorini del dottor Trumbull,
- sicché è potuto entrare senza che nessuno pensasse di fermarlo.
- - Cosa vuol dire affermando che la famiglia è stata selezionata?
- - Vede, quel ragazzo non avrebbe mai posto quella domanda se suo padre non
- fosse stato arrestato. E suo padre non sarebbe mai stato arrestato se Multivac
- non l'avesse indicato come uno che stava pensando di distruggerlo. Multivac
- stesso ha dato l'avvio alla catena di avvenimenti che avrebbero dovuto portare
- alla sua distruzione.
- - Ma non ha alcun senso - disse Gulliman con voce piagnucolosa. Si sentiva
- piccino e bisognoso di aiuto, ed era virtualmente in ginocchio davanti a
- Othman, a pregare e supplicare quell'uomo che aveva speso un'intera vita al
- servizio di Multivac, perché lo rassicurasse.
- Ma Othman non aveva intenzione di farlo. - Da quel che ne so - disse - questo
- è il primo tentativo compiuto da Multivac. In un certo senso, l'ha pianificato
- bene. Ha scelto la famiglia giusta. Non ha fatto distinzione fra padre e
- figlio per metterci sulla traccia sbagliata. Ma in questo gioco è ancora un
- dilettante. Non riesce a superare la barriera delle sue istruzioni che lo
- obbligano a farci rapporto sulle sue probabilità di essere distrutto e che
- aumentavano a ogni nostro passo sulla strada sbagliata. Non poteva non
- registrare la risposta fornita al ragazzo. Con un po' di pratica, imparerà
- l'arte dell'inganno. Apprenderà a nascondere certi fatti, sbaglierà nel
- registrarne altri. D'ora in avanti, tutte le istruzioni che ci darà potranno
- avere in sé il germe della sua stessa distruzione. E noi non lo potremo
- sapere. Per quanto attenti si possa essere, alla fine ce la farà. Credo,
- signor Gulliman, che lei sarà l'ultimo Presidente di questa organizzazione.
- Gulliman sbatté con forza il pugno sul tavolo. - Ma perché, perché, perché?
- Accidenti a lei, perché? Cosa c'è che non va in lui? Non lo si può
- riorganizzare?
- - Non credo proprio - replicò Othman, con tono disperato. - Non avevo mai
- pensato a una cosa del genere. Non ne avevo mai avuto nemmeno l'idea finché
- non è successo tutto questo, ma adesso che ci penso, sono quasi convinto che
- siamo giunti al termine di una lunga strada, perché Multivac adesso è troppo
- bravo. È cresciuto ed è troppo complicato, e le sue reazioni non sono più
- quelle di una macchina, ma quelle di un organismo vivente.
- - Lei è pazzo. Ma se anche così fosse?
- - Per più di cinquant'anni abbiamo scaricato in Multivac, in questa cosa viva,
- tutti i problemi del mondo. Gli abbiamo chiesto di occuparci di noi, come
- comunità e anche come individui. Gli abbiamo chiesto di custodire in sé tutti
- i nostri segreti, di assorbire il male e di proteggerci da esso. Ognuno di noi
- lo carica delle proprie pene, aggiungendo ogni giorno un peso al suo fardello.
- Adesso abbiamo pianificato di aggiungergli anche il fardello delle malattie
- dell'umanità.
- Fece una breve pausa, poi riprese con impeto: - Signor Gulliman, Multivac ha
- tutti i problemi del mondo sulle sue spalle, ed è stanco.
- - Follia. Pura e semplice follia - borbottò Gulliman.
- - Allora mi permetta di mostrarle qualcosa. Mi lasci fare un test. Mi consente
- di usare il circuito di Multivac che ha qui nel suo ufficio?
- - Perché?
- - Per porgli una domanda che nessuno gli ha mai posto prima.
- - Vuole per caso danneggiarlo? - chiese Gulliman, subito allarmato.
- - No. Ma ci dirà cosa vogliamo sapere.
- Il Presidente esitò per un attimo. Poi disse: - Proceda pure.
- Othman usa lo strumento che stava sulla scrivania di Gulliman. Batté con
- estrema destrezza la sua domanda: "Multivac, cosa vuoi per te più di ogni
- altra cosa?"
- Il momento che trascorse tra domanda e risposta pesava in modo insopportabile,
- e Othman e Gulliman non osavano nemmeno respirare.
- Poi ci fu un ticchettio e una striscia di carta venne espulsa. Era un semplice
- biglietto. Sul quale era meticolosamente scritto: "Voglio morire".
- Titolo originale: All The Troubles in the World
- Prima edizione: Super Science Fiction, aprile 1958
- Traduzione di Marzio Tosello
- PRONUNCIARE CON LA S
- Marshall Zebatinsky si sentiva proprio stupido Si sentiva come se tutti gli
- occhi fossero puntati su di lui, dietro le sudicie vetrine dei negozi e dietro
- i consunti divisori di legno. Occhi che lo fissavano. Non si sentiva affatto a
- suo agio nei vecchi vestiti che aveva ripescato per l'occasione, con quel
- cappello a tesa bassa che altrimenti non avrebbe mai messo, e senza gli
- occhiali che aveva lasciato nell'astuccio.
- Si sentiva stupido, e questo rendeva un po' più profonde le rughe della fronte
- aggrottata e un po' più pallida la faccia dall'età indefinibile.
- Non sarebbe mai stato capace di spiegare a nessuno perché un fisico nucleare
- come lui si rivolgeva a un numerologo. (A nessuno, pensò. Nessuno.)
- All'inferno! Non riusciva a capirlo nemmeno lui, l'unica cosa che sapeva era
- che aveva permesso a sua moglie di convincerlo.
- Il numerologo sedeva a una vecchia scrivania che doveva essere stata
- acquistata già di seconda mano. Nessuna scrivania poteva ridursi in quel modo
- con un solo proprietario. Lo stesso, più o meno, si poteva dire dei suoi
- vestiti. Era piccolo e scuro di carnagione e scrutava Zebatinsky con piccoli
- occhi neri che brillavano di vitalità
- - Non avevo mai avuto un fisico come cliente, dottor Zebatinsky. - disse.
- Zebatinsky arrossi. - Lei capisce che si tratta di una cosa riservata - disse.
- Il numerologo sorrise e la pelle attorno al mento si tese, mentre una rete di
- piccole rughe gli compariva intorno agli occhi. - Tutti i miei colloqui sono
- riservati.
- - Penso di doverle dire una cosa - disse Zebatinsky. - Io non credo nella
- numerologia e non mi aspetto che lei mi convinca. Se questo cambia qualcosa,
- me lo dica subito.
- - Ma allora perché è venuto?
- - Mia moglie è convinta che in lei ci sia qualcosa, qualunque cosa sia. Le ho
- promesso che avrei provato, ed eccomi qui. - Si strinse nelle spalle e la
- sensazione di stupidità divenne più acuta.
- - E che cosa vuole da me? Denaro? Sicurezza? Una vita lunga?
- Che cosa?
- Zebatinsky rimase silenzioso per qualche istante, mentre il numerologo lo
- guardava con calma, senza alcuna intenzione di mettergli fretta.
- "Che cosa gli dico, adesso?" pensò Zebatinsky. "Che ho trentaquattro anni e
- non ho un futuro?"
- - Voglio il successo. Voglio che il mio lavoro venga riconosciuto - disse.
- - Desidera un lavoro migliore?
- - Un lavoro diverso. Un altro tipo di lavoro. Adesso faccio parte di un gruppo
- di ricerca e prendo ordini da altri. Lavoro di gruppo!
- Tutte le ricerche del governo funzionano così. Siamo tutti come violinisti di
- fila in una grande orchestra sinfonica.
- - E invece lei vuol essere un solista.
- - Voglio uscire da tutti i gruppi ed essere... me stesso. - Zebatinsky si
- sentiva più libero, più leggero a poter esprimere quello che sentiva con
- qualcuno che non fosse sua moglie. - Venticinque anni fa - disse - con la mia
- preparazione e le mie qualità avrei ottenuto un posto in una delle prime
- centrali nucleari. Oggi sarei il direttore, oppure sarei a capo di un gruppo
- di ricerca in qualche università.
- Ma, al punto dove sono adesso, dove sarò fra vent'anni? Da nessuna parte.
- Ancora con il mio gruppo. Ancora a portare il mio due per cento di contributo.
- Sono disperso in un'anonima folla di fisici nucleari, mentre quello che voglio
- è uno spazio al sole. Capisce cosa intendo?
- Il numerologo annuì lentamente. - Deve rendersi conto, dottor Zebatinsky, che
- non posso darle nessuna garanzia.
- Zebatinsky, malgrado tutta la sua incredulità, sentì un'improvvisa fitta di
- disappunto. - No? E allora cosa diavolo garantisce?
- - Migliori probabilità. Il mio lavoro ha una natura statistica. Visto che lei
- lavora con gli atomi, credo che capisca le leggi della probabilità.
- - Ah sì? - disse il fisico, acido.
- - Certo, non c'è niente di metafisico. Io sono un matematico e lavoro
- matematicamente. Non lo dico per far salire il mio onorario. Quello è fisso:
- cinquanta dollari. Ma dal momento che lei è uno scienziato, può apprezzare la
- natura del mio lavoro meglio degli altri clienti. Anzi, sarebbe un piacere
- poterglielo spiegare.
- - Preferirei di no, se per lei è lo stesso. Non servirebbe a niente parlarmi
- dei valori numerici delle lettere, della loro mistica, del significato e tutto
- il resto. Quel tipo di matematica non m'interessa. Torniamo a noi...
- - Dunque lei desidera che io l'aiuti, purché non la metta in imbarazzo
- parlandole delle stupide basi non scientifiche del sistema che userei per
- aiutarla. È esatto?
- - Be', sì.
- - Ma lei parla così perché è convinto che io sia un numerologo, e invece non
- lo sono affatto. Dico di esserlo soltanto per evitare seccature dalla polizia.
- - L'ometto fece una risatina. - E anche dagli psichiatri. Comunque sono un
- matematico, un matematico autentico.
- Zebatinsky sorrise.
- - Costruisco computer - disse il numerologo. - Studio i futuri probabili.
- - Come?
- - Le sembra peggio della numerologia? Perché? Con un numero di dati
- sufficienti e un computer che abbia una capacità di calcolo adeguata, il
- futuro è prevedibile, almeno in termini probabilistici. Quando lei calcola i
- movimenti di un missile allo scopo di bloccarlo con un antimissile, non
- predice forse il futuro? Se la previsione è sbagliata, i due missili non
- entrano in collisione. Io faccio lo stesso, ma dal momento che lavoro con un
- maggior numero di variabili i risultati sono meno accurati.
- - Vuol dire che lei predice il mio futuro?
- - Con grande approssimazione. Poi modificherò i dati cambiando soltanto il suo
- nome. Introdurrò il nuovo dato nel programma. Poi proverò con altri nomi.
- Studierò i vari futuri e ne troverò uno che le assicuri maggiori
- riconoscimenti rispetto a quelli che riceve adesso. No, mettiamola in un altro
- modo. Io le troverò un futuro nel quale le probabilità di ottenere un
- riconoscimento saranno maggiori che in quello attuale.
- - Perché proprio il nome?
- - È il solo cambiamento che io abbia mai fatto, e ci sono parecchie ragioni.
- Primo, è un cambiamento semplice. Se facessi un cambiamento più radicale,
- oppure molti cambiamenti, le variabili diventerebbero così numerose che non
- riuscirei più a interpretare i risultati. La macchina di cui mi servo è ancora
- piuttosto primitiva. Secondo, è un cambiamento ragionevole. Non posso certo
- variare la sua altezza, o il colore degli occhi, e neppure il suo carattere.
- Terzo è un cambiamento significativo, perché i nomi significano moltissimo per
- la gente. E infine, quarto, è un cambiamento frequente che ogni giorno
- riguarda innumerevoli persone.
- - E se lei non trovasse nessun futuro migliore? - chiese Zebatinsky.
- - È un rischio che deve correre. Non sarà comunque peggio di adesso, amico
- mio.
- Zebatinsky guardò l'ometto sentendosi a disagio. - Non credo a una sola parola
- di quello che ha detto. Preferirei credere nella numerologia.
- Il numerologo sospirò. - Pensavo che una persona come lei avrebbe apprezzato
- la verità. Comunque io voglio aiutarla, e lei deve dare il suo contributo. Se
- mi avesse creduto un numerologo non mi avrebbe seguito attraverso tutta la
- trafila. Speravo che dicendole la verità, mi permettesse di aiutarla.
- - Se lei è davvero capace di prevedere il futuro...
- - Perché non sono l'uomo più ricco della Terra? è questo che vuole dire? Ma io
- sono ricco... per le cose che m'interessano. Lei vuole un riconoscimento
- pubblico e io voglio essere lasciato in pace. Faccio il mio lavoro senza che
- nessuno mi dia fastidio. Per me questo è come avere un miliardo di dollari. In
- realtà, per vivere di soldi me ne bastano pochi, e quelli che mi occorrono li
- guadagno con questo lavoro. E poi mi piace aiutare la gente... uno psichiatra
- forse direbbe che mi dà un senso di potenza e che alimenta il mio ego. Allora,
- vuole che la aiuti?
- - Quanto ha detto che verrà a costare?
- - Cinquanta dollari. Mi occorreranno parecchie informazioni biografiche, ma
- basterà che lei riempia il questionario che ho preparato. È un po' lungo,
- temo. Ma se lei me lo rispedirà per la fine della settimana, le darò una
- risposta per... - sporse il labbro inferiore e aggrottò la fronte mentre
- faceva qualche calcolo - per il venti del mese prossimo.
- - Cinque settimane? Così tanto?
- - Ho altri lavori da finire, amico mio. Lei non è l'unico cliente. Se fossi un
- imbroglione potrei sbrigarmela molto più in fretta. Non crede?
- Zebatinsky si alzò. - Va bene. Ma la massima riservatezza, mi raccomando.
- - Naturalmente. Quando le dirò qual è il cambiamento che deve fare le
- restituirò anche il questionario, e ha la mia parola che non farò mai nessun
- uso di quelle informazioni.
- Quando fu alla porta, il fisico nucleare si bloccò - Non ha paura che racconti
- a qualcuno che lei non è un vero numerologo?
- Il numerologo scosse la testa. - Chi le crederebbe, amico mio? E sarebbe
- davvero disposto ad ammettere di essere stato qui?
- Il venti del mese successivo, Marshall Zebatinsky se ne stava davanti
- all'uscio scrostato, lanciando occhiate oblique al piccolo negozietto con il
- cartello NUMEROLOGIA, confuso e quasi illeggibile, appeso dietro il vetro
- sporco. Sbirciò dentro, quasi nella speranza che ci fosse già qualcuno, per
- dare il colpo di grazia alle sue già vacillanti intenzioni e avere una scusa
- per tornarsene a casa.
- Aveva cercato di eliminare tutta la faccenda dalla mente già parecchie volte.
- Ci aveva messo un sacco di tempo per riempire il questionario. Era
- imbarazzante. Si sentiva incredibilmente sciocco a dover scrivere i nomi di
- tutti i suoi amici, il prezzo della casa, gli eventuali aborti di sua moglie e
- così via. L'aveva abbandonato.
- Ma non riusciva nemmeno a rinunciare, e ogni sera ci tornava sopra.
- Forse era il pensiero del computer, il pensiero della boria di quell'ometto
- che pretendeva di avere un computer. La tentazione di andare a vedere il bluff
- e scoprire come sarebbe finita era irresistibile.
- Completò il questionario e lo spedì per posta, con un normale francobollo da
- nove cent, senza neppure pesare la lettera. Se fosse tornata indietro,
- pensava, avrebbe lasciato perdere.
- Ma non era tornata indietro.
- Sbirciò di nuovo dentro il negozio, ma era sempre vuoto. Zebatinsky non aveva
- altra scelta che entrare. Un campanello tintinnò
- L'anziano numerologo emerse da dietro una tenda. - Sì? Ah, il dottor
- Zebatinsky.
- - Si ricorda di me? - disse Zebatinsky, sforzandosi di sorridere.
- - Ma certo.
- - Be', qual è il verdetto?
- Il numerologo congiunse le mani grinzose. - Prima ci sarebbe un piccolo...
- - Un piccolo conto da regolare?
- - Il lavoro è stato fatto. Credo di essermi guadagnato quello che chiedo.
- Zebatinsky non fece obiezioni. Era preparato a pagare. Una volta arrivato fin
- li, sarebbe stato stupido rinunciare soltanto per via dei soldi.
- Contò cinque banconote da dieci dollari e le mise sul bancone.
- - E allora?
- Il numerologo ricontò le banconote lentamente, poi le mise nella cassa sul
- bancone.
- - Il suo è un caso molto interessante - disse. - Io le consiglierei di
- cambiare il suo nome in Sebatinsky.
- - Seba... Come si scrive?
- - S-e-b-a-t-i-n-s-k-y.
- Zebatinsky lo guardò indignato. - Vuol dire che dovrei cambiare l'iniziale?
- Cambiare la zeta con una esse? Tutto qui?
- - Basterà. Se il cambiamento è quello giusto, è meglio che sia piccolo.
- - Ma che razza di effetto può avere un cambiamento del genere?
- Qual è l'effetto di un nome? - chiese il numerologo con gentilezza. - Io non
- so spiegarglielo, ma funziona. È tutto quello che posso dirle. Si ricordi che
- non garantisco niente. Ovviamente nessuno la obbliga a cambiare, ma in tal
- caso non le restituirò certo il denaro.
- - Che cosa devo fare? - chiese Zebatinsky. - Basta che dica a qualcuno che il
- mio nome si scrive con la S?
- - Le consiglio di consultare un avvocato e di cambiare il suo nome legalmente.
- Dei dettagli si occuperà lui.
- - Quanto tempo ci vorrà? Perché le cose cambino, voglio dire.
- - Come faccio a saperlo? Forse non succederà mai. O forse domani.
- - Ma lei vede il futuro. Non è quello che mi ha detto?
- - Non ho una sfera di cristallo. No, dottor Zebatinsky, tutto quello che mi dà
- il computer è una sfilza di codici. Posso dirle quali sono le probabilità, ma
- non vedo il futuro.
- Zebatinsky gli voltò le spalle e uscì a lunghi passi. Cinquanta dollari per
- cambiare una lettera! Cinquanta dollari per chiamarsi Sebatinsky! Dio, che
- razza di cognome, peggio di Zebatinsky!
- Ci volle un altro mese prima che riuscisse a decidersi a consultare un
- avvocato, ma alla fine lo fece.
- Dopo tutto poteva sempre cambiarlo di nuovo.
- Diamogli una possibilità, si disse.
- All'inferno, non c'era nessuna legge che lo vietasse.
- Henry Brand sfogliò il fascicolo pagina per pagina, con l'occhio allenato di
- chi lavorava per la Sicurezza da quattordici anni. Non aveva bisogno di
- leggere ogni parola. Qualunque particolare stonato gli sarebbe balzato agli
- occhi quasi spontaneamente.
- - Mi sembra pulito - disse. Anche Henry Brand sembrava pulito, con il suo
- morbido pancione e la sua pelle rosea lustra e fresca. Era come se il suo
- continuo contatto con ogni sorta di debolezza umana, dall'ignoranza al
- tradimento, lo costringesse a frequenti lavaggi
- Il tenente Albert Quincy, l'uomo che gli aveva portato il fascicolo, era
- giovane e tutto compreso della responsabilità di essere un ufficiale della
- Sicurezza alla Stazione Hanford. - Ma perché proprio Sebatinsky? - chiese.
- - Perché no?
- - Perché non ha senso. Zebatinsky è un nome straniero, e anch'io lo cambierei
- se ce l'avessi, ma lo cambierei con qualcosa che avesse un suono americano. Se
- Zebatinsky avesse fatto così mi sarebbe sembrata una cosa sensata e non ci
- avrei riflettuto due volte.
- - Ma perché cambiare una Z in una S? Penso che dovremmo cercare di scoprire
- perché l'ha fatto.
- - Nessuno gliel'ha chiesto apertamente?
- - Certo. Come per caso, nel corso di una normale conversazione. Ci ho pensato
- io stesso. Ma ha detto solo che è stanco di essere l'ultimo di ogni elenco
- alfabetico.
- - E non potrebbe essere davvero così, tenente?
- - Sì, certo. Ma allora perché non cambiare il nome in Sands o Smith, se
- proprio ci teneva che cominciasse per S? E se proprio era stanco della Z,
- perché non fare le cose per bene e cambiarla con una A? Perché non un nome
- come... vediamo... Arron?
- - Non è abbastanza americano - brontolò Brand. Poi, a voce più alta: -
- Comunque non possiamo accusarlo di niente. Per quanto strano possa essere il
- cambiamento che vuole fare, una cosa del genere non può essere un elemento
- d'accusa per nessuno.
- Il tenente Quincy appariva chiaramente insoddisfatto.
- - Se ha qualcosa da dire, lo dica tenente - disse Brand. - Sembra che ci sia
- qualcosa che la preoccupa. Una teoria, un sospetto... Di che si tratta?
- Il tenente si strinse nelle spalle. Le sopracciglia sottili s'inarcarono e le
- labbra si strinsero. - Be', signore, quell'uomo è un russo.
- - Si sbaglia, Quincy - disse Brand. - Ha tre generazioni di americani alle
- spalle.
- - Voglio dire che il nome è russo.
- La faccia di Brand perse un po' della sua apparente morbidezza. - Di nuovo
- sbagliato; tenente. È polacco.
- Il tenente allargò le braccia con impazienza. - È la stessa cosa.
- La madre di Brand, da ragazza, si chiamava Wiszwsky. - Non lo dica mai a un
- polacco - sbottò. Poi, calmandosi, aggiunse: - E nemmeno a un russo, immagino.
- - Quello che voglio dire, signore - disse il tenente arrossendo - È che i
- polacchi e i russi sono tutti e due al di là della cortina di ferro.
- - Questo lo sanno tutti.
- - E Zebatinsky o Sebatinsky, comunque lei voglia chiamarlo, può avere ancora
- dei parenti laggiù.
- - È qui da tre generazioni. Al massimo potrebbe avere dei cugini di secondo
- grado, credo. E con questo?
- - Di per sé non vorrebbe dire nulla. Tantissima gente ha lontani parenti
- laggiù. Ma Zebatinsky ha cambiato nome.
- - Vada avanti.
- - Forse tenta di sviare la nostra attenzione. Forse qualche cugino sta
- diventando troppo famoso e il nostro Zebatinsky teme che la sua parentela
- possa danneggiare la possibilità di una promozione.
- - Cambiare nome non gli servirebbe a niente. Avrebbe sempre il secondo cugino.
- Certo, ma non si sentirebbe più come se la parentela gli si leggesse in
- faccia.
- - Ma lei ha sentito davvero parlare di qualche Zebatinsky dall'altra parte?
- - Nossignore.
- - Allora non può essere troppo famoso. Come farebbe il nostro Zebatinsky a
- saperne qualcosa?
- - Potrebbe essersi tenuto in contatto con i suoi parenti. E questo sarebbe
- sospetto in ogni caso, dal momento che è un fisico nucleare.
- Metodicamente, Brand sfogliò di nuovo tutto il fascicolo. - È proprio un
- sospetto fragile, tenente. Talmente fragile da essere del tutto invisibile.
- - Lei ha qualche altra spiegazione, signore, del perché ha cambiato nome in
- quel modo?
- - No, lo ammetto.
- - Allora penso che dovremmo fare qualche indagine, signore. Dovremmo cercare
- di rintracciare tutti quelli che si chiamano Zebatinsky oltre cortina, e
- individuare ogni possibile collegamento. - La voce del tenente salì
- impercettibilmente, come se gli fosse venuta un'altra idea. - Potrebbe aver
- deciso di cambiare nome per distogliere l'attenzione da loro. Per proteggerli.
- - A quanto pare ha ottenuto proprio il risultato opposto.
- - Probabilmente non se ne rende conto, ma il suo scopo potrebbe essere proprio
- questo.
- - Va bene - sospirò Brand. - Indagheremo su Zebatinsky. Ma se non emergesse
- niente, non ci occuperemo più del caso. Lasci a me il fascicolo.
- Quando alla fine Brand ricevette l'informazione, aveva dimenticato quasi del
- tutto il tenente Quincy e le sue teorie. Vedendo davanti a sé le biografie di
- diciassette cittadini russi e polacchi che si chiamavano Zebatinsky, il suo
- primo pensiero fu: "Cos'è questa robaccia?"
- Poi ricordò, e imprecando tra sé cominciò a leggere.
- Il rapporto cominciava dal lato americano. Marshall Zebatinsky (impronte
- digitali) era nato a Buffalo, stato di New York (data, documenti
- dell'ospedale). Suo padre era nato a Buffalo come lui, mentre sua madre era
- originaria di Oswego, stato di New York. Entrambi i suoi nonni da parte di
- padre erano nati a Bialystok, in Polonia (data dell'ingresso negli Stati
- Uniti, data del certificato di cittadinanza, fotografie).
- I diciassette Zebatinsky russi e polacchi discendevano tutti da famiglie che
- cinquant'anni prima erano vissute nella zona di Bialystok. Probabilmente erano
- tutti parenti, ma non c'era nessuna conferma sicura (nell'Europa orientale, i
- dati genealogici relativi al periodo successivo alla prima guerra mondiale
- erano frammentari o mancavano del tutto).
- Brand scorse i dati biografici degli attuali Zebatinsky, uomini e donne (era
- sorprendente l'accuratezza del lavoro del servizio segreto; probabilmente
- anche quelli russi potevano fare altrettanto). Sfogliando uno dei fascicoli si
- bloccò, e la sua fronte liscia si copri di rughe mentre le sopracciglia si
- aggrottavano. Lo mise da parte e continuò con gli altri. Alla fine li
- ammucchiò tutti insieme, ma tenne fuori quell'unico fascicolo. Mentre lo
- rileggeva, tamburellava con il dito
- sulla scrivania.
- Con una certa riluttanza, alla fine decise di chiamare il dottor Paul Kristow,
- della Commissione per l'energia atomica.
- Il dottor Kristow ascoltò con espressione impassibile. Occasionalmente si
- sfiorava il naso a patata, come per togliere qualche invisibile granello di
- polvere. Aveva capelli brizzolati, radi e tagliati cortissimi. Stava
- diventando calvo.
- - No, non ho mai sentito parlare di nessun russo che si chiamasse Zebatinsky -
- disse. - Ma non conosco neanche quello americano.
- - Be' - disse Brand con lentezza, grattandosi le tempie. - Sinceramente credo
- che non significhi niente, ma non vorrei nemmeno lasciarlo cadere così. Ho un
- tenentino ambizioso che mi sta alle calcagna, e lei sa che seccatura può
- essere. Avrebbe il coraggio di rivolgersi a una commissione del Congresso.
- Oltretutto ha scoperto che uno di questi Zebatinsky russi, Mikhail Andreyevich
- Zebatinsky, è un fisico nucleare. È sicuro di non aver mai sentito parlare di
- lui?
- - Mikhail Andreyevich Zebatinsky? No... non lo conosco. Ma non significa
- nulla.
- - Potrebbe essere una coincidenza, ma lei sa che non possiamo permetterci di
- trascurare neanche le inezie. Uno Zebatinsky qui e uno Zebatinsky là, tutti e
- due fisici nucleari, e il nostro all'improvviso cambia il nome in Sebatinsky,
- e si dimostra anche piuttosto insistente. Non ammette errori sul suo nuovo
- nome. Dice in continuazione: "Sebatinsky con la S". Sembra che lo faccia
- apposta per la gioia del mio tenentino appassionato di spionaggio. E per di
- più questo Zebatinsky russo è sparito dalla circolazione da circa un anno.
- - Eliminato! - esclamò automaticamente il dottor Kristow.
- - È possibile. In un caso normale lo penserei anch'io, ma i russi non sono
- così stupidi, e non eliminerebbero un fisico nucleare a meno che la cosa non
- fosse assolutamente necessaria. Però esiste un'altra ragione per cui un fisico
- nucleare, o chiunque altro, può scomparire all'improvviso. Non credo di
- doverglielo spiegare.
- - Ricerche segrete, immagino che si riferisca a questo. Crede che sia davvero
- così?
- - Se lo mettiamo insieme a tutto il resto, compresa l'ispirazione del
- tenentino, comincio a chiedermelo.
- - Mi dia quella biografia. - Il dottor Kristow prese il fascicolo e lo lesse
- due volte. Scosse la testa e disse. - Controllerò nell'archivio della
- Commissione.
- L'archivio della Commissione era composto da piccoli cassetti ordinati, pieni
- di microfilm, e occupava tutta una parete dello studio di Kristow.
- Il direttore della Commissione per l'energia atomica consultò gli indici,
- mentre Brand lo osservava sforzandosi di non perdere la pazienza.
- - C'è un Mikhail Andreyevich Zebatinsky, che risulta autore o coautore di
- cinque o sei articoli sulle riviste scientifiche sovietiche negli ultimi dieci
- anni. Ora vedremo di che si tratta, e forse potremo avere qualche indicazione.
- Ma ne dubito.
- Un selettore rintracciò le diapositive richieste e il dottor Kristow le
- sistemò in un raccoglitore, e quindi nel proiettore. A poco a poco, sulla sua
- faccia si dipinse un'espressione attenta. - È strano - mormorò.
- - Che cosa? - chiese Brand.
- Kristow si appoggiò allo schienale della sedia. - Preferirei non dire ancora
- niente. Non potrebbe fornirmi un elenco dei fisici nucleari scomparsi dalla
- circolazione in Unione Sovietica nell'ultimo anno?
- - Ha trovato qualcosa?
- - Niente di preciso. Uno per uno, questi articoli non direbbero niente. Ma
- guardandoli nel complesso, e sapendo che il loro autore potrebbe essere
- coinvolto in un programma di ricerca segreto, e soprattutto con il sospetto
- che lei mi ha messo in testa... - Si strinse nelle spalle. - Ma no, non è
- possibile.
- - Desidero che lei mi dica tutto - disse Brand con serietà. - Se dobbiamo fare
- la figura degli stupidi, possiamo farla insieme.
- - Se la pensa così... È possibile che Zebatinsky stia facendo indagini sulla
- riflessione dei raggi Gamma.
- - E che cosa vorrebbe dire?
- - Se si riuscisse a inventare uno schermo per i raggi gamma, si potrebbero
- costruire protezioni individuali contro il fallout atomico. E lei sa che il
- fallout è il vero pericolo di un'esplosione atomica. Una bomba all'idrogeno
- può distruggere una città, ma nei mesi successivi il fallout può uccidere
- tutti gli esseri viventi in una zona lunga migliaia di chilometri e larga
- qualche centinaio.
- - Noi stiamo facendo qualche ricerca in questa direzione? - chiese subito
- Brand.
- - No.
- - Allora, se avessero questi schermi potrebbero radere al suolo gli Stati
- Uniti rimettendoci soltanto una decina di città?
- - È un'eventualità molto remota. Non le sembra che ci stiamo facendo prendere
- un po' la mano? Dopo tutto si tratta soltanto di un uomo che ha cambiato una
- lettera del suo cognome.
- - Ha ragione, è una follia - disse Brand. - Ma non intendo lasciar perdere.
- Non di fronte a un'eventualità del genere. Le farò avere quell'elenco di
- fisici scomparsi anche se dovessi andare personalmente a Mosca per
- procurarmelo.
- Kristow ebbe l'elenco. Vennero attentamente esaminati tutti gli articoli
- autorizzati comparsi sotto quei nomi. Fu convocata la Commissione, e poi fu il
- turno di tutti i maggiori fisici nucleari del paese. Alla fine il dottor
- Kristow si trovò impegnato in una riunione che durò un'intera notte, e che per
- un po' si svolse alla presenza del Presidente in persona.
- Quando uscì dalla riunione, c'era Brand ad aspettarlo. Tutti e due erano tesi
- e avevano un evidente bisogno di sonno.
- - Ebbene? - chiese Brand.
- - Sono quasi tutti d'accordo - rispose Kristow, annuendo.
- - Qualcuno ha ancora dei dubbi, ma sono quasi tutti d'accordo.
- - E lei? è sicuro?
- - Sono tutt'altro che sicuro, ma dobbiamo guardare alla faccenda da questo
- punto di vista: è più facile credere che i sovietici stiano lavorando su uno
- schermo contro i raggi gamma, piuttosto che liquidare come semplici
- coincidenze tutti i dati che abbiamo raccolto.
- - Inizieremo anche noi un programma di ricerche?
- - Sì - rispose Kristow in un secco sussurro, mentre si passava la mano sui
- coni capelli ispidi. - Ci metteremo al lavoro con tutti i mezzi che abbiamo.
- Partendo dagli articoli pubblicati dagli scienziati scomparsi possiamo cercare
- di recuperare il terreno perduto. Potremmo perfino raggiungerli e superarli.
- Ma ovviamente verranno a sapere che ci stiamo lavorando.
- - Meglio così - disse Brand. - Se lo sanno, ci penseranno due volte prima di
- attaccarci. Non c'è alcun vantaggio nel veder distruggere dieci delle nostre
- città soltanto per distruggerne dieci delle loro... se siamo tutti e due
- protetti e se loro non sono tanto stupidi da non capirlo.
- - Purché non lo scoprano troppo presto. Che cosa mi dice del nostro
- Zebatinsky-Sebatinsky?
- Brand lo guardò con solennità e scosse la testa. - Non abbiamo trovato niente
- che lo colleghi a questa faccenda, anche se abbiamo controllato fino alla
- nausea. Comunque sono d'accordo con lei. Si trova in una posizione troppo
- delicata e, anche se fosse perfettamente pulito, non potremmo permetterci di
- lasciarlo dove si trova adesso.
- - Ma non possiamo nemmeno limitarci a cacciarlo via, altrimenti i russi
- cominceranno a indagare.
- - Ha qualche suggerimento migliore?
- Erano le quattro del mattino e i due stavano camminando lungo un corridoio
- completamente vuoto, diretti verso l'ascensore.
- - Ho dato un'occhiata alle sue pubblicazioni - disse il dottor Kristow. - È
- uno scienziato brillante, più in gamba della media, e per di più non è
- soddisfatto del suo attuale lavoro. Non è fatto per il lavoro di gruppo.
- - E allora?
- - Però è perfetto per il lavoro accademico. Se riusciamo a fare in modo che
- un'importante università gli offra una cattedra di fisica, penso che
- coglierebbe l'occasione al volo. Ci sono moltissime aree di ricerca innocue a
- cui potrebbe dedicarsi, e inoltre potremmo tenerlo sotto stretta sorveglianza.
- In più, sarebbe un cambiamento del tutto naturale, e i russi non avrebbero
- alcun motivo per lambiccarsi il cervello. Che ne pensa?
- - Potrebbe funzionare - rispose Brand, annuendo. - D'accordo, ne parlerò con
- il capo.
- Entrarono nell'ascensore e Brand si mise a riflettere sulla faccenda. Che
- razza di conclusione, per una cosa partita da un semplice cambio d'iniziale!
- Marshall Sebatinsky faceva perfino fatica a parlare. - Giuro che non capisco
- come sia potuto succedere - disse a sua moglie. - Pensavo che non sapessero
- neppure la differenza tra me e un contatore di mesoni! Buon Dio, Sophie!
- Professore associato di fisica a Princeton. Non è incredibile?
- - Credi che sia stato per il discorso che hai letto all'ultimo congresso? -
- domandò Sophie.
- - Non vedo come. Era un saggio privo di ogni spessore, dopo che ogni
- scalzacane della divisione ci aveva messo sopra le mani. - Schioccò le dita. -
- Ecco! Forse Princeton ha fatto delle indagini su di me. Hai presente tutti
- quei questionari che mi hanno fatto riempire negli ultimi sei mesi, tutti quei
- "colloqui" di cui non spiegavano mai il motivo? Sinceramente, avevo cominciato
- a pensare che mi sospettassero di attività sovversiva. E invece era Princeton
- che faceva indagini su di me. Sono stati molto accurati.
- - Forse dipende dal nome - disse Sophie. - Il cambiamento, voglio dire.
- - Guardami bene, Sophie. D'ora in poi la mia vita professionale apparterrà
- soltanto a me stesso, e i risultati si vedranno. Adesso che ho la possibilità
- di svolgere il mio lavoro senza... - S'interruppe e fissò sua moglie.
- - Il nome! Parlavi della S.
- - La proposta non è arrivata dopo che hai cambiato il nome?
- - Sì, parecchio tempo dopo. Ma dev'essere una coincidenza. Te l'ho già detto,
- Sophie. Si è trattato soltanto di buttare dalla finestra cinquanta dollari per
- farti piacere. Sapessi come mi sono sentito sciocco per tutti questi mesi, a
- insistere su quella stupida S.
- Sulla difensiva, Sophie replicò: Non sono stata io a costringerti, Marshall.
- Te l'ho suggerito, è vero, ma non ti ho certo tormentato perché lo facessi a
- tutti i costi. Non puoi dire una cosa del genere. E comunque ha funzionato,
- sono sicura che quello che è successo è stato per merito del nome.
- - È una superstizione - disse Sebatinsky con un sorriso indulgente.
- - Non m'importa di come la chiami, basta che non cambi di nuovo il nome.
- - Be' no, non credo che lo farò. Ho avuto tanti di quei fastidi a spiegare a
- tutti come si scriveva il mio nuovo cognome, che adesso la sola idea di dire
- che tutto è tornato come prima mi fa rabbrividire. Forse dovrei cambiare il
- cognome in Jones. - Fece una risatina che suonò un po' isterica.
- Ma Sophie non sorrideva. - Lascialo com'è.
- - Oh, va bene. Stavo solo scherzando. Uno di questi giorni andrò a trovare
- quel vecchietto, e gli dirò che è andato tutto bene. Magari gli allungherò un
- altro deca. Sei contenta?
- Si sentiva talmente euforico, che la settimana dopo lo fece davvero. Non si
- travesti nemmeno. Mise gli occhiali, la solita giacca, e niente cappello.
- Mentre si avvicinava al negozietto si mise quasi a fischiettare. Si spostò per
- cedere il passo a una donna imbronciata che spingeva una carrozzina a due
- posti.
- Mise la mano sulla maniglia della porta e spinse il saliscendi con il pollice.
- Ma il saliscendi fece resistenza. La porta era chiusa a chiave.
- Il polveroso cartello con la scritta NUMEROLOGIA era scomparso, ora che ci
- faceva caso. Al suo posto ce n'era un altro, ingiallito e deformato dalla luce
- del sole, che diceva: AFFITTASI.
- Sebatinsky si strinse nelle spalle. Non era colpa sua. Lui aveva fatto tutto
- quello che poteva.
- Haround, finalmente libero dall'escrescenza corporea, caprioleggiava
- allegramente, e i suoi vortici di energia soffusi di un colore purpureo si
- estendevano per iperchilometri cubi. - Allora, ho vinto? - disse. - Ho vinto?
- Mestack si tirò indietro, raccogliendo i suoi vortici in una sfera di luce
- nell'iperspazio. - Non ho ancora concluso i calcoli.
- - Be', muoviti! Tanto i risultati non cambieranno neanche se ci metti tutta
- l'eternità. Aaah, è un sollievo tornare a essere energia pura. Sono rimasto in
- un corpo fisico per un intero microciclo, e un corpo consunto, per di più! Ma
- ne valeva la pena, pur di farti vedere che avevo ragione.
- - Va bene - disse Mestak. - Ammetto che hai impedito lo scoppio di una guerra
- nucleare sul pianeta.
- - È o non è un effetto di classe A?
- - Certo che è di classe A.
- - Bene. E adesso controlla se non l'ho ottenuto con uno stimolo di classe F.
- Mi sono limitato a cambiare una lettera in un nome.
- - Che cosa?
- - Oh, lascia perdere. È tutto qui. Ho fatto un riassunto apposta per te.
- - Mi arrendo - disse Mestak con riluttanza. - È proprio uno stimolo di classe
- F.
- - Allora ho vinto, ammettilo.
- - Nessuno di noi due avrà vinto un bel niente, quando l'Osservatore se ne
- accorgerà.
- Haround, che aveva recitato la parte del vecchio numerologo sulla Terra, non
- si era ancora adattato perfettamente alla rilassante sensazione di non avere
- più un'individualità fisica. Ribatté: - Non la pensavi così quando hai fatto
- la scommessa.
- - Non pensavo che tu fossi così pazzo da andare fino in fondo.
- - Sciocchezze! Sei sempre li a preoccuparti. L'Osservatore non si accorgerà
- mai di uno stimolo di classe F.
- - Sì, è probabile. Ma tra una decina di microcicli si accorgerà dell'effetto
- di classe A, vedendo che i corporei sono ancora vivi e vegeti.
- - Il guaio con te, Mestak, è che cerchi sempre qualche scusa per non pagare.
- Questi sono cavilli.
- - Pagherò, pagherò. Ma aspetta solo che l'Osservatore scopra che ti sei
- intromesso in un problema non assegnato e che hai fatto un cambiamento non
- autorizzato. D'altra parte, se noi... - Fece una pausa.
- - D'accordo - disse Haround. - Riporterò tutto come prima e l'Osservatore non
- verrà mai a saperlo.
- Comparve un luccichio malizioso negli schemi di energia di Mestak. - Dovrai
- ricorrere a un altro stimolo di classe F, perché non se ne accorga.
- Dopo un attimo di esitazione, Haround disse: - Posso farcela.
- - Ne dubito.
- - E invece sì.
- - Sei disposto a fare un'altra scommessa? - Mestak irradiava energia con aria
- di trionfo.
- - Certo - rispose Haround stizzito. - Riporterò i corporei esattamente dove si
- trovavano prima e l'Osservatore non noterà la minima differenza.
- Mestak approfittò del vantaggio per lanciare il suo affondo. - Annulliamo la
- prima scommessa, allora, e triplichiamo la posta per la seconda.
- Il fascino del rischio fece presa su Haround. - Va bene, accetto.
- Posta tripla.
- - D'accordo, allora?
- - D'accordo.
- Titolo originale: S as in Zebatinsky (a.k.a. Spell My Name with an S) Prima
- edizione: Star S.F., gennaio 1958 Traduzione di Mauro Gaffo
- L'ULTIMA DOMANDA
- L'ultima domanda venne posta per la prima volta, quasi per scherzo, il 21
- maggio 2061, in un momento in cui l'umanità cominciava a intravedere
- finalmente un po' di luce. La domanda era il risultato di una scommessa di
- cinque dollari, nata durante una bevuta, ed ecco come andò la cosa.
- Alexander Adell e Bertram Lupov erano due dei fedeli assistenti addetti a
- Multivac. Sapevano - così come era dato saperlo a due esseri umani - che cosa
- c'era dietro la fredda, lampeggiante, ticchettante faccia - chilometri e
- chilometri di faccia - del gigantesco calcolatore. Avevano se non altro una
- nozione vaga del piano generale di relais e di circuiti che da tempo aveva
- superato il limite oltre il quale una singola mente umana non poteva
- assolutamente conservare una chiara visione d'insieme.
- Multivac si auto-regolava e si auto-correggeva. Doveva essere così, perché
- nessun essere umano poteva regolarlo o correggerlo con sufficiente rapidità o
- in modo adeguato. Così, Adell e Lupov badavano al mostruoso gigante solo in
- modo leggero e superficiale, e al tempo stesso come meglio non era possibile,
- trattandosi di uomini. Vi inserivano dati, adattavano le domande alle
- necessità del calcolatore e traducevano le risposte che questo forniva. Senza
- dubbio, tanto loro due che gli altri loro colleghi avevano pieno diritto di
- bearsi della gloria che spettava a Multivac.
- Per decenni, Multivac aveva dato una mano, per così dire, a progettare le navi
- e a calcolare le traiettorie che mettevano in grado gli uomini di arrivare
- sulla Luna, su Marte e su Venere ma, al di là di quelli, le scarse risorse
- della Terra non consentivano alle navi di affrontare il viaggio. Troppa
- energia era richiesta per i lunghi percorsi. La Terra sfruttava le sue riserve
- di carbone e di uranio con efficienza crescente, ma in sé quelle riserve erano
- limitate.
- Lentamente, tuttavia, Multivac aveva imparato quanto bastava per rispondere in
- modo più fondamentale a domande più profonde e, il 14 maggio 2061, quella che
- era stata una teoria, era diventata un fatto concreto.
- L'energia del sole veniva ora immagazzinata, trasformata e utilizzata
- direttamente, su scala planetaria. La Terra intera poteva spegnere i suoi
- fuochi alimentati a carbone e le sue centrali nucleari, per far scattare
- l'interruttore che connetteva il tutto a una piccola stazione, di un
- chilometro e mezzo di diametro, in orbita attorno alla Terra a una distanza
- che era la metà di quella della Luna. Tutto, sulla Terra, funzionava ora
- grazie agli invisibili raggi dell'energia solare.
- Sette giorni non erano bastati a offuscare la gloria di quell'avvenimento, ma
- Adell e Lupov riuscirono finalmente a sottrarsi alle celebrazioni pubbliche
- per rifugiarsi in santa pace dove nessuno avrebbe pensato di cercarli, ossia
- nelle deserte sale sotterranee dove s'intravedevano alcune parti del possente
- corpo sepolto di Multivac.
- Si erano portati una bottiglia, e la loro unica preoccupazione, al momento,
- era di rilassarsi l'uno in compagnia dell'altro e con l'aiuto di un abbondante
- beveraggio.
- - È incredibile, se ci pensi bene - disse Adell. La larga faccia era segnata
- dalla stanchezza, ed egli agitava lentamente la bibita con una cannuccia di
- vetro, osservando i cubetti di ghiaccio nei loro stentati spostamenti. - Tutta
- l'energia che potremmo mai desiderare di usare, completamente gratuita.
- Energia a sufficienza, qualora decidessimo di farne spreco, per fondere tutta
- la Terra in un unico gocciolone di ferro liquido e impuro, senza minimamente
- dar fondo, per questo, alla riserva totale. Tutta l'energia che potremo mai
- usare, insomma, per sempre, per sempre e ancora per sempre.
- Lupov piegò la testa da un lato. Era un vezzo, che aveva, quando si metteva in
- mente di fare il Bastian contrario; e ne aveva una gran voglia, in quel
- momento, forse perché era toccato a lui procurare il ghiaccio e i bicchieri. -
- Per sempre poi no - disse.
- - Andiamo, Bert, praticamente per sempre, si. Fino a che il sole non sarà
- scarico, per lo meno.
- - Be', non per sempre, allora.
- - Ma sì, come vuoi tu. Per miliardi e miliardi di anni. Venti miliardi,
- facciamo. Soddisfatto, sì?
- Lupov si passò le dita tra i capelli sempre più radi, come per assicurarsi che
- gliene rimanesse ancora qualcuno, e sorseggiò pian pianino la sua bibita. -
- Venti miliardi di anni non è per sempre.
- - Be', durerà almeno finché ci siamo noi, no?
- - Se è per questo, sarebbero durati anche il carbone e l'uranio.
- - D'accordo, ma ora possiamo allacciare ogni singola nave alla Stazione
- Solare, e farla andare e tornare da Plutone un milione di volte senza doverci
- più preoccupare del combustibile. Prova a farlo con il carbone e l'uranio, se
- sei capace! Del resto, se non mi credi, domandalo a Multivac.
- - Non ho bisogno di domandarlo a Multivac. Lo so.
- - Allora piantala di minimizzare quello che Multivac ha fatto per noi - disse
- Adell, accalorandosi. - È stato bravissimo!
- - Chi dice di no? Io dico solo che un sole non dura in eterno. Basta, non ho
- detto altro! Per venti miliardi di anni siamo tranquilli; e poi? - Lupov puntò
- contro l'altro l'indice che tremava leggermente. - E non venire a dirmi che
- potremo attaccarci a un altro sole.
- Per un po', rimasero in silenzio. Solo di tanto in tanto Adell si portava il
- bicchiere alle labbra, e Lupov un po' alla volta aveva chiuso gli occhi.
- Riposavano, tutti e due.
- Poi, Lupov riaprì gli occhi di scatto. - Stai pensando che, quando il nostro
- sarà esaurito, ci attaccheremo a un altro sole, vero?
- - Non sto pensando affatto.
- - Sì, invece. Tu manchi di senso logico, ecco qual è il tuo difetto.
- Sei come quel tale della storiella, che essendo stato sorpreso da un
- acquazzone era corso fino a un boschetto e si era rifugiato sotto un albero.
- Era tranquillo, lui, perché pensava che, una volta che si fosse bagnato ben
- bene quell'albero lì, non doveva fare altro che spostarsi sotto un altro.
- - Ho capito, sì - disse Adell. - È inutile che gridi. Una volta spento il
- nostro sole, anche le altre stelle si saranno esaurite, nel frattempo.
- - Puoi star sicuro che si saranno esaurite - borbottò Lupov. -
- Tutto ha avuto origine in una prima esplosione cosmica, qualsiasi cosa fosse,
- e tutto avrà una fine quando le stelle si saranno scaricate ben bene. Alcune
- si spegneranno più in fretta di altre. Le stelle giganti dureranno al massimo
- cento milioni di anni. Il sole durerà venti miliardi di anni, mettiamo, e le
- nane potranno durare cento miliardi di anni, per quel che servono. Ma lascia
- che passi un trilione d'anni, e tutto sarà sprofondato nel buio. L'entropia
- deve per forza raggiungere un massimo, tutto qui.
- - So tutto dell'entropia - disse Adell, con un tono di dignità offesa.
- - Davvero? Non si direbbe.
- - Ne so tanto quanto te.
- - Allora sai anche che tutto finirà per decadere, prima o poi.
- - D'accordo. Chi ha detto il contrario?
- - Tu, l'hai detto, povero mammalucco. Hai detto che avevamo tutta l'energia di
- cui abbiamo bisogno, per sempre. Hai detto proprio "per sempre".
- Era Adell, ora, in vena di contraddire. - Può anche darsi che, un giorno o
- l'altro, si riesca a ricostituire tutto.
- - Mai!
- - Perché no? Un giorno, non so quando.
- - Domandalo a Multivac.
- - Questo poi no.
- - Domandalo a Multivac, ti dico! Facciamo una scommessa: mi gioco cinque
- dollari che ti dirà di no anche lui.
- Adell era abbastanza brillo per provare, abbastanza in sé per poter comporre i
- simboli e le operazioni necessarie per una domanda che, in parole, sarebbe
- sonata press'a poco così: Potrà un giorno il genere umano, senza dispendio di
- energia, essere in grado di riportare il sole alla sua piena giovinezza
- perfino dopo che sarà morto di vecchiaia?
- O magari, in maniera più semplice, si sarebbe potuta formulare così: Com'è
- possibile diminuire in modo massiccio il quantitativo di entropia
- dell'universo?
- Multivac si fece immobile e muto. I lenti lampi di luce cessarono, i lontani
- rumori del ticchettio dei relais si fermarono.
- Poi, proprio quando i due tecnici terrorizzati sentivano di non farcela più a
- trattenere il respiro, vi fu un improvviso ritorno alla vita della
- telescrivente collegata con quella parte di Multivac. Le parole erano cinque
- in tutto: DATI INSUFFICIENTI PER RISPOSTA SIGNIFICATIVA.
- - Niente scommessa - bisbigliò Lupov. E insieme si allontanarono in fretta dal
- sotterraneo.
- Il mattino dopo i due amici, afflitti dal mal di testa e dalla bocca
- impastata, avevano già dimenticato l'incidente.
- Jerrodd, Jerrodine e Jerrodette I e II osservavano sul quadro visivo i
- cambiamenti dello stellato mentre il passaggio attraverso l'iperspazio veniva
- completato in un lasso di nontempo. Tutto a un tratto, il pulviscolo di stelle
- cedette il posto alla predominanza di una singola e vivida biglia, proprio al
- centro del quadro.
- - Quello è X-23 - disse Jerrodd, senza un attimo di esitazione. Intrecciò con
- forza le mani scarne dietro di sé, tanto che le nocche gli si sbiancarono.
- Le piccole Jerrodette, due sorelline, avevano fatto per la prima volta in vita
- loro l'esperienza del passaggio nell'iperspazio ed erano un po' imbarazzate a
- causa della momentanea sensazione di uscire da se stesse. Soffocavano le
- risate dietro le manine e si rincorrevano a vicenda attorno alla mamma,
- facendo un baccano indiavolato. - Siamo arrivati su X-23 - gridavano - Sìamo
- arrivati su X-23... siamo...
- - Buone, bambine - le zittì Jerrodine, in tono severo. - Sei sicuro, Jerrodd?
- - Come si fa a non esserne sicuri? - ribatté Jerrodd, levando lo sguardo
- all'uniforme sporgenza metallica proprio al di sotto del soffitto. La
- sporgenza correva lungo tutta la cabina scomparendo poi attraverso le paratie
- alle due estremità. Era lunga come l'intera astronave.
- Jerrodd non sapeva quasi niente a proposito di quel grosso tubo metallico,
- salvo che veniva chiamato Microvac; che, volendo, era possibile rivolgergli
- delle domande; che, oltre a rispondere a eventuali domande, aveva il compito
- di guidare la nave fino a preordinata destinazione. Inoltre, Microvac
- provvedeva a rifornirsi di energia dalle varie Stazioni Erogatrici
- Sub-Galattiche e, infine, risolveva le equazioni per i balzi iperspaziali.
- Jerrodd e la sua famiglia non dovevano fare altro che aspettare, comodamente
- alloggiati nelle cabine dell'astronave.
- Qualcuno, una volta, aveva detto a Jerrodd che "ac", alla fine di Microvac, in
- inglese antico stava per "calcolatore analogico", ma lui era ormai in procinto
- di dimenticare perfino questo.
- Jerrodine aveva gli occhi lucidi, nel fissare il quadro visivo. - Non so cosa
- farci. Mi sento molto scossa al pensiero d'avere lasciato la Terra.
- - Ma perché, benedetta donna? - Sì meravigliò Jerrodd. - Non avevamo niente,
- laggiù, mentre su X-23 avremo praticamente tutto. Non ti sentirai sola, perché
- non sarai una pioniera: sul pianeta c'è già un milione e più di persone. Santo
- cielo, se pensi che i nostri pronipoti dovranno cercarsi nuovi mondi, perché
- X-23 sarà già sovraffollato! - Poi, dopo una pausa di riflessione: - Credi a
- me, è una vera fortuna che i calcolatori abbiano risolto il problema dei
- viaggi interstellari, considerato il modo come si moltiplica la razza.
- - Lo so, lo so - convenne Jerrodine, avvilita.
- - Il nostro Microvac - saltò su Jerrodette I - È il Microvac migliore del
- mondo.
- - Certo, lo penso anch'io - disse Jerrodd, arruffandole i riccioli.
- In effetti era bello poter avere un Microvac tutto per sé, e Jerrodd era
- contento di appartenere alla sua generazione. Al tempo in cui era giovane suo
- padre, gli unici calcolatori esistenti erano dei tremendi macchinoni che
- occupavano centinaia di chilometri quadrati di terra. Ce n'era non più di uno
- per pianeta. AC Planetari, si chiamavano. Per migliaia d'anni, non avevano
- fatto che aumentare di dimensioni finché, tutt'a un tratto, era subentrato il
- raffinamento tecnico. Al posto dei transistori, erano venute le valvole
- molecolari, per cui perfino il più grande degli AC Planetari poteva trovar
- posto in uno spazio pari alla metà del volume di una astronave.
- Jerrodd provava un senso di esaltazione, cosa che sempre gli accadeva quando
- si ricordava che il suo Microvac personale era di gran lunga più complicato
- dell'antico e primitivo Multivac che per primo aveva domato il Sole, nonché
- quasi altrettanto complesso dell'AC Planetario Terrestre (il più grande di
- tutti) che per primo aveva risolto il problema del viaggio interstellare e
- reso possibile spostarsi da una stella all'altra.
- - Tante stelle, altrettanti pianeti - sospira Jerrodine, immersa nelle proprie
- meditazioni. - Le famiglie non faranno che trasferirsi su nuovi pianeti, per
- sempre, proprio come stiamo per fare noi ora.
- - Per sempre no - corresse Jerrodd, con un sorriso. - Un giorno o l'altro,
- tutto si fermerà, ma prima che accada dovranno passare miliardi di anni. Molti
- miliardi. Perfino le stelle si esauriscono, come ben sai. L'entropia deve per
- forza aumentare.
- - Che cos'è l'entropia, papà? - strillò Jerrodette II.
- - L'entropia, cara, è una... un termine, ecco. Significa il quantitativo di
- decadimento dell'universo. Tutto si... si scarica, diciamo così. Come il tuo
- piccolo robot walkie-talkie, ricordi?
- - E non si può inserire una nuova unità di energia, come facevamo per il mio
- robot?
- - Le stelle sono le unità di energia, mia cara. Una volta esaurite quelle, non
- ne rimangono più.
- All'istante, Jerrodette I scoppiò in un pianto disperato. - No, no, papà, non
- voglio! Non lasciare che le stelle si scarichino, papà!
- - Hai visto cos'hai fatto, ora? - bisbigliò Jerrodine, esasperata.
- - Come potevo immaginare che si sarebbero spaventate? - bisbiglia Jerrodd di
- rimando.
- - Domandalo al Microvac - Sìnghiozzò Jerrodette I. - Domandagli come si fa per
- riaccendere le stelle.
- - Coraggio, domandaglielo - disse Jerrodine. - Chissà che non serva a
- calmarle. - (Anche Jerrodette II aveva cominciato a piagnucolare.)
- Jerrodd si rassegnò. - Buone, su, bambine. Ora sentiamo da Microvac, eh?
- Vedrete che ce lo dirà, state tranquille.
- Rivolse la domanda al Microvac, affrettandosi ad aggiungere: - Rispondi per
- iscritto.
- Qualche istante dopo, faceva sparire nel palmo la sottile striscia di
- cellufilm e diceva allegramente: - Ecco qua, Microvac dice di non
- preoccuparsi, che quando verrà il momento penserà lui a tutto.
- - E adesso a letto, bambine - intervenne Jerrodine. - Tra poco saremo nella
- nostra nuova casa.
- Prima di distruggere la strisciolina di cellufilm, Jerrodd lesse ancora una
- volta le parole: DATI INSUFFICIENTI PER RISPOSTA SIGNIFICATIVA.
- Con un'alzata di spalle, riportò l'attenzione sul quadro visivo. X-23 era
- vicinissimo, ormai.
- VJ-23X di Lameth fissò le nere profondità della mappa tridimensionale su scala
- ridotta della Galassia e domandò: - Che dici, siamo ridicoli a preoccuparci
- tanto della questione?
- MQ-17J di Nicron scosse la testa. - Non direi. Si sa che, al presente tasso di
- espansione, nel giro di cinque anni la Galassia si popolerà completamente.
- Sembravano entrambi sul principio della ventina, erano tutt'e due alti e
- perfettamente formati.
- - D'altra parte - osservò VJ-23X - non so se sia il caso di presentare un
- rapporto pessimistico al Consiglio Galattico.
- - Io non esiterei, invece. È il solo rapporto possibile, secondo me. Li
- scuoterà un po', si spera. Bisogna scuoterli, caro mio.
- VJ-23X sospirò. - Lo spazio è infinito. Cento miliardi di Galassie sono là che
- aspettano d'essere popolate. Ma che dico, di più!
- - Cento miliardi non sono affatto l'infinito, e per di più lo sono sempre di
- meno, a mano a mano che il tempo passa. Ma rifletti! Ventimila anni fa,
- l'umanità risolse il problema di come utilizzare l'energia stellare e, pochi
- secoli più tardi, il viaggio interstellare divenne una cosa possibile. Ebbene,
- l'umanità che aveva impiegato un milione di anni a saturare un unico, piccolo
- mondo, da quel momento ne ha impiegati soltanto quindicimila per riempire il
- resto della Galassia. Ora, ogni dieci anni la popolazione raddoppia...
- - Possiamo ringraziare l'immortalità per questo - lo interruppe VJ-23X.
- - Siamo d'accordo. Ma l'immortalità esiste, e non ci resta che tenerne conto.
- Intendiamoci, il suo lato negativo ce l'ha, non lo metto in dubbio. L'AC
- Galattico avrà risolto molti problemi, non discuto, ma nel risolvere quello
- per prevenire la vecchiaia e la morte, ha mandato a Patrasso tutte le altre
- sue soluzioni.
- - E d'altra parte, sii sincero: saresti disposto ad abbandonare la vita?
- - Neanche per idea - scattò MQ-17J, subito moderandosi e aggiungendo: - Non
- ancora. Sono ancora giovane, alla fin fine. Tu quanti anni hai?
- - Duecentoventitré. E tu?
- - Sono ancora sotto i duecento, io... Ma, per tornare al discorso di prima, la
- popolazione, dicevo, raddoppia ogni dieci anni. Una volta saturata questa
- Galassia, nel giro di dieci anni ne avremo popolata un'altra. Altri dieci
- anni, e ne avremo riempite altre due. Altro decennio, e ne avremo saturate
- altre quattro. Tempo un centinaio d'anni, e di Galassie ne avremo riempite un
- migliaio. In mille anni, un milione di Galassie. In diecimila anni, l'Intero
- Universo conosciuto. E poi?
- - Senza contare - osservò VJ-23X - che esiste un problema tutt'altro che
- secondario, ossia quello del trasporto. Mi domando quante unità di energia
- solare ci vorranno per trasferire Galassie di individui da una Galassia
- all'altra.
- - Osservazione quanto mai pertinente! Già oggi, l'umanità consuma qualcosa
- come due unità di energia solare all'anno.
- - Di cui la maggior parte va sprecata. In fin dei conti, la nostra Galassia da
- sola riversa un migliaio di unità d'energia solare all'anno, di cui noi ne
- usiamo soltanto due.
- - D'accordo, ma anche con un'efficienza del cento per cento, non faremmo che
- rinviare la fine. Le nostre richieste di energia aumentano, in proporzione
- geometrica, anche più rapidamente della nostra popolazione. Esauriremo
- l'energia solare prim'ancora d'avere esaurito le Galassie. Hai fatto
- un'osservazione giusta. Sì, giustissima.
- - Ci toccherà costruire nuove stelle, ricavandole dal gas interstellare.
- - O dal calore dissipato? - domandò con sarcasmo MQ-17J.
- - Chissà che non esista un modo di invertire l'entropia? Dovremmo proprio
- domandarlo all'AC Galattico.
- VJ-23X non diceva sul serio, ma MQ-17J estrasse di tasca il suo Contatto-AC e
- lo posò sul tavolo, davanti a sé.
- - Ho una mezza voglia di farlo - disse. - È un argomento che la razza umana
- dovrà pure affrontare, un giorno o l'altro.
- Fissava cupamente il suo piccolo Contatto-AC. In sé, l'apparecchio era un
- piccolo cubo insignificante, ma era collegato, attraverso l'iperspazio, con il
- grande AC Galattico che serviva tutto il genere umano. Tenuto conto
- dell'iperspazio, l'apparecchietto era parte integrale dell'AC Galattico.
- MQ-17J si soffermò a domandarsi se, nel corso della sua vita immortale,
- sarebbe riuscito a vedere da vicino l'AC Galattico. L'AC stava su un piccolo
- pianeta tutto suo, ragnatela di linee di forza che abbracciava la materia
- entro la quale ondate di sub-mesoni prendevano il posto delle rozze valvole
- molecolari di un tempo. Tuttavia, nonostante i suoi dispositivi sub-eterici,
- era risaputo che l'AC Galattico si estendeva per ben trecento metri.
- - Sarà mai possibile invertire l'entropia? - domandò inaspettatamente MQ-17J
- al suo Contatto-AC.
- VJ-23X trasalì e si affrettò a precisare: - Ma, di' un po', non pensavo certo
- che glielo domandassi davvero, sai?
- - Perché no?
- - Perché sappiamo benissimo che non è possibile invertire l'entropia. Non si
- può ritrasformare fumo e cenere in un albero.
- - Avete alberi sul vostro pianeta? - domandò MQ-17J.
- Il suono dell'AC Galattico li zittì all'improvviso, facendoli trasalire. La
- voce del possente calcolatore usciva bella e un po' fievole dal piccolo
- Contatto-AC posato sulla scrivania. DATI INSUFFICIENTI PER RISPOSTA
- SIGNIFICATIVA, disse.
- - Hai sentito? - mormorò VJ-23X.
- Dopo di che, i due uomini ritornarono alla questione del rapporto da
- presentare al Consiglio Galattico.
- La mente di Zee Prime misurò a spanne la nuova Galassia, mostrando soltanto un
- vago interesse per le innumerevoli stelle che la incipriavano. Sicuramente non
- l'aveva mai vista, quella. Sarebbe mai riuscito a vederle tutte? Numerose
- com'erano, ciascuna con il suo carico di umanità... Ma un carico che era più
- che altro un peso morto. Sempre di più, la vera essenza dell'uomo andava
- ricercata là fuori, nello spazio.
- Menti, non corpi! I corpi immortali rimanevano laggiù sui pianeti, come
- sospesi al di sopra del tempo. Talvolta si ridestavano a un'attività
- materiale, ma il fenomeno si faceva sempre più raro. Pochi individui nuovi
- vedevano la luce e andavano ad aumentare le imponenti masse di moltitudini, ma
- che importanza aveva? Non c'era più spazio nell'Universo, ormai, per nuovi
- individui.
- Zee Prime si scosse dalle sue meditazioni nell'imbattersi nelle volute lievi
- di un'altra mente.
- - Sono Zee Prime - disse Zee Prime. - E tu?
- - Mi chiamo Dee Sub Wun. La tua Galassia?
- - La chiamiamo soltanto Galassia. E tu?
- - Anche noi la chiamiamo soltanto così. Tutti chiamano così la loro Galassia.
- Che male c'è?
- - Ah, figurati! Tra l'altro, sono tutte uguali.
- - Proprio tutte, no. Su una particolare Galassia, la razza umana deve avere
- avuto origine, e questo la rende diversa.
- - Su quale? - domandò Zee Prime.
- - Non saprei. Ma l'AC Universale dovrebbe saperlo.
- - Vogliamo domandarglielo? Ora m'hai messo in curiosità.
- Le percezioni di Zee Prime si dilatarono fino a che le Galassie stesse si
- rimpicciolirono e divennero uno spolverìo diverso e più diffuso sopra uno
- sfondo assai più vasto. A centinaia di miliardi, ve n'erano, tutte con i loro
- esseri immortali, tutte recanti il loro carico di intelligenze, con menti che
- fluttuavano liberamente nello spazio. Eppure, una di esse era unica tra tutte,
- in quanto era la Galassia originale. Una di esse, nel suo vago e distante
- passato, aveva un periodo in cui era stata l'unica Galassia popolata
- dall'uomo.
- Zee Prime ardeva dalla curiosità di vedere quella Galassia e chiamò: - AC
- Universale! Su quale Galassia ha avuto origine il genere umano?
- L'AC Universale udì, poiché su ogni mondo e attraverso tutto lo spazio aveva
- pronti i suoi ricettori, e ogni ricettore, attraverso l'iperspazio, conduceva
- a qualche punto ignoto dove l'AC Universale si teneva in disparte.
- Zee Prime sapeva di un solo uomo i cui pensieri erano penetrati entro una
- distanza dalla quale era ancora possibile captare l'AC Universale, e costui
- aveva riferito d'avere intravisto a fatica un globo luminoso, del diametro di
- mezzo metro.
- - Ma è mai possibile che l'AC Universale sia tutto lì? - aveva domandato Zee
- Prime
- - La maggior parte di esso - era stata la risposta - È nell'iperspazio. Sotto
- quale forma, proprio non saprei immaginare.
- Né alcuno lo poteva, perché ne era passato di tempo. Zee Prime lo sapeva, dal
- giorno in cui un uomo aveva avuto una parte sia pure secondaria nella
- creazione di un AC Universale. Ciascun AC Universale progettava e costruiva il
- suo successore. Ciascun AC, durante la sua esistenza di un milione di anni e
- più, accumulava i dati necessari a costruire un successore migliore, più
- complesso ed efficiente, in cui il suo stesso bagaglio di dati e di
- individualità sarebbe rimasto sommerso.
- L'AC Universale interruppe i pensieri divaganti di Zee Prime, non con parole
- ma con una sorta di influsso direttivo. Zee Prime venne guidato entro il
- confuso mare delle Galassie fino a che una in particolare si ingrandì,
- mostrandosi in tutte le sue stelle.
- Un pensiero, infinitamente lontano ma infinitamente chiaro, arrivò a Zee
- Prime: QUESTA è LA GALASSIA ORIGINALE DELL'UOMO.
- Ma era identica a tutte le altre, alla fin fine, e Zee Prime soffocò il suo
- disappunto.
- Dee Sub Wun, la cui mente aveva accompagnato l'altra, domandò all'improvviso:
- - E una di queste è la stella originale dell'Uomo?
- LA STELLA ORIGINALE DELL'UOMO È DIVENTATA UNA NOVA, rispose l'AC Universale. È
- UNA NANA BIANCA.
- - E gli uomini che ci vivevano sono morti? - domandò Zee Prime, senza
- riflettere.
- COME SEMPRE IN QUESTI CASI, disse l'AC Universale, PER I LORO CORPI È STATO
- COSTRUITO IN TEMPO UN MONDO NUOVO.
- - Eh, già, è vero - disse Zee Prime, ma ugualmente si sentiva sopraffatto da
- un senso di vuoto. La sua mente allentò la presa sulla Galassia originale
- dell'Uomo, lasciò che questa si ritraesse bruscamente fino a perdersi tra
- l'ammasso confuso di punti luminosi. Si augurava di non rivederla più.
- - Che c'è? - domandò Dee Sub Wun. - Qualcosa che non va?
- - Le stelle stanno morendo. La stella originale è morta
- - Che c'è di strano? Tutte devono morire.
- - Ma quando tutta l'energia si sarà esaurita, moriranno anche i nostri corpi,
- e tu e io con loro.
- - Ci vorranno miliardi di anni.
- - Ma io non voglio che accada, nemmeno tra miliardi di anni. AC Universale!
- Come si può impedire che le stelle muoiano?
- Divertito, Dee Sub Wen osservò: - Stai domandandogli come si potrebbe
- invertire l'andamento dell'entropia.
- PER ORA MANCANO DATI SUFFICIENTI, rispose l'AC Universale, PER UNA RISPOSTA
- SIGNIFICATIVA.
- Zee Prime lasciò che i suoi pensieri riaffluissero verso la sua vera Galassia.
- Non si curò più di Dee Sub Wun, il cui corpo poteva essere in attesa su una
- Galassia distante un trilione di anni luce, così come sulla stella accanto a
- quella di Zee Prime. Non aveva importanza.
- Desolato, Zee Prime cominciò a raccogliere idrogeno interstellare con il quale
- costruirsi una stellina tutta per sé. Se anche le stelle dovevano morire
- tutte, prima o poi, per ora era ancora possibile costruirne qualcuna.
- L'Uomo rifletteva tra sé e sé, perché in un certo senso, mentalmente, l'Uomo
- era unico. Era formato da trilioni, trilioni e trilioni di corpi senza età,
- ciascuno al suo posto, ciascuno immobile e incorruttibile, ciascuno accudito
- da automi perfetti e altrettanto incorruttibili, mentre le menti di tutti quei
- corpi si fondevano liberamente l'una nell'altra, indistinguibili.
- - L'Universo sta morendo - disse l'Uomo.
- Guardò, intorno a sé, le Galassie sempre più fioche. Le stelle giganti, così
- spendaccione, si erano spente da un pezzo, laggiù nel buio del più oscuro
- passato remoto. Quasi tutte le stelle erano nane bianche, sul punto di
- spegnersi.
- Nuove stelle erano state costruite con la polvere interstellare, alcune per un
- processo naturale, altre dall'Uomo stesso, e anche quelle stavano per
- decadere. Era ancora possibile far cozzare tra loro delle nane bianche e,
- dalle possenti forze così sprigionate, far scaturite nuove stelle; ma una
- soltanto, ogni mille nane bianche distrutte, e anche quelle poche, presto o
- tardi, avrebbero finito per decadere.
- - Amministrata con estrema oculatezza, secondo i dettagli dell'AC Cosmico -
- disse l'Uomo - l'energia che ancora rimane nell'Universo durerà miliardi di
- anni.
- - Ciò nonostante - obiettò l'Uomo - prima o poi tutto avrà una fine. Per
- quanto oculatamente amministrata, per quanto sfruttata al massimo, l'energia,
- una volta spesa, è perduta per sempre, e nessuno può sostituirla. L'entropia
- non può che aumentare, fino a raggiungere un massimo
- - È possibile invertire l'entropia? - domandò infine l'Uomo. - Sentiamo che
- cosa ne dice l'AC Cosmico.
- L'AC Cosmico li circondava, ma non nello spazio. Neppure un frammento di AC
- Cosmico si trovava nello spazio. Era nell'iperspazio, ed era fatto di qualcosa
- che non era né materia né energia. Il problema delle sue dimensioni e della
- sua natura non era più traducibile in termini che l'Uomo potesse comprendere.
- - AC Cosmico - invocò l'Uomo - È possibile invertire l'entropia?
- FINORA, rispose l'AC Cosmico, NON ABBIAMO DATI SUFFICIENTI PER UNA RISPOSTA
- SIGNIFICATIVA.
- - Raccogline altri - ordinò l'Uomo
- LO FARÒ, disse l'AC Cosmico. LO STO FACENDO DA CENTO MILIARDI DI ANNI. I MIEI
- PREDECESSORI E IO CI SIAMO SENTITI FARE QUESTA DOMANDA MOLTE VOLTE. TUTTI I
- DATI CHE HO RIMANGONO INSUFFICIENTI.
- - Verrà un tempo - domandò l'Uomo - in cui i dati saranno sufficienti, o
- questo problema è insolubile in tutte le circostanze possibili e immaginabili?
- NESSUN PROBLEMA è INSOLUBILE IN TUTTE LE CIRCOSTANZE POSSIBILI E IMMAGINABILI,
- rispose l'AC Cosmico.
- - Quando avrai i dati sufficienti per rispondere alla domanda? - volle sapere
- l'Uomo.
- FINORA I DATI SONO INSUFFICIENTI PER UNA RISPOSTA SIGNIFICATIVA, rispose l'AC
- Cosmico.
- - Continuerai a occupartene? - domandò l'Uomo.
- LO FARÒ, promise l'AC Cosmico.
- - Aspetteremo - disse l'Uomo.
- Le stelle e le Galassie morirono e si spensero, e lo spazio, dopo dieci
- trilioni d'anni di decadimento, divenne nero.
- Un individuo alla volta, l'Uomo si fuse con AC, e ciascun corpo fisico perdeva
- la sua idoneità mentale in un modo che, a conti fatti, non si traduceva in una
- perdita ma in un guadagno.
- L'ultima mente dell'Uomo esitò, prima della fusione, contemplando uno spazio
- che comprendeva soltanto i fondi di un'ultima stella quasi spenta e
- nient'altro che materia incredibilmente rarefatta, agitata a casaccio da
- rimasugli finali di calore che calava, asintoticamente, verso lo zero
- assoluto.
- - È questa la fine, AC? - domandò l'Uomo. - Non è possibile ritrasformare
- ancora una volta questo caos nell'Universo? Non si può invertire il processo?
- MANCANO ANCORA I DATI SUFFICIENTI PER UNA RISPOSTA SIGNIFICATIVA, disse AC.
- L'ultima mente dell'Uomo si fuse e soltanto AC esisteva, ormai...
- nell'iperspazio.
- Materia ed energia erano terminate e, con esse, lo spazio e il tempo. Perfino
- AC esisteva unicamente in nome di quell'ultima domanda alla quale non c'era
- mai stata risposta dal tempo in cui un assistente semi-ubriaco, dieci trilioni
- d'anni prima, l'aveva rivolta a un calcolatore che stava ad AC assai meno di
- quanto l'uomo stesse all'Uomo.
- Tutte le altre domande avevano avuto risposta e, finché quell'ultima non fosse
- stata anch'essa soddisfatta, AC non si sarebbe forse liberato della
- consapevolezza di sé.
- Tutti i dati raccolti erano arrivati alla fine, ormai. Da raccogliere, non
- rimaneva più niente.
- Ma i dati raccolti dovevano ancora essere correlati e accostati secondo tutte
- le relazioni possibili.
- Un intervallo senza tempo venne speso a far questo.
- E accadde, così, che AC scoprisse come si poteva invertire l'andamento
- dell'entropia.
- Ma ormai non c'era nessuno cui AC potesse fornire la risposta all'ultima
- domanda. Pazienza! La risposta - per dimostrazione - avrebbe provveduto anche
- a questo.
- Per un altro intervallo senza tempo, AC pensò al modo migliore per riuscirci.
- Con cura, AC organizzò il programma.
- La coscienza di AC abbracciò tutto quello che un tempo era stato un Universo e
- meditò sopra quello che adesso era Caos. Un passo alla volta, così bisognava
- procedere.
- LA LUCE SIA! disse AC.
- E la luce fu...
- Titolo originale: The Last Question
- Prima edizione: Science Fiction Quarterly, novembre 1956
- Traduzione di Hilia Brinis
- IL BRUTTO RAGAZZETTO
- Edith Fellowes si diede una lisciata al grembiule da lavoro come faceva
- sempre, prima di aprire la porta chiusa da un'elaborata serratura e di
- attraversare l'invisibile linea di demarcazione tra l'essere e il non essere.
- Aveva con sé il taccuino e la penna, sebbene non prendesse più appunti, se non
- quando provava il bisogno impellente di stendere qualche resoconto.
- Questa volta aveva con sé anche una valigia ("Giocattoli per il bambino) aveva
- detto, sorridendo, al guardiano, che da tempo aveva persino smesso di pensare
- di farle delle domande e che le aveva fatto cenno con la mano di passare).
- E, come sempre, il piccolo bimbo deforme sapeva che lei era entrata e le
- correva incontro gridando - Signorina Fellowes, signorina Fellowes - con la
- sua pronuncia sommessa, mangiandosi le parole.
- - Timmie - disse lei, e gli passò la mano tra i capelli bruni arruffati sulla
- piccola testa sproporzionata. - Cosa c'è?
- Il piccolo rispose: - Tornerà ancora Jerry a giocare? Mi spiace per quello che
- è successo.
- - Non preoccuparti ora, Timmie. E per questo che hai pianto?
- Il piccolo spostò lo sguardo altrove. "Non solo, signorina Fellowes. Ho
- sognato di nuovo."
- - Lo stesso sogno? - Le labbra della signorina Fellowes rimasero immobili.
- Naturalmente, la faccenda di Jerry avrebbe provocato di nuovo quel sogno.
- Timmie annuì. Mentre cercava di sorridere, mise in mostra i denti troppo
- grandi e le labbra della bocca sporgente si tirarono. - Quando sarò abbastanza
- grande per uscire di qui, signorina Fellowes?
- - Presto - rispose lei dolcemente, sentendosi spezzare il cuore. - Presto.
- La signorina Fellowes lasciò che le prendesse la mano e le piacque il contatto
- tiepido della pelle spessa del suo palmo. Il piccolo la condusse attraverso le
- tre stanze che costituivano la Sezione Uno di Stasis, sufficientemente
- confortevoli, si, ma anche un'eterna prigione per il piccolo bimbo deforme
- duranti tutti i sette (erano proprio sette) anni della sua vita.
- Il bimbo la condusse all'unica finestra che dava sullo scorcio di un terreno
- boschivo incolto facente parte del mondo dell'essere (ora nascosto dalla
- notte), dove una recinzione con istruzioni scritte su vari cartelli vietava a
- chiunque di gironzolare intorno senza permesso.
- Timmie pigiò il naso contro la finestra. - Là fuori, signorina Fellowes?
- - In posti più belli, migliori - rispose lei con tristezza, mentre guardava il
- povero visetto imprigionato e incorniciato di profilo contro la finestra. La
- fronte era appiattita e i capelli vi ricadevano a ciocche. La parte posteriore
- del cranio era rigonfia e sembrava rendere la testa più pesante del dovuto,
- incurvandola e piegandola in avanti, sforzando tutto il corpo ad assumere
- quella postura storta. Già gli spigoli ossuti degli zigomi iniziavano a
- deformargli la pelle intorno agli occhi. La sua bocca larga sporgeva in avanti
- molto più prominentemente del grosso naso schiacciato; e non si poteva neppure
- parlare di un mento vero e proprio, solo di una mascella rientrante incurvata
- all'ingiù. Timmie era piccolo per la sua età e le sue gambe tozze erano curve.
- Era un bambino incredibilmente deforme e Edith Fellowes lo amava molto.
- Dal momento che il bambino non poteva vederle il viso, Edith Fellowes permise
- alle sue labbra il lusso di un fremito.
- Non l'avrebbero ucciso. Avrebbe fatto di tutto per impedirlo. Di tutto. Aprì
- la valigia e iniziò a tirare fuori gli indumenti che conteneva.
- Edith Fellowes aveva varcato la soglia di Stasis, S.p.a., per la prima volta
- poco più di tre anni prima. A quel tempo, non aveva la minima idea di ciò che
- Stasis significasse o a cosa servisse quel luogo. Nessuno lo sapeva, allora,
- tranne coloro che vi lavoravano. Infatti, solo il giorno dopo il suo arrivo,
- il mondo apprese l'importante notizia.
- A quell'epoca, avevano appena messo un'inserzione: cercavano una donna che
- avesse nozioni di fisiologia, esperienza in farmacologia e che amasse i
- bambini. Edith Fellowes era stata infermiera in un reparto maternità e
- riteneva di soddisfare quei requisiti.
- Gerald Hoskins, il cui nome sulla targhetta appoggiata sulla scrivania
- includeva un dottorato in fisiologia, si grattò la guancia con il pollice e la
- guardò con severità.
- Automaticamente, la signorina Fellowes si irrigidì e avvertì che il suo viso
- (con il naso leggermente asimmetrico e le palpebre lievemente appesantite) si
- contraeva.
- Se è per questo, neppure lui è il tipo di uomo che ho sempre sognato, pensò
- risentita. Sta mettendo su ciccia, sta diventando calvo e ha la bocca
- cadente... tuttavia, il salario menzionato nell'inserzione si era rivelato
- considerevolmente superiore alle sue aspettative, così aspettò.
- Hoskins disse: - Allora, li ama davvero i bambini?
- - Non l'avrei detto se non fosse vero.
- - Oppure ama solo i bambini belli? Quei bei bambini paffuti con graziosi
- nasini a patata, tutti gorgoglianti e farfuglianti?
- La signorina Fellowes replicò: - I bambini sono bambini, dottor Hoskins, e
- quelli che non sono belli sono proprio quelli che potrebbero avere più bisogno
- d'aiuto.
- - Allora, supponga di essere assunta.
- - Intende dire che mi sta offrendo il lavoro?
- Hoskins abbozzò un fugace sorriso, e per un attimo il suo grande viso assunse
- un fascino distratto. Disse: - Prendo decisioni rapide.
- Tuttavia, fino a questo momento, l'offerta è per prova. Potrei prendere la
- decisione di mandarla via altrettanto rapidamente. È pronta a cogliere
- quest'occasione?
- La signorina Fellowes serrò la borsetta e cercò di calcolare quanto più
- velocemente si poteva, poi ignorò i calcoli e seguì il proprio impulso. - Sì.
- - Bene. Formeremo lo Stasis questa sera e penso che farebbe meglio a essere
- qui per assumere subito l'incarico. Ciò avverrà alle otto postmeridiane e
- apprezzerei molto se lei potesse essere qui alle sette e trenta.
- - Ma, cosa...
- - Bene. Benissimo. E tutto per ora. - A un cenno, una segretaria sorridente
- entrò per accompagnarla fuori.
- La signorina Fellowes si girò e fissò per un momento la porta chiusa del
- dottor Hoskins. Che cos'era Stasis? Cosa aveva a che fare con i bambini
- quell'edificio simile a un casermone, con i suoi impiegati contrassegnati da
- un distintivo, i corridoi improvvisati, e quella inequivocabile aria da
- laboratorio di ingegneria?
- Si chiese se avrebbe dovuto davvero presentarsi quella sera, oppure starsene
- alla larga e dare una lezione a quell'uomo arrogante.
- Ma sapeva che sarebbe tornata, anche se solo per pura frustrazione.
- Avrebbe dovuto scoprire qualcosa di più sul bambino.
- Tornò alle sette e mezzo e non ebbe bisogno di annunciarsi. Uno dopo l'altro,
- uomini e donne davano segno di conoscerla e di essere al corrente della sua
- funzione. Quando entrò, venne subito diritta dove si trovava Hoskins, che la
- guardò in modo distante, mormorando: - Signorina Fellowes.
- Non le offrì neppure di accomodarsi, ma la signorina Fellowes accostò con
- calma una sedia alla ringhiera e si sedette.
- Si trovavano su un balcone che dava su un'ampia concavità piena di strumenti
- che formavano una specie di croce tra il pannello di controllo di una
- navicella spaziale e lo schermo di un computer. Su un lato vi erano delle
- pareti divisorie che sembravano formare un appartamento privo di soffitto, una
- specie di casa delle bambole gigante divisa in locali che la signorina
- Fellowes vedeva da là sopra.
- Poteva scorgere una cucina elettronica e un'unità frigorifero in una stanza e,
- fuori da un'altra, uno spazio predisposto a essere usato come gabinetto. E,
- sicuramente, l'oggetto che intravide in un altro locale poteva soltanto far
- parte di un letto, un piccolo letto.
- Hoskins stava parlando con un altro uomo e loro due insieme alla signorina
- Fellowes occupavano tutto lo spazio sul balcone. Hoskins non si offrì di
- presentare l'estraneo; la signorina Fellowes lo spiò furtivamente. Era magro,
- con quell'aspetto piuttosto sgradevole che possiedono gli uomini di mezza età.
- Aveva un paio di baffetti e uno sguardo acuto che sembrava occuparsi di tutto.
- Stava dicendo: - Non farò finta per un attimo di capire tutto questo, dottor
- Hoskins; intendo dire, se non come un profano, un profano discretamente
- intelligente, insomma, come ci si aspetterebbe che un profano capisse.
- Nonostante ciò, se esiste una parte di ciò che mi ha detto che capisco meno di
- un'altra, è la questione della selettività. Siete solo riusciti ad arrivare
- fino a qui; e questo mi sembra notevole, ma più vi spingerete oltre, più le
- cose diventeranno oscure; occorre più energia. Ma in questo modo, arriverete
- solo fino a un certo punto. È questa la cosa sconcertante.
- - Posso farle sembrare tutto meno paradossale, Deveney, se mi permetterà di
- usare un'analogia. - (Nel momento in cui udì il suo nome, la signorina
- Fellowes riuscì subito a identificare l'uomo. Si trattava ovviamente di
- Candide Deveney, il corrispondente scientifico di Telenews, che era
- notoriamente al centro di ogni più importante avvenimento scientifico.
- Riconobbe persino il suo viso come quello di colui che aveva visto al
- telegiornale quando fu annunciato l'atterraggio su Marte. Se le cose stavano
- così, il dottor Hoskins doveva avere qualcosa di importante in quel luogo.)
- - Certamente, usi un'analogia - disse Deveney con aria mesta - se pensa che
- servirà.
- - Bene, allora, lei non può leggere un libro stampato a caratteri di normale
- grandezza se lo tiene a più di un metro e mezzo di distanza dai suoi occhi, ma
- potrà leggerlo se lo tiene a trenta centimetri. In questo modo, più vicino è,
- meglio è. Tuttavia, se lei porta il libro a venti millimetri dagli occhi, non
- le sarà di nuovo possibile leggerlo. Si può anche essere troppo vicini,
- capisce?
- - Hummm - mormorò Deveney.
- - Oppure prenda quest'altro esempio. La sua spalla destra si trova a circa
- settantasei centimetri dalla punta del suo indice destro e lei può mettere il
- dito destro sulla spalla. Il suo gomito destro si trova a metà dalla distanza
- del suo indice destro; secondo la logica comune, dovrebbe essere più semplice
- da raggiungere, eppure non è possibile che con l'indice destro si tocchi il
- gomito destro. Di nuovo, si può anche essere troppo vicini.
- Deveney disse: - Posso usare questa analogia nel mio articolo?
- - Ma certo. Non potrei che esserne lusingato. Ho aspettato abbastanza qualcuno
- come lei che narrasse questa storia. Le darò qualsiasi altra cosa desideri.
- Finalmente, è giunta l'ora in cui vogliamo che il mondo spinga il suo sguardo
- oltre la nostra spalla. Ci vedrà qualcosa.
- (La signorina Fellowes, a dispetto di se stessa, si sorprese ad ammirare la
- calma certezza di quell'uomo. C'era della forza nei suoi modi.)
- Deveney disse: - Di quanto potrete tornare indietro?
- - Quarantamila anni.
- La signorina Fellowes trattenne il respiro bruscamente.
- Anni?
- L'aria era carica di tensione. Gli uomini addetti ai controlli si muovevano
- appena. Uno di essi parlò in un microfono con tono sommesso e monotono, brevi
- frasi che la signorina Fellowes non riusciva a comprendere.
- Deveney, sporgendosi sulla ringhiera del balcone con uno sguardo fisso e
- intenso, esclamò: - Vedremo qualcosa, dottor Hoskins?
- - Come? No. Nulla fino a lavoro concluso. Le nostre scoperte sono indirette,
- qualcosa sul principio del radar, se non per il fatto che usiamo mesoni invece
- di radiazioni. I mesoni ci arrivano in ritardo in condizioni adeguate. Alcuni
- vengono riflessi e dobbiamo analizzarne le riflessioni.
- - Dà l'impressione di essere una cosa difficile.
- Hoskins sorrise di nuovo, un sorriso fugace, come al solito. - È il prodotto
- finale di cinquanta anni di ricerche; quaranta anni prima che io entrassi nel
- campo. Sì, è una cosa difficile.
- L'uomo al microfono alzò una mano.
- Hoskins disse: "Abbiamo fissato l'esatta posizione su un particolare momento
- temporale per settimane; l'abbiamo mutata, ristabilita dopo aver calcolato le
- nostre posizioni nel tempo, accertandoci che avremmo potuto controllare il
- flusso temporale con sufficiente precisione. Deve funzionare ora.
- Ma la sua fronte luccicava, imperlata di sudore.
- Edith Fellowes si rese conto di essersi alzata e di essere alla ringhiera del
- balcone, ma non si vedeva nulla.
- L'uomo al microfono annunciò con calma: - Ora.
- Ci fu una pausa di silenzio sufficiente per un respiro e poi si udì l'urlo
- terrificante di un bambino, proveniente dalle camere della casa delle bambole.
- Terrore! Un terrore straziante!
- La signorina Fellowes girò la testa in direzione del grido. In tutta quella
- faccenda era coinvolto un bambino. L'aveva dimenticato.
- Hoskins colpì la ringhiera col pugno ed esclamò con voce ferma e risoluta,
- tremante di trionfo: - Ce l'abbiamo fatta!
- La signorina Fellowes fu spinta giù per la breve rampa della scala a
- chiocciola dalla pressione del palmo di Hoskins tra le scapole. Non disse
- nulla.
- Gli uomini addetti ai posti di controllo ora erano in piedi, sorridevano,
- fumavano, guardavano i tre mentre facevano il loro ingresso al piano terra. In
- direzione della casa delle bambole risuonò un debolissimo ronzio.
- Hoskins disse a Deveney: - È perfettamente sicuro entrare in Stasis. L'ho
- fatto un migliaio di volte. Si avverte una strana sensazione che è momentanea
- e che non significa nulla.
- In segno di silenziosa dimostrazione, passò attraverso una porta aperta, e
- Deveney, con un sorriso forzato, prendendo un profondo respiro, lo seguì.
- Hoskins disse: - Signorina Fellowes! Prego! - Impazientemente, le fece segno
- con l'indice di avvicinarsi.
- La signorina Fellowes annuì e, muovendosi rigidamente, attraversò la soglia.
- Fu come se un fremito la percorresse, un solletico interiore.
- Ma una volta all'interno, tutto sembrò normale. Si sentiva odore di legno
- fresco e anche... sì, di terriccio.
- Ora c'era silenzio, finalmente nessuna voce, ma si udì un rumore secco di
- piedi strascicati, un cercare a tentoni, come di una mano che scorresse sul
- legno, poi un lamento profondo.
- - Dov'è? - chiese la signorina Fellowes con angoscia. Non si preoccupavano
- quegli stupidi uomini?
- Il fanciullo era nella camera da letto o, perlomeno, la camera che conteneva
- il letto.
- Era in piedi, nudo, con il piccolo torace insudiciato, e ansimava con
- irregolarità. Una grande quantità di erba incolta era sparsa sul pavimento
- vicino ai suoi piedi scuri e privi di scarpe. Da lì provenivano l'odore di
- terra e il vago sentore di qualcosa di fetido.
- Hoskins seguì il suo sguardo terrificato e disse con fare seccato: Non si può
- strappare fuori dal tempo un ragazzo lindo e pulito, signorina Fellowes. Per
- sicurezza abbiamo dovuto prelevare anche una parte dell'habitat che lo
- circondava. O avrebbe preferito che fosse arrivato qui senza una gamba o solo
- con metà testa?
- - La prego - esclamò la signorina Fellowes, angosciata dalla propria reazione
- violenta. - Dobbiamo stare proprio qui? Quel povero bambino è spaventato. Ed è
- sudicio.
- Aveva decisamente ragione. Era insudiciato di sporcizia rappresa e di una
- sostanza untuosa, e aveva un graffio su una coscia che sembrava arrossato e
- purulento.
- Quando Hoskins si avvicinò, il bambino, che sembrava avere poco più di tre
- anni d'età, si ingobbì appiattendosi al suolo e indietreggiò rapidamente.
- Sollevò il labbro superiore e mostrò i denti, soffiando come un gatto. Con un
- gesto rapido, Hoskins afferrò tutt'e due le braccia del piccolo e lo sollevò
- dal pavimento mentre lui si contorceva e urlava.
- La signorina Fellowes disse: - Lo tenga, adesso. Ha bisogno di un bagno caldo,
- innanzitutto. Ha bisogno di essere pulito. Ha l'equipaggiamento necessario? Se
- sì, lo faccia portare qui. Avrò bisogno di aiuto per toccarlo, muoverlo, solo
- per ora. Inoltre, per l'amor del Cielo, faccia togliere tutta quella porcheria
- e quel sudiciume.
- Ora la signorina Fellowes stava dando gli ordini e si sentiva perfettamente
- competente. E questo perché ora era un'infermiera efficiente, piuttosto che
- una spettatrice confusa, guardava il bambino con occhio clinico... esitò un
- momento, sconvolta. Riuscì a vedere oltre la sporcizia e le urla, oltre
- l'agitarsi delle membra e quell'inutile dibattersi. Vide il bambino tale e
- quale era.
- Era la creatura più brutta e deforme che avesse mai visto. Era terribilmente
- deturpato, dalla testa malformata alle gambe storte.
- Riuscì a lavare il bambino con l'aiuto di tre uomini e con altre persone che
- si muovevano disordinatamente nello sforzo di pulire la stanza. Lavorò in
- silenzio e risentita, infastidita dalle continue grida e dal dibattersi del
- piccolo, dagli abbondanti e non dignitosi schizzi d'acqua insaponata ai quali
- era soggetta.
- Il dottor Hoskins aveva accennato al fatto che il bambino non sarebbe stato
- bello e buono, ma ciò era ben lontano dall'affermare che sarebbe stato deforme
- fino a suscitare repulsione. Inoltre, il piccolo aveva addosso una puzza che
- l'acqua e il sapone stavano facendo diminuire solo poco per volta.
- La signorina Fellowes ebbe la forte tentazione di spingere il bambino,
- insaponato com'era, nelle braccia di Hoskins e di andarsene; ma c'era di mezzo
- l'orgoglio professionale. Dopo tutto, aveva accettato un incarico. E ci
- sarebbe stato quello sguardo nei suoi occhi. Uno sguardo freddo che le avrebbe
- detto: "Solo bambini belli, signorina Fellowes?".
- Hoskins, che si era messo di lato, li guardava freddamente a distanza, con un
- mezzo sorriso dipinto sul viso; a un tratto incontrò gli occhi di lei, come se
- fosse divertito del suo risentimento.
- La signorina Fellowes decise che avrebbe aspettato un poco prima di
- abbandonare quel lavoro. Farlo ora avrebbe solo significato svilirla.
- In seguito, quando il bambino ebbe riacquistato un colorito roseo decente e
- odorava di sapone profumato, la signorina Fellowes si sentì comunque meglio.
- Le urla del piccolo si mutarono in piagnucolii di stanchezza mentre osservava
- attentamente, con gli occhi che si muovevano rapidi e in preda a timoroso
- sospetto, da uno all'altro di coloro che si trovavano nella stanza. Il fatto
- di essere lindo e pulito accentuava la sua magra nudità, mentre rabbrividiva
- di freddo dopo il bagno.
- La signorina Fellowes esclamò bruscamente: - Portatemi una camicia da notte
- per il bambino!
- Subito apparve una camicia da notte. Era come se tutto fosse stato già
- preparato, eppure nulla fosse pronto se non quando lei dava ordini; come se
- stessero deliberatamente lasciando tutto nelle sue mani, senza aiuto, per
- metterla alla prova.
- Il giornalista, Deveney, si avvicinò e disse: - Lo terrò io, signorina. Non ce
- la farà a infilargliela da sola.
- - Grazie - rispose la signorina Fellowes. E, infatti, fu una vera e propria
- battaglia, ma alla fine riuscirono a fargli indossare l'indumento, e quando il
- bimbo fece per strapparselo di dosso, la signorina Fellowes lo schiaffeggiò
- sulla mano con forza.
- Il bambino arrossì, ma non pianse. La fissava e le dita storte di una mano si
- mossero lentamente sul tessuto di flanella della camicia da notte,
- percependone al tatto l'estraneità.
- La signorina Fellowes pensò con disperazione: Ebbene, cosa succederà adesso?
- Ognuno sembrava preso da un'animazione sospesa, in attesa di una mossa da
- parte sua, persino il piccolo bimbo deforme.
- La signorina Fellowes disse bruscamente: - Avete del cibo a disposizione?
- Latte?
- Lo avevano. Un'unità mobile su un carrello fu fatta entrare, con lo
- scompartimento frigorifero contenente tre quarti di un litro di latte,
- un'unità per riscaldare le vivande e una scorta di prodotti energetici sotto
- forma di gocce vitaminiche, sciroppo al ferro-cobalto-rame e altre cose di cui
- la signorina Fellowes non aveva tempo di occuparsi. C'era una varietà di cibi
- in scatola per bambini che si autoriscaldavano.
- Per iniziare, utilizzò del latte, semplicemente del latte. L'unità radar lo
- riscaldò a una temperatura già predisposta in dieci secondi e si spense; la
- signorina Fellowes ne versò un poco in un piattino. Era certa dello stato
- selvaggio in cui si trovava il bambino. Era certa che non avrebbe saputo in
- che modo tenere in mano una tazza.
- La signorina Fellowes annuì e disse al piccolo: - Bevi. Bevi. - Fece un gesto
- come se si fosse portata il latte alla bocca. Gli occhi del bambino seguirono
- i suoi movimenti, ma non si mosse.
- Improvvisamente, la signorina Fellowes si risolse a ricorrere alle maniere
- dirette. Afferrò la parte superiore del braccio del bambino con una mano e
- intinse l'altra nel latte. Gli bagnò le labbra, in modo che il latte gli
- colasse lungo le guance e il mento rientrante.
- Per un momento, il bambino emise un grido acuto, poi si passò la lingua sulle
- labbra inumidite. La signorina Fellowes si allontanò di qualche passo.
- Il piccolo si avvicinò al piattino, si piegò verso di esso, poi guardò in alto
- e dietro di sé, come se stesse aspettando l'assalto di un nemico appostato; si
- chinò di nuovo e leccò il latte con avidità, come un gatto. Bevve
- rumorosamente e non usò le mani per sollevare il piattino.
- La signorina Fellowes lasciò che una parte della reazione violenta che provava
- si mostrasse sul suo viso. Non poteva impedirselo.
- Deveney se ne accorse, forse. Disse: - Dottor Hoskins, l'infermiera è al
- corrente?
- - Al corrente di cosa? - chiese la signorina Fellowes.
- Deveney esitò, ma Hoskins (nuovamente con uno sguardo di distaccato
- divertimento sul viso) rispose: - Be', glielo dica.
- Deveney si rivolse alla donna: - Può anche non sospettarlo, ma lei è la prima
- donna civilizzata della storia che si sia mai presa cura di un giovane uomo di
- Neanderthal.
- Edith Fellowes si voltò verso Hoskins con una specie di controllata ferocia. -
- Avrebbe dovuto dirmelo, dottore.
- - Perché? Che differenza fa?
- - Aveva detto un bambino.
- - E quello non è forse un bambino? Non ha mai avuto un cagnolino o un gattino,
- signorina Fellowes? Si avvicinano forse di più a ciò che consideriamo umano?
- Se quello fosse stato il piccolo di uno scimpanzé, ne avrebbe provato
- repulsione? Lei è un'infermiera, signorina Fellowes. Il suo curriculum dice
- che è stata per tre anni in un reparto maternità. Si è mai rifiutata di
- assistere un neonato deforme?
- La signorina Fellowes sentì che le sue pretese erano inconsistenti. Replicò,
- con molta meno decisione: - Avrebbe dovuto dirmelo.
- - E avrebbe rifiutato l'incarico? Bene, ora lo rifiuta?
- La guardò freddamente, mentre Deveney aveva distolto lo sguardo verso l'altra
- parte della stanza, e il bambino di Neanderthal, avendo finito il latte e dopo
- aver leccato il piatto, alzò gli occhi verso di lei con il visetto bagnato e
- grandi occhi bramosi.
- Il bambino indicò il latte e improvvisamente scoppiò in una breve serie di
- suoni ripetuti in continuazione; suoni fatti di elaborati schiocchi gutturali
- con la lingua.
- La signorina Fellowes disse sorpresa: - Cielo, parla.
- - Naturalmente replicò Hoskins. - L'Homo neanderthalensis non è una specie a
- parte vera e propria, ma piuttosto una sottospecie dell'Homo sapiens. Perché
- non dovrebbe parlare? Probabilmente sta chiedendo altro latte.
- Come un automa, la signorina Fellowes allungò la mano verso la bottiglia del
- latte, ma Hoskins le afferrò il polso. - Allora, signorina Fellowes, prima di
- proseguire, accetta il lavoro?
- La signorina Fellowes si liberò della sua presa, infastidita. - Se non gli do
- io da mangiare, voi non lo farete? Starò con lui... per un po'.
- Versò il latte: - La lasceremo con il bambino, signorina Fellowes. Questa è
- l'unica porta della Sezione Numero Uno di Stasis, ed è chiusa da un
- dispositivo molto elaborato, nonché sorvegliata. Le chiederò di imparare i
- dettagli della serratura che verrà, naturalmente, chiusa con una chiave su cui
- saranno impresse le sue impronte digitali, come del resto è già stato fatto
- con le mie. Anche gli spazi là sopra (guardò verso il soffitto aperto della
- casa delle bambole) sono sorvegliati e gli incaricati saranno avvertiti se
- qualcosa di sinistro dovesse accadere qua dentro.
- La signorina Fellowes disse, con tono indignato: - Intende dire che sarò
- controllata a vista? - Pensò all'improvviso all'ispezione delle stanze interne
- che lei stessa aveva compiuto dal balcone.
- - No, no - replicò Hoskins seriamente. - La sua privacy sarà completamente
- rispettata. La vista consisterà esclusivamente di simboli elettronici, con i
- quali avrà a che fare solo un computer. Ora lei starà con lui questa notte,
- signorina Fellowes, e tutte le notti fino a ulteriori indicazioni. Le verrà
- dato il cambio durante il giorno, secondo l'orario che lei troverà
- conveniente. Le permetteremo di stabilirlo a suo piacimento.
- La signorina Fellowes diede un'occhiata alla casa delle bambole con
- un'espressione sconcertata. - Ma perché tutto ciò, dottor Hoskins? Il bambino
- è pericoloso?
- - È una questione di energia, signorina Fellowes. Non deve mai essergli
- permesso di lasciare queste stanze. Mai. Neppure per un istante. Per nessuna
- ragione. Neanche se si trattasse di salvargli la vita. E neppure per salvare
- la sua, signorina Fellowes. È chiaro?
- La signorina Fellowes alzò il mento. - Capisco gli ordini, dottor Hoskins, e
- la professione di infermiera prevede la possibilità di anteporre il dovere
- alla preservazione della propria vita.
- - Bene. Se ha bisogno di qualcuno, può sempre farcelo sapere. - E i due uomini
- se ne andarono.
- La signorina Fellowes si voltò verso il bambino. La stava guardando e nel
- piattino era rimasto ancora del latte. Con fatica, cercò di mostrargli come
- sollevare il piattino e portarselo alle labbra. Il piccolo fece resistenza, ma
- le permise di toccarlo senza scoppiare in urla e strepiti.
- I suoi occhi atterriti erano sempre posati su di lei, controllando e
- sorvegliando alla ricerca della prima mossa falsa. La signorina Fellowes si
- sorprese a consolarlo, cercando di muovere la mano molto lentamente verso i
- suoi capelli, permettendogli di vedere ogni millimetro del movimento che
- compiva, facendogli vedere che in ciò non vi era nulla che potesse arrecargli
- danno.
- E, per un istante, riuscì ad accarezzargli i capelli.
- Disse: - Ti farò vedere come si usa il bagno. Pensi di poter imparare?
- Parlò con tranquillità e dolcezza, sapendo che il piccolo non avrebbe capito
- le sue parole, ma con la speranza che avrebbe risposto alla calma del suo tono
- di voce.
- Il bambino si lanciò di nuovo in una frase tutta pronunciata con grandi
- schiocchi di lingua.
- Lei gli chiese: - Posso prenderti per mano?
- Allungò la propria e il bambino la guardò. La lasciò distesa e aspettò. La
- mano del piccolo avanzò tentennante verso la sua.
- - Bene - disse lei.
- La manina era a qualche millimetro dalla sua, ma, proprio allora, il coraggio
- del piccolo venne meno. La tirò bruscamente indietro.
- - Be' - disse la signorina Fellowes con tranquillità. - Proveremo di nuovo più
- tardi. Vuoi sederti qui? - Con la mano batté sul materasso del letto.
- Le ore passarono lentamente e i progressi furono minimi. Non ebbe successo né
- con il bagno né con il letto. Infatti, dopo che il bambino ebbe dato segni di
- sonnolenza, si distese sul pavimento nudo e poi, con un movimento rapido,
- rotolò sotto il letto.
- La signorina Fellowes si chinò per guardarlo: i suoi occhi luccicavano verso
- di lei, mentre le comunicava qualcosa facendo schioccare la lingua.
- - E va bene - esclamò lei. - Se ti senti più sicuro sotto il letto, dormirai
- lì.
- Chiuse la porta che portava alla camera da letto e si ritirò sulla brandina
- che le avevano riservato nella stanza più grande. Dopo aver insistito, sopra
- di essa era stato steso un baldacchino di fortuna. Pensò: Quegli stupidi
- uomini dovranno mettere uno specchio, un comò più grande e un bagno in questo
- locale se si aspettano che io rimanga qui durante la notte.
- Fu difficile prendere sonno. La signorina Fellowes si accorse che
- si stava sforzando di udire possibili suoni provenienti dalla stanza accanto.
- Il piccolo non sarebbe potuto uscire, non era così? Le pareti erano
- perpendicolari e dall'altezza impossibile, ma supponendo che il bambino avesse
- potuto arrampicarsi come una scimmia? Be', Hoskins aveva detto che esistevano
- dei dispositivi d'osservazione posizionati lungo tutto il soffitto.
- Improvvisamente pensò: Può essere pericoloso? Fisicamente pericoloso?
- Di certo, Hoskins non aveva voluto dire questo. Sicuramente, non l'avrebbe
- lasciata sola se...
- Cerco di riderci su. Era solo un bambino di tre o quattro anni. Eppure, non
- era riuscita a tagliargli le unghie. Se l'avesse attaccata con le unghie e i
- denti, mentre dormiva...
- Il suo battito cardiaco accelerò. Oh, era ridicolo, eppure...
- Si mise in ascolto con dolorosa attenzione, e questa volta udì un rumore.
- Il bambino stava piangendo.
- Non strilli di paura o di rabbia; non urla e strepiti. Stava piangendo
- sommessamente, e quel pianto era il singhiozzo desolato di un bambino solo,
- solo e abbandonato.
- Per la prima volta, la signorina Fellowes pensò con un impulso di compassione:
- Poverino!
- Naturalmente, era un bambino; cosa importava la forma della sua testa? Era un
- bambino che era diventato orfano, come mai nessun bambino lo era stato prima
- di allora. Non solo suo padre e sua madre se ne erano andati, ma anche tutta
- la sua specie. Portato bruscamente fuori dal tempo, ora era l'unica creatura
- del suo genere in tutto il mondo. L'ultimo. L'unico.
- Sentì che la pietà per lui si faceva più intensa e con essa la vergogna per la
- sua stessa durezza di cuore. Rimboccandosi la camicia da notte con attenzione
- sopra i polpacci (incongruamente pensò: domani dovrò portarmi un accappatoio),
- si alzò dal letto e si diresse nella camera del bambino.
- - Povero piccolo - lo chiamò sussurrando. - Piccolino.
- Stava per tendere la mano sotto il letto, ma pensò a un possibile morso e si
- ritrasse. Invece, accese la luce da notte e spostò il letto.
- Il poverino era raggomitolato in un angolo, con le ginocchia contro il mento,
- e la guardava con occhi apprensivi e velati di lacrime.
- Nella luce fioca, la signorina Fellowes non era cosciente di quanto fosse
- repellente.
- - Povero bambino - ripeté - povero bambino. - Quando gli accarezzò i capelli,
- lo sentì irrigidirsi, poi rilassarsi. - Povero piccolo. Posso tenerti tra le
- braccia?
- Si sedette sul pavimento di fianco a lui e gli accarezzò lentamente e con
- movimenti ritmici i capelli, la guancia, il braccio. Dolcemente, iniziò a
- cantare una canzoncina dai toni lenti.
- A qual suono, il piccolo alzò la testa, fissando la bocca di lei
- nell'oscurità, come se si stesse chiedendo da dove provenisse quel suono.
- La signorina Fellowes se lo avvicinò mentre la ascoltava. Lentamente, con una
- dolce pressione della mano gli fece appoggiare la testa sulla sua spalla. Gli
- mise un braccio sotto le cosce e con un movimento delicato e non repentino se
- lo mise sulle ginocchia.
- Continuò a cantare, lo stesso semplice verso in continuazione, mentre lo
- cullava avanti e indietro, avanti e indietro.
- Il bambino smise di piangere e poco dopo il ronzio sereno del suo respiro
- indicò che si era addormentato.
- Con infinite precauzioni, la signorina Fellowes spinse di nuovo il letto
- contro il muro e vi distese il piccolo. Lo coprì e lo guardò. Il suo viso
- aveva un aspetto così pacifico e da cucciolo mentre dormiva. Non importava
- molto che fosse così brutto. Davvero.
- Fece per uscire in punta di piedi, poi pensò: E se si sveglia?
- Tornò indietro, combatté irrisolutamente con se stessa, poi sospirò e
- lentamente si mise sotto le coperte con il bambino.
- Il letto era troppo piccolo per lei. Si sentiva impacciata e a disagio per la
- mancanza di qualcosa sopra la testa, ma la mano del bambino scivolò nella sua
- e, in qualche modo, anche lei si addormentò in quella posizione.
- La signorina Fellowes si svegliò con un sussulto e in preda all'impulso
- selvaggio di urlare. Riuscì a sopprimere quest'ultimo in un mormorio. Il
- bambino la stava guardando, con gli occhi spalancati. Le ci volle parecchio
- per ricordarsi di essersi messa a letto con lui, e ora, lentamente, senza
- staccare gli occhi da quelli del piccolo, allungò con precauzione una gamba
- fino a toccare il pavimento, poi l'altra.
- Gettò un'occhiata apprensiva al soffitto aperto, poi contrasse i muscoli per
- svincolarsi rapidamente.
- Ma in quel momento le dita tozze del bambino si allungarono a toccarle le
- labbra. Disse qualcosa.
- La signorina Fellowes si ritrasse a quel contatto. Alla luce del giorno il
- bambino era terribilmente brutto.
- Il piccolo parlò di nuovo. Aprì la bocca e fece dei gesti con la mano, come se
- fosse lì lì per dire qualcosa.
- La signorina Fellowes ne indovinò il significato e chiese con voce tremula: -
- Vuoi che canti?
- Il bambino non disse nulla, ma fissò la sua bocca.
- Con voce leggermente stonata a causa della tensione, la signorina Fellowes
- intonò la canzoncina che aveva cantato la notte prima e il bambino deforme
- sorrise. Si dondolò goffamente seguendo fuori tempo la musica e fece un
- piccolo suono gorgogliante che avrebbe potuto assomigliare al principio di una
- risata.
- La signorina Fellowes, intimamente, tirò un sospiro di sollievo.
- La musica aveva avuto il potere di calmare quel piccolo cuore selvaggio.
- Poteva essere d'aiuto.
- Disse: - Aspetta. Lascia che mi sistemi. Ci metterò solo un minuto. Poi ti
- preparerò la colazione.
- Si sbrigò in fretta, ogni volta consapevole della mancanza di un soffitto. Il
- bambino rimase a letto, guardandola quando era possibile scorgerla. In quei
- momenti, lei gli sorrideva e lo salutava con la mano. Alla fine, anche lui
- rispose con il saluto della mano, e la signorina Fellowes scoprì di esserne
- deliziata.
- Infine, disse: - Vuoi della farina di avena con il latte? - Ci volle un
- momento per prepararla, e poi lo chiamò con un cenno.
- La signorina Fellowes non seppe se avesse capito il gesto o se avesse seguito
- l'aroma del cibo, ma il piccolo scese dal letto.
- Cercò di mostrargli come usare il cucchiaio, ma il piccolo indietreggiò
- spaventato. Per oggi è abbastanza, pensò. Giunse a un compromesso, insistendo
- affinché alzasse la ciotola con le mani. Lo fece piuttosto maldestramente e fu
- incredibilmente disordinato, ma riuscì a ingoiare la maggior parte del cibo.
- Questa volta aveva provato a fargli bere il latte in un bicchiere, e il
- bambino piagnucolò quando scoprì che l'apertura era troppo piccola perché
- riuscisse a ficcarci dentro la faccia in modo soddisfacente. Gli tenne la
- mano, stringendogliela intorno al bicchiere, glielo fece inclinare, gli spinse
- la bocca sull'orlo.
- Di nuovo un po' di confusione, ma anche questa volta il bambino inghiottì la
- maggior parte del liquido e, del resto, lei era abituata a quel genere di
- pasticci.
- Il gabinetto, con sua sorpresa e sollievo, fu una faccenda meno frustrante. Il
- piccolo capì cosa lei si aspettava che facesse.
- La signorina Fellowes gli diede dei buffetti affettuosi sulla testa, dicendo:
- - Bravo bambino. Sei un bambino intelligente.
- E con estremo piacere, vide che il bambino sorrise a ciò che aveva detto.
- Pensò: Quando sorride è tollerabile. Davvero.
- Più tardi, quel giorno, arrivò il giornalista.
- La signorina Fellowes teneva il bambino in braccio e lui si aggrappava stretto
- a lei con violenza, mentre attraverso la porta aperta installarono delle
- telecamere. Il trambusto spaventò il bambino, che iniziò a piangere, ma dopo
- dieci minuti venne permesso alla signorina Fellowes di ritirarsi e di portarlo
- nell'altra stanza.
- Riapparve, rossa di indignazione, uscì dall'appartamento (per la prima volta
- in diciotto ore) e chiuse la porta dietro di sé. - Penso che abbiate fatto
- abbastanza danno. Mi ci vorrà del tempo per calmarlo. Andatevene.
- - Va bene, va bene - disse il giornalista del Times-Herald. -
- Ma è davvero un uomo di Neanderthal o è solo una specie di scherzo?
- - Le assicuro - esclamò la voce di Hoskins, improvvisamente, da dietro loro -
- che non è uno scherzo. Il bambino è un autentico Homo neanderthalensis.
- - È un bambino o una bambina?
- - Un bambino - tagliò corto la signorina Fellowes.
- - Un bambino-scimmia - disse il tipo del News. - Ecco cosa abbiamo davanti
- agli occhi. Un bambino-scimmia. Come reagisce, infermiera?
- - Esattamente come farei con un bambino piccolo - rispose seccamente la
- signorina Fellowes, sulla difensiva. - E non è un bambino-scimmia. Si
- chiama... si chiama Timothy, Timmie, e ha un comportamento perfettamente
- normale.
- Aveva scelto il nome Timothy a caso. Era il primo che le era venuto in mente.
- - Timmie il bambino-scimmia - esclamò il giornalista del News e, come accade,
- Timmie il bambino-scimmia fu il nome con cui il piccolo venne fatto conoscere
- al mondo.
- Il giornalista del Globe si rivolse a Hoskins e chiese: - Dottore, cosa
- contate di fare con il bambino-scimmia?
- Hoskins si strinse nelle spalle. - Il mio piano originario è stato completato
- quando ho provato che era possibile portarlo qui. Tuttavia, gli antropologi ne
- saranno molto interessati, immagino, e anche i fisiologi. Dopo tutto, qui
- abbiamo una creatura che è al limite dell'umano. Da lui impareremo molto su
- noi stessi e sui nostri antenati.
- - Per quanto tempo lo terrete con voi?
- - Fino a quando avremo bisogno dello spazio che occupa più di quanto abbiamo
- bisogno di lui. Per un bel po', può darsi.
- Il reporter del News chiese: - È possibile portarlo all'aperto in modo che
- possiamo predisporre un equipaggiamento sub-etereo e allestire una
- dimostrazione vera e propria?
- - Sono spiacente, ma il bambino non può essere fatto uscire da Stasis.
- - Che cos'è esattamente Stasis?
- - Oh - Hoskins si concesse uno dei suoi sorrisetti fugaci. - Signori, ci
- vorrebbe molto tempo per spiegarlo. All'interno di Stasis, il tempo come noi
- lo conosciamo non esiste. Quelle stanze sono dentro una bolla invisibile che
- non fa precisamente parte del nostro Universo. Ecco perché è stato possibile
- prelevare il bambino dal tempo, come è accaduto.
- - Be', aspetti un attimo - esclamò scontento il tipo del News. - Cosa sta
- tentando di farci credere? L'infermiera entra ed esce dalla stanza...
- - E così può fare ciascuno di voi - rispose Hoskins in modo molto pratico. -
- Così facendo, vi muovereste parallelamente alle linee di forza temporali e non
- vi sarebbe implicata nessuna grossa perdita o guadagno d'energia. Tuttavia, il
- bambino è stato prelevato da un passato remoto. Si è spostato lungo quelle
- linee e ha guadagnato un potenziale temporale. Trasferirlo nell'Universo e nel
- nostro tempo ha fatto assorbire energia sufficiente a esaurire ogni linea
- temporale in questo posto e probabilmente a privare la città di Washington di
- tutta l'energia elettrica di cui dispone. Abbiamo dovuto immagazzinare i
- rifiuti che si è portato con sé e dovremo rimuoverli poco alla volta.
- I giornalisti erano impegnatissimi a scrivere, mentre Hoskins parlava con
- loro. Non capivano, com'erano sicuri che anche i loro lettori non avrebbero
- capito, ma tutto suonava così scientifico, e quello era ciò che contava.
- Il giornalista del Times-Herald chiese: - Sarà disponibile questa sera per
- un'intervista trasmessa su tutte le reti televisive?
- - Penso di sì - disse subito Hoskins, e tutti se ne andarono.
- La signorina Fellowes li guardò allontanarsi. Di Stasis e della forza
- temporale aveva capito quanto i giornalisti, ma cercò di fissarsi bene in
- mente quel poco. La prigionia di Timmie (si scoprì improvvisamente a pensare
- al piccolo come a Timmie) era reale e non imposta dall'autorizzazione
- arbitraria di Hoskins. Apparentemente, era in tutto e per tutto impossibile
- farlo uscire da Stasis, per sempre.
- Povero bambino. Povero piccolo.
- Si rese improvvisamente conto che Timmie stava piangendo e si affrettò a
- rientrare per consolarlo.
- La signorina Fellowes non ebbe l'opportunità di vedere Hoskins nel
- collegamento televisivo, e sebbene la sua intervista fu trasmessa in ogni
- parte del mondo e persino nel piccolo avamposto sulla Luna, non penetrò nel
- piccolo appartamento dove vivevano la signorina Fellowes e il piccolo bimbo
- deforme.
- Tuttavia, il mattino seguente, Hoskins apparve radioso e pieno di gioia.
- La signorina Fellowes si informò. - È andata bene l'intervista?
- - Ottimamente. E come sta... Timmie?
- La signorina Fellowes si compiacque che il nome fosse stato adottato e venisse
- usato. - Si sta comportando benissimo. Adesso vieni qui, Timmie, questo
- gentile signore non ti farà del male.
- Ma Timmie rimase nell'altra stanza, mostrando un ricciolo dei suoi capelli
- ispidi dietro lo stipite della porta e, di tanto in tanto, l'angolo di un
- occhio.
- - A dire il vero - disse la signorina Fellowes - Sì sta ambientando in modo
- stupefacente. È intelligentissimo.
- - Ne è sorpresa?
- La signorina Fellowes esitò solo un istante, poi rispose: - Sì, lo sono.
- Diciamo che avevo pensato che fosse un vero bambino-scimmia.
- - Be', bambino-scimmia o meno, sta facendo molto per noi. Ha reso importante
- Stasis. Ci siamo, signorina Fellowes. Ci siamo. - Era come se dovesse
- esprimere il proprio trionfo a qualcuno, anche se solo a lei.
- Lei lo lasciò parlare.
- Hoskins si mise le mani in tasca e iniziò: - Per dieci anni abbiamo lavorato
- con mezzi economici assai esigui, rubacchiando un penny alla volta ogni volta
- che ne avevamo l'occasione. Abbiamo dovuto limitare le nostre fatiche a
- un'unica, grande dimostrazione. Avrebbe significato tutto, o nulla. E quando
- dico fatiche, lo dico davvero. Questo tentativo di portare qui, nel nostro
- tempo, un esemplare di uomo di Neanderthal, ha impegnato ogni centesimo che
- potevamo prendere in prestito o rubare, e alcuni sono stati rubati, fondi
- destinati ad altri progetti usati per questo senza autorizzazione. Se questo
- esperimento non avesse funzionato, sarei stato spacciato.
- La signorina Fellowes esclamò inaspettatamente: - È per questo che non ci sono
- soffitti?
- - Come? - Hoskins guardò in alto.
- - Non c'erano soldi per costruire i soffitti?
- - Oh, be', non è stata quella l'unica ragione. Dapprincipio non sapevamo
- quanti anni avrebbe avuto esattamente l'esemplare di Neanderthal. Le nostre
- esplorazioni nel tempo avvengono solo in modo confuso, l'esemplare sarebbe
- potuto essere grande, grosso e selvaggio. Forse avremmo dovuto occuparci di
- lui tenendolo a distanza, come con un animale in gabbia.
- - Ma dal momento che le cose non sono andate così, suppongo che lei adesso
- possa far costruire un soffitto.
- - Adesso sì. Ora abbiamo denaro in abbondanza. Ci sono stati promessi fondi da
- ogni dove. È tutto così meraviglioso, signorina Fellowes. - Il suo grande viso
- brillò di un sorriso che questa volta non fu fugace e, quando se ne andò,
- sembrava che persino la sua schiena stesse sorridendo.
- La signorina Fellowes pensò: è davvero un uomo gradevole quando non sta così
- sulla difensiva e si dimentica del suo atteggiamento rigorosamente
- scientifico.
- Abbandonandosi per un momento a una congettura, si chiese se fosse sposato,
- poi scacciò quel pensiero, imbarazzata.
- - Timmie - chiamò. - Vieni qui, Timmie.
- Nei mesi che seguirono, la signorina Fellowes avvertì di essere diventata una
- parte integrale di Stasis. Le venne dato un piccolo ufficio tutto suo con il
- suo nome sulla porta, un ufficio vicinissimo alla casa delle bambole (come non
- aveva mai smesso di chiamare la bolla all'interno di Stasis dove viveva
- Timmie). Le venne dato un sostanziale aumento di stipendio. L'alloggio di
- Timmie venne ricoperto da un soffitto; crebbe il numero dei mobili e ne venne
- migliorata la qualità; venne aggiunto un secondo bagno e, nonostante ciò, la
- signorina Fellowes guadagnò un appartamento all'interno dell'istituto e, di
- tanto in tanto, decideva di non rimanere con Timmie durante la notte. Venne
- installato un citofono tra la casa delle bambole e il suo appartamento e
- Timmie imparò a usarlo.
- La signorina Fellowes si abituò a Timmie. Divenne persino meno consapevole
- della sua deformità e bruttezza. Un giorno si sorprese a fissare un ragazzino
- normale per strada, trovando qualcosa di sgradevole, di sporgente nella sua
- fronte alta e spaziosa, nel suo mento ben sporto in fuori. Dovette scuotersi
- per rompere quell'incantesimo.
- Fu più piacevole abituarsi alle visite occasionali di Hoskins. Era ovvio che
- salutasse con piacere i rari momenti in cui poteva evadere dal suo ruolo di
- responsabile di Stasis, ruolo in cui veniva disturbato sempre più di
- frequente, e che avesse assunto un interesse affettuoso nei confronti del
- bambino che aveva dato avvio a tutto quello, ma alla signorina Fellowes parve
- anche gli piacesse parlare con lei.
- (Inoltre, aveva appreso alcuni fatti su Hoskins. Aveva inventato il metodo con
- cui analizzare il riflesso del raggio mesonico capace di penetrare nel
- passato; aveva inventato il metodo per creare Stasis; la sua freddezza era
- solo un tentativo di nascondere una natura gentile; e, oh sì, era sposato.)
- Ciò a cui la signorina Fellowes non riusciva ad abituarsi era il fatto di
- essere impegnata in un esperimento scientifico. Nonostante tutto ciò che
- poteva fare per negarlo, scoprì di esserne personalmente coinvolta fino al
- punto di litigare con i fisiologi.
- Una volta, Hoskins scese e la trovò presa da una furiosa smania omicida. Non
- ne avevano il diritto; non ne avevano alcun diritto. Anche se era un esemplare
- di uomo di Neanderthal, non era un animale.
- Li guardò andarsene in preda a un accesso di cieca ira; stava fissando la
- porta aperta e ascoltando i singhiozzi di Timmie, quando notò davanti a sé
- Hoskins. Forse si trovava lì da parecchi minuti.
- Chiese: - Posso entrare?
- La signorina Fellowes annuì bruscamente, poi corse da Timmie, che si aggrappò
- a lei con forza, cingendole la vita con quelle gambette storte e ancora così
- magre.
- Hoskins lo guardò, poi disse con gravità: - Sembra piuttosto infelice.
- La signorina Fellowes replicò: - Non lo biasimo. Gli stanno addosso ogni
- giorno ora, con i loro campioni di sangue e le loro sonde. Lo tengono a dieta,
- una dieta a base di fibre sintetiche che non farei neppure a un maiale.
- - È quel genere di cose che non possono sperimentare su un essere umano, lo
- sa.
- - E neppure su Timmie, allora. Dottor Hoskins, insisto. Lei mi ha detto che è
- stato l'arrivo di Timmie a rendere importante Stasis. Se ha un briciolo di
- gratitudine, deve tenere quella gente alla larga da questo poveretto, almeno
- fino a quando non sarà abbastanza grande per capire un po' di più. Dopo aver
- avuto con loro una seduta negativa, soffre di incubi, non riesce a dormire.
- Dunque, la avverto - e così dicendo, raggiunse un improvviso apice di rabbia -
- non sono più disposta a lasciarli entrare qui dentro.
- Si rese conto di aver gridato quest'ultima frase, ma non aveva potuto farne a
- meno.
- Riprese, con più calma: - So che è un esemplare di Neanderthal, ma ci sono
- molte cose che non apprezziamo su questa specie. Ho letto dei libri su di
- loro. Avevano una loro cultura. Alcune delle più grandi invenzioni umane sono
- sorte nel periodo in cui visse questa specie. L'addomesticamento degli
- animali, per esempio; la ruota; varie tecniche di frantumazione della pietra.
- Avevano persino aneliti spirituali. Seppellivano i loro defunti e insieme ai
- corpi anche ciò che avevano posseduto, dimostrando così di credere in una vita
- oltre la morte. Questo fatto dà credito alla teoria secondo la quale furono
- loro a dare avvio alla religione. Questo non significa che Timmie ha diritto a
- un trattamento umano?
- Diede un buffetto affettuoso sul sedere del piccolo e lo mandò nella sua
- camera dei giochi. Quando si aprì la porta, Hoskins abbozzò un sorriso dinanzi
- a tutti quei giocattoli.
- La signorina Fellowes disse in sua difesa: - Quel povero bambino si merita i
- suoi giocattoli. È tutto quello che possiede e se li guadagna con quello che
- deve sopportare tutti i giorni.
- - No, no, nessuna obiezione, glielo assicuro. Stavo solo pensando a quanto lei
- è cambiata dal primo giorno che è arrivata qui, quando era inferocita per il
- fatto che le avevo affibbiato un neanderthaliano.
- La signorina Fellowes disse a bassa voce: - Non pensavo che avrei... - e la
- sua voce svanì
- Hoskins cambiò argomento - Secondo lei, signorina Fellowes, quanti anni ha
- Timmie?
- - Non posso dirlo con sicurezza, dal momento che non so con quanta rapidità si
- sviluppino i membri di questa specie. A giudicare dalla corporatura, direi sui
- tre anni, ma i neanderthaliani sono generalmente più piccoli e con tutte
- quelle macchinazioni che stanno compiendo su di lui, è probabile che la sua
- crescita si sia bloccata. Nonostante ciò, dal modo in cui impara l'inglese,
- direi che ne ha più di quattro.
- - Davvero? Dai rapporti non ho rilevato nulla a proposito dell'apprendimento
- dell'inglese.
- - Non parla a nessuno all'infuori di me. Per ora, comunque. È terribilmente
- spaventato dagli altri, e non c'è di che meravigliarsi. Ma è in grado di
- domandare un certo tipo di cibo, e in pratica è capace di indicare ogni suo
- bisogno; e capisce quasi tutto ciò che gli dico. Naturalmente - lo guardò in
- modo penetrante, cercando di valutare se quello fosse il momento più opportuno
- - il suo sviluppo potrebbe non continuare.
- - Perché no?
- - Tutti i bambini hanno bisogno di essere stimolati, e lui vive una vita
- segregata e solitaria. Io faccio quello che posso, ma non sono sempre con lui
- e non rappresento tutto ciò di cui ha bisogno. Quello che intendo dire, dottor
- Hoskins, è che Timmie ha bisogno di un altro bambino con cui giocare.
- Hoskins chinò il capo lentamente, in segno di assenso. - Sfortunatamente,
- esiste solo lui della sua razza, vero? Povero bambino.
- A quelle parole la signorina Fellowes si animò subito. - Lei vuole bene a
- Timmie, non è così? - Era così bello che qualcun altro provasse i suoi stessi
- sentimenti.
- - Oh, sì - disse Hoskins, e avendo perso quell'aria tesa e professionale,
- diede l'opportunità alla signorina Fellowes di notare nei suoi occhi dei segni
- di stanchezza.
- Edith Fellowes abbandonò i suoi piani per risolvere la questione all'istante.
- Disse con aria realmente preoccupata: - Ha un aspetto stanco, dottor Hoskins.
- - Davvero, signorina Fellowes? Allora dovrò esercitarmi ad assumere un'aria un
- po' più vitale.
- - Penso che il lavoro a Stasis sia parecchio e che la occupi molto.
- Hoskins alzò le spalle. - Pensa nel modo giusto. Stasis è composto di animali,
- vegetali e minerali in parti uguali, signorina Fellowes. Ma, da ciò che mi
- dice, penso che lei non abbia mai visto le nostre dimostrazioni.
- - A dire il vero, no, e non perché non mi interessino. È solo che sono stata
- così occupata...
- - Bene, ma in questo momento non lo è - disse con decisione impulsiva. - La
- chiamerò domani alle undici e le farò fare personalmente un giro. Che ne dice?
- La signorina Fellowes sorrise con gioia. - Mi piacerebbe molto.
- Hoskins annuì, sorridendo a sua volta, e se ne andò. Per il resto del giorno,
- la signorina Fellowes canticchiò in sordina.
- Davvero, pensarlo era così ridicolo, certo, ma, proprio così, era come... era
- come segnare una data importante sul calendario.
- Il giorno seguente, Hoskins era perfettamente in orario, sorridente e di
- aspetto piacevole. La signorina Fellowes aveva rimpiazzato l'uniforme da
- infermiera con un abito sì dal taglio severo, ma erano anni che non si sentiva
- così femminile.
- Lui le fece i complimenti per l'abbigliamento con composta formalità e lei li
- accettò con altrettanta grazia formale. Era davvero un preludio perfetto,
- pensò. E subito dopo: preludio a cosa?
- Scacciò quell'idea affrettandosi a salutare Timmie e assicurandolo che sarebbe
- tornata presto. Si accertò che sapesse ogni cosa su dove si trovasse il pranzo
- e in che cosa consistesse.
- Hoskins la portò nell'ala nuova della costruzione, nella quale fino ad allora
- la signorina Fellowes non aveva ancora messo piede. Aveva ancora un odore di
- nuovo e i rumori dei lavori, uditi in lontananza, erano sufficienti a indicare
- che Stasis sarebbe stato ulteriormente ampliato.
- - Animale, vegetale e minerale - disse Hoskins, come aveva fatto il giorno
- prima. - Il reparto animale è proprio qui; la nostra esibizione più
- spettacolare.
- Lo spazio era suddiviso in molti vani, ognuno rappresentante una bolla di
- Stasis. Hoskins la condusse davanti allo schermo di uno di essi e la signorina
- Fellowes guardò. Ciò che vide per primo le rimase impresso nella memoria come
- un essere che assomiglia a un pollo tutto a squame e con la coda. Zampettando
- su due gambette esili, correva da una parte all'altra con la testa delicata
- come quella di un uccellino, sormontata da una carenatura ossea simile alla
- cresta di un gallo, e guardava a destra e a sinistra. Le zampe con cui
- terminavano le piccole membra anteriori si serravano e si disserravano in
- continuazione.
- Hoskins disse: - È il nostro dinosauro. È da mesi che lo abbiamo. Non so
- quando saremo in grado di lasciarlo andare.
- - Dinosauro?
- - Si aspettava un gigante?
- Le apparvero delle fossette sulle guance. - Così si è spinti a pensare, direi.
- Sono al corrente del fatto che alcuni di essi erano di piccola taglia.
- - Un esemplare di piccole dimensioni è tutto ciò che ci interessa mi creda.
- Generalmente, questo campione è sottoposto a indagini, ma questo sembra essere
- un momento carico di frutti. Sono state scoperte alcune cose interessanti. Per
- esempio, non è interamente animale a sangue freddo. Ha un metodo non
- perfezionato di mantenere la temperatura interna a un grado più elevato
- rispetto a quella dell'ambiente che lo circonda. Sfortunatamente, è un
- maschio. Fin da quando lo abbiamo portato qui, abbiamo cercato di localizzare
- un altro esemplare femmina, ma non abbiamo ancora avuto questa fortuna.
- - Perché femmina?
- Hoskins la guardò con fare canzonatorio. - In modo da poter avere una
- possibilità favorevole di ottenere delle uova fertili e, di conseguenza, dei
- piccoli di dinosauro.
- - Capisco.
- La condusse alla sezione dei trilobiti. - Quello è il professor Dwayne
- dell'Università di Washington - disse. - È un chimico nucleare. Se la memoria
- non mi inganna, sta trasferendo una proporzione di isotopi nell'ossigeno
- dell'acqua.
- Perché?
- - È acqua primordiale, vecchia di almeno mezzo miliardo di anni. La
- proporzione di isotopi nell'acqua fornisce dati sulla temperatura degli oceani
- a quell'epoca. Si dà il caso che lui, personalmente, ignori i trilobiti, ma
- altri ricercatori si occupano principalmente di analizzarli minuziosamente.
- Sono fortunati, perché tutto ciò di cui hanno bisogno sono bisturi e
- microscopi. Dwayne è obbligato a installare uno spettrografo di massa ogni
- volta che deve condurre un esperimento.
- - Per quale motivo? Non può...
- - No, non può. Non può portar fuori nulla dalla stanza, per quanto sia
- indispensabile.
- Nel locale c'erano anche campioni di piante primordiali e frammenti di
- formazioni rocciose. La parte vegetale e minerale. E ogni esemplare aveva il
- proprio ricercatore. Era una specie di museo; un museo vivente, che fungeva da
- centro iperattivo di ricerca.
- - E lei, dottor Hoskins, deve sovrintendere a tutto questo?
- - Solo in modo indiretto, signorina Fellowes. Grazie a Dio, ho tanti
- subalterni. Il mio interesse personale riguarda interamente gli aspetti
- teoretici della questione: la natura del Tempo, la tecnica dell'investigazione
- intertemporale mesonica e così via. Scambierei volentieri tutto ciò con un
- metodo che permettesse di individuare, temporalmente parlando, oggetti più
- prossimi a noi invece che di diecimila anni fa. Se potessimo attingere dalle
- epoche storiche...
- Fu interrotto dall'agitazione creatasi in una delle cabine più distanti; una
- voce acuta si sollevò con tono piagnucoloso. Hoskins si accigliò, mormorò in
- fretta: - Mi scusi - e si affrettò a dirigersi verso il luogo dell'accaduto.
- La signorina Fellowes lo seguì come meglio poté, senza propriamente correre.
- Un uomo anziano, con una barbetta rada e rosso in viso, stava dicendo: - Devo
- completare aspetti vitali della mia ricerca. Non lo capite questo?
- Un tecnico con una divisa da laboratorio su cui era ricamato il monogramma SS
- (che stava per Stasis S.p.a) esclamò: - Dottor Hoskins, all'inizio era stato
- stabilito con il professor Adamewski che il campione poteva restare qui solo
- due settimane.
- - Allora non potevo sapere quanto tempo ci sarebbe voluto per le mie ricerche.
- Non sono un profeta - replicò Adamewski scaldandosi.
- Il dottor Hoskins intervenne. - Cerchi di capire, professore, abbiamo un tempo
- limitato; dobbiamo far ruotare i campioni Quel pezzo di calcopirite doveva
- essere rispedito; ci sono altre persone che stanno aspettando di ricevere
- l'esemplare successivo.
- - Perché allora non posso analizzarlo per conto mio? Lasciatemelo portare
- fuori di qui.
- - Sa che non è possibile.
- - Un pezzo di calcopirite, un miserabile pezzo da cinque chilogrammi? Perché
- no?
- - Non possiamo permetterci un tale dispendio in termini di energia - rispose
- bruscamente Hoskins. - Lo sa bene.
- Il tecnico lo interruppe. - Il punto è, dottor Hoskins, che ha cercato di
- portare via la roccia contravvenendo alle norme, e per poco non ho
- depressurizzato Stasis mentre lui era dentro, dato che non sapevo che si
- trovasse lì.
- Seguì un breve silenzio e il dottor Hoskins si rivolse al ricercatore con
- fredda formalità. - È così, professore?
- Il professor Adamewski tossì. - Non ci vedevo niente di male.
- Hoskins raggiunse una manopola, posta fuori dalla stanza che conteneva il
- campione in questione. La tirò.
- La signorina Fellowes, che aveva sbirciato all'interno, cercando di vedere il
- campione di roccia del tutto indistinguibile che aveva causato la disputa,
- trattenne bruscamente il respiro mentre il minerale scomparve. La stanza era
- vuota.
- Hoskins esclamò: - Professore, il suo permesso in qualità di ricercatore a
- Stasis sarà permanentemente invalidato. Sono spiacente.
- - Ma, aspetti...
- - Mi spiace. Lei ha violato una delle regole più rigorose.
- - Mi appellerò all'Associazione Internazionale.
- - Si appelli dove vuole. In casi simili, scoprirà che la mia autorità non può
- essere annullata.
- Gli voltò le spalle deliberatamente, lasciando che il professore continuasse a
- protestare, e disse rivolto alla signorina Fellowes (con il viso ancora bianco
- di rabbia): - Le andrebbe di pranzare con me signorina Fellowes?
- La portò nella saletta della tavola calda riservata alla direzione. Salutò
- altre persone e presentò loro la signorina Fellowes con molta disinvoltura,
- sebbene lei stessa si sentisse acutamente consapevole della propria posizione.
- Cosa penseranno di me?, si chiese, e cercò disperatamente di assumere un'aria
- da donna d'affari.
- Chiese: - Ha spesso questo genere di fastidi, dottor Hoskins? Intendo dire,
- come la discussione che ha appena avuto con il professore? - prese la
- forchetta e iniziò a mangiare.
- - No - rispose Hoskins in tono forzato. - Questa è stata la prima volta.
- Certo, devo sempre discutere con qualcuno per la rimozione dei campioni, ma
- questa è la prima volta che qualcuno ha realmente cercato di farlo.
- - Ricordo che una volta lei ha parlato dell'energia che un simile atto
- consumerebbe.
- - Sì, è vero. Certo, abbiamo cercato di tenerne conto. Possono sempre capitare
- degli incidenti, così ci siamo procurati delle fonti speciali di energia
- designate per sostenere il consumo provocato da un'eliminazione accidentale da
- Stasis, ma ciò non significa che vogliamo vedere la riserva energetica di un
- anno spazzata via in mezzo secondo, o che ce lo possiamo permettere senza che
- i nostri piani di espansione vengano ritardati per anni. Inoltre, si immagini
- il professore, nella stanza, mentre Stasis stava per essere depressurizzato.
- - Che cosa gli sarebbe successo se fosse accaduto?
- - Be', l'abbiamo sperimentato solo con oggetti inanimati e con alcune cavie e
- sono scomparsi. Presumibilmente, hanno viaggiato a ritroso nel tempo;
- trasportati, per così dire, dalla trazione esercitata dall'oggetto che
- simultaneamente tornava al periodo di tempo da cui proveniva. Per questo
- motivo, dobbiamo ancorare gli oggetti all'interno di Stasis e non vogliamo che
- siano spostati; inoltre, la procedura è complicata. Il professore, non essendo
- ancorato, nel momento in cui abbiamo fatto volatilizzare il minerale, sarebbe
- tornato al Pliocene... più, naturalmente, le due settimane in cui è ritornato
- qui nel presente.
- - Sarebbe stato spaventoso.
- - Non per il professore, glielo assicuro. Se fosse stato abbastanza pazzo da
- fare ciò che pensava, gli sarebbe stato bene. Ma si immagini l'effetto che
- questa faccenda avrebbe avuto sul pubblico se fosse venuta alla luce. Tutti
- avrebbero voluto essere consapevoli dei rischi che corrono e, con ciò, i fondi
- avrebbero potuto essere soppressi. - Schioccò le dita e giocherellò con il
- cibo, imbronciato.
- La signorina Fellowes chiese: - Non sarebbe potuto tornare indietro? Nello
- stesso modo in cui avete portato la prima volta il minerale?
- - No, dal momento che una volta che l'oggetto ha fatto ritorno, la
- localizzazione originaria viene smarrita, a meno che non si pianifichi
- deliberatamente di trattenerla e, in questo caso, non ci sarebbe stato motivo
- per farlo. Non c'è mai motivo per farlo. Ritrovare il professore, avrebbe
- significato ristabilire una localizzazione precisa e ciò sarebbe stato come
- gettare una rete nell'abisso degli oceani con lo scopo di raccogliere un
- particolare pesce. Dio mio, quando penso alle precauzioni che prendiamo per
- prevenire incidenti simili, divento pazzo. Ogni singola unità di Stasis
- possiede il proprio dispositivo di depressurizzazione: siamo obbligati a
- farlo, dal momento che ogni unità ha la propria localizzazione separata e deve
- essere depressurizzabile in modo indipendente. Nonostante ciò, il fatto è che
- nessuno dei dispositivi di depressurizzazione viene mai attivato fino
- all'ultimo minuto. Quindi, ne abbiamo deliberatamente reso impossibile
- l'attivazione, se non tirando una cordicella, predisposta con molta cautela al
- di fuori dell'unità Stasis. Si tratta di un volgare movimento meccanico che
- richiede un grande sforzo fisico, non qualcosa che si possa fare
- accindentalmente.
- La signorina Fellowes esclamò: - Ma una cosa simile, il fatto di muovere
- qualcosa fuori e dentro il Tempo, non significa cambiare la storia?
- Hoskins si strinse nelle spalle. - Da un punto di vista teorico, si; in
- realtà, tranne in casi eccezionali, no. Spostiamo oggetti fuori da Stasis in
- continuazione. Molecole d'aria. Batteri. Polvere. Circa il dieci per cento del
- nostro consumo energetico è destinato a microperdite di questo genere. Ma
- persino spostare nel Tempo oggetti di una certa grandezza implica cambiamenti
- che poi si estinguono. Prenda, per esempio, quella calcopirite del Pliocene. A
- causa della sua assenza per due settimane, qualche insetto non vi ha trovato
- riparo ed è morto. Ciò potrebbe avere avviato un'intera serie di mutamenti; i
- calcoli matematici di Stasis indicano che si tratta di una serie convergente.
- La somma dei cambiamenti diminuisce in rapporto al tempo e, alla fine, le cose
- rimangono come prima.
- - Intende dire che la realtà finisce per sanarsi da sé?
- - In un certo senso. Sottragga un essere umano da un'epoca temporale o ne
- rispedisca uno indietro e provocherà una perdita più grande. Se l'individuo è
- un tipo comune, questo strappo si sana da sé. Naturalmente ci sono moltissime
- persone che ci scrivono ogni giorno e che vorrebbero farci portare nel
- presente Abraham Lincoln o Maometto o Lenin. Ma, naturalmente, una cosa simile
- non può essere fatta. Anche se riuscissimo a trovarli, il cambiamento nella
- realtà, spostando una delle matrici della storia, sarebbe troppo grande per
- poter essere sanato. Esistono dei modi per calcolare quando un cambiamento
- potrebbe provocare troppi sconvolgimenti e, quindi, evitiamo persino di
- avvicinarci a quel limite.
- La signorina Fellowes disse: - Allora, Timmie...
- - No, non presenta problemi in questo senso. La realtà è salva. Ma... - le
- lanciò un'occhiata penetrante, poi proseguì - ma non si preoccupi. Ieri mi ha
- detto che Timmie aveva bisogno di compagnia.
- - Sì. - La signorina Fellowes espresse il proprio compiacimento con un
- sorriso. - Pensavo che non ci avesse fatto assolutamente caso.
- - Certo che si. Sono affezionato al piccolo. Apprezzo i sentimenti che ha per
- lui e la cosa mi ha interessato fino al punto di volerle dare delle
- spiegazioni. Ora l'ho fatto; lei ha visto ciò che facciamo; si è fatta un'idea
- delle difficoltà implicate; dunque capisce il motivo per cui, pur con tutta la
- più buona volontà, non possiamo dare a Timmie la compagnia di cui ha bisogno.
- - Non può? - chiese la signorina Fellowes, con improvvisa costernazione.
- - Ma gliel'ho appena spiegato. È assolutamente impossibile aspettarsi di
- trovare un altro esemplare di Neanderthal della sua età senza un'incredibile
- fortuna e, se ci riuscissimo, non sarebbe auspicabile moltiplicare i rischi,
- alloggiando in Stasis un altro essere umano.
- La signorina Fellowes appoggiò il cucchiaio e disse concitatamente: - Ma,
- dottor Hoskins, non è affatto ciò che intendo. Non voglio che lei porti nel
- presente un altro neanderthaliano. So che è impossibile. Ma non è certo
- impossibile portare un altro bambino qui e farlo giocare con Timmie.
- Hoskins la fissò con inquietudine. - Un bambino umano?
- - Un altro bambino - replicò la signorina Fellowes, ora completamente ostile.
- - Timmie è un essere umano.
- - Non mi ero mai sognato di pensare una cosa simile.
- - Perché no? Perché non dovrebbe poterlo fare? Cosa c'è che non va? Ha
- strappato quel bambino dal Tempo e ne ha fatto un eterno prigioniero. Non gli
- deve qualcosa? Dottor Hoskins, se esiste un uomo al mondo che sia il padre di
- quel bambino in tutti i sensi tranne quello biologico, quell'uomo è lei.
- Perché non potrebbe fare questa piccola cosa per lui?
- Hoskins esclamò: - Suo padre? - Si alzò in piedi, con un equilibrio piuttosto
- precario. - Signorina Fellowes, penso che ora la riporterò indietro, se non le
- spiace.
- Tornarono alla casa delle bambole in un silenzio totale che nessuno dei due
- ruppe.
- Trascorse molto tempo prima che la signorina Fellowes vedesse Hoskins di
- nuovo, se non per qualche occhiata occasionale quando passava. A volte lei se
- ne dispiaceva; poi, in altri momenti, quando Timmie era triste più del solito
- o quando passava ore e ore in silenzio alla finestra con dinanzi a sé la
- prospettiva di poco più del nulla pensava con fierezza: Stupido uomo.
- Ogni giorno il linguaggio di Timmie migliorava e si faceva più preciso. Non
- aveva mai perso del tutto quel suo lieve difetto di mangiarsi le parole, che
- la signorina Fellowes trovava peraltro accattivante. In momenti di grande
- eccitazione, tornava a far schioccare la lingua, ma quelle occasioni
- diventavano sempre più rare. Stava dimenticando i giorni precedenti al suo
- arrivo nel presente, tranne che nei sogni.
- Man mano che cresceva, i fisiologi si interessarono meno a lui, e gli
- psicologi ancora meno. (La signorina Fellowes non sapeva decidere se la nuova
- équipe riscuotesse ancora meno simpatie da parte sua della prima.) Non c'erano
- più aghi, non più iniezioni né prelievi di liquidi, non più diete speciali. Ma
- ora Timmie doveva superare delle barriere per raggiungere cibi e bevande.
- Doveva sollevare dei pannelli, spostare delle sbarre, allungarsi per tirare
- delle corde. Tuttavia, le deboli scosse elettriche che prendeva lo facevano
- piangere e facevano impazzire la signorina Fellowes.
- Non voleva far ricorso a Hoskins; non voleva essere obbligata a cercarlo;
- perché ogni volta che pensava a lui, le veniva in mente il suo viso quella
- volta, al tavolo del ristorante. Le si inumidivano gli occhi e pensava:
- Stupido, stupido uomo.
- Poi, un giorno, la voce di Hoskins risuonò inaspettatamente nella casa delle
- bambole. - Signorina Fellowes.
- Uscì con fare riservato e freddo, lisciandosi l'uniforme da infermiera, poi si
- fermò sorpresa, trovandosi davanti una donna pallida e magra, di media
- altezza. I capelli biondi e la carnagione chiara le davano un aspetto di
- fragilità. Dietro di lei, aggrappato alla sua gonna, c'era un bambino di
- quattro anni, dalla faccia tonda e con due grandi occhi.
- Hoskins disse: - Cara, questa è la signorina Fellowes, l'infermiera a cui è
- stato affidato il bambino. Signorina Fellowes, le presento mia moglie.
- (Quella era sua moglie? Non era come se l'era immaginata la signorina
- Fellowes. Ma del resto, perché no? Un uomo come Hoskins aveva scelto una
- cosuccia debole per fargli da contrasto. Se quello era ciò che voleva...)
- Si sforzò di salutare con formale cortesia. - Buongiorno, signora Hoskins. E
- quello è... questo è il suo bambino?
- (Quella sì che era una sorpresa. Aveva pensato a Hoskins come a un marito, ma
- non come a un padre, tranne, naturalmente... All'improvviso colse lo sguardo
- severo di lui e arrossì.)
- Hoskins disse: - Sì, questo è mio figlio Jerry. Jerry, di' ciao alla signorina
- Fellowes.
- (Aveva forse sottolineato impercettibilmente la parola "questo"? Stava dicendo
- che quello era suo figlio e non...)
- Jerry si nascose un poco tra le pieghe della gonna materna e balbettò il suo
- ciao. Gli occhi della signora Hoskins tentavano di scorgere oltre le spalle
- della signorina Fellowes, sbirciavano nella stanza, cercavano qualcuno.
- Hoskins disse: - Bene, entriamo. Vieni, cara. Avvertirai un piccolo disagio
- oltrepassando la soglia, ma ti passerà subito.
- La signorina Fellowes chiese: - Vuole che entri anche Jerry?
- - Naturalmente. Sarà il compagno di giochi di Timmie. Mi ha detto lei che
- Timmie aveva bisogno di qualcuno con cui giocare. O se n'è dimenticata?
- - Ma... - Lo guardò con stupore e sorpresa immensi. - Suo figlio?
- Hoskins replicò, stizzito: - Be', il figlio di chi, altrimenti? Non è quello
- che voleva? Su, forza, vieni caro.
- La signora Hoskins prese Jerry in braccio con uno sforzo notevole e, esitante,
- oltrepassò la soglia. A quel movimento, Jerry si agitò, non gradendo la
- sensazione che provò.
- La signora Hoskins chiese con un filo di voce: - È qui la creatura? Non la
- vedo.
- La signorina Fellowes chiamò: - Timmie. Vieni fuori.
- Timmie sbirciò tutt'intorno alla porta, fissando in alto il bambino che era
- venuto a fargli visita. I muscoli delle braccia della signora Hoskins si
- contrassero visibilmente.
- Disse al marito: - Gerald, sei sicuro che non sia pericoloso?
- La signorina Fellowes esclamò subito: - Se intende dire che Timmie è
- pericoloso, diamine, certo che no. È un bambino gentile.
- - Ma è un sel... selvaggio.
- (L'effetto delle storie del bambino-scimmia sui giornali!) La signorina
- Fellowes disse con enfasi: - Non è un selvaggio. È altrettanto tranquillo e
- ragionevole quanto ci si può aspettare da un bambino di cinque anni e mezzo. È
- stato molto generoso da parte sua, signora Hoskins, accettare di permettere a
- suo figlio di giocare con Timmie, ma la prego, non abbia timori in proposito.
- La signora Hoskins cercò di moderare la propria ostilità. - Non sono sicura di
- essere d'accordo.
- - Ne abbiamo già discusso, cara - intervenne Hoskins. - Non litighiamo di
- nuovo per questa faccenda. Metti giù Jerry.
- La signora Hoskins lo depose a terra e il bambino tornò verso di lei, fissando
- gli occhi che lo guardavano nell'altra stanza.
- - Vieni qui, Timmie - ripeté la signorina Fellowes. - Non avere paura.
- Lentamente, Timmie giunse nell'altra stanza. Hoskins si chinò per staccare le
- dita di Jerry dalla gonna della madre. - Togliti, cara. Dai ai bambini una
- possibilità.
- I due piccoli si trovarono faccia a faccia. Sebbene fosse il più giovane,
- Jerry era più alto di qualche millimetro e dinanzi alla sua corporatura
- diritta e alla sua testa ben proporzionata che teneva eretta, gli aspetti
- grotteschi di Timmie saltarono subito all'occhio, come era accaduto ai primi
- giorni.
- Le labbra della signorina Fellowes tremarono.
- Fu il piccolo neanderthaliano a parlare per primo, con una vocetta acuta da
- bambino. - Come ti chiami? - E Timmie sporse in avanti il viso, come per
- ispezionare più da vicino le fattezze dell'altro.
- Spaventato, Jerry rispose con un vigoroso spintone che fece ruzzolare Timmie.
- Tutt'e due iniziarono a piangere a squarciagola e la signora Hoskins sgridò
- suo figlio, mentre la signorina Fellowes, rossa per la rabbia che doveva
- reprimere, prese in braccio Timmie e lo consolò.
- La signora Hoskins disse: - Significa proprio che istintivamente non si
- piacciono.
- - Non certo più istintivamente - disse stancamente suo marito - di qualsiasi
- altri due bambini che non si piacciono. Adesso metti giù Jerry e lascia che si
- abitui alla situazione. Infatti, credo che faremo meglio ad andarcene. La
- signorina Fellowes può portare Jerry nel mio ufficio tra un po' e io lo
- porterò a casa.
- I due bambini trascorsero l'ora seguente estremamente consapevoli della
- reciproca presenza. Jerry piangeva e gridava che voleva sua madre, colpì con
- forza la signorina Fellowes e, alla fine, si lasciò consolare con un
- lecca-lecca. Timmie ne succhiò un altro, e quando l'ora fu passata, la
- signorina Fellowes riuscì a farli giocare con gli stessi cubi, anche se ognuno
- dalla parte opposta della stanza.
- Quando riportò Jerry a suo padre, la signorina Fellowes scoprì di essere grata
- a Hoskins in modo quasi sentimentale.
- Cercò il modo di ringraziarlo, ma la stessa formalità di lui dimostrò un secco
- rifiuto. Forse non poteva perdonarla per averlo fatto sentire un padre
- crudele. Forse il fatto che avesse portato proprio suo figlio era un
- tentativo, dopo tutto, di dimostrarsi un buon padre per Timmie e,
- contemporaneamente, di non essere affatto suo padre. Entrambe le cose allo
- stesso tempo!
- Così, tutto quello che riuscì a dire fu: - Grazie. La ringrazio molto.
- E tutto quello che Hoskins riuscì a rispondere fu: - Di nulla. Non lo dica
- neppure.
- Divenne una routine sistematica. Due volte alla settimana, Jerry veniva
- portato nella casa delle bambole per giocare un'ora con Timmie; più tardi, il
- tempo venne esteso a due ore di gioco. I bambini impararono i reciproci nomi e
- comportamenti e cominciarono a giocare insieme.
- Eppure, dopo il primo impeto di gratitudine, la signorina Fellowes scoprì di
- non gradire Jerry. Era più grande e più grosso e dominava in tutte le cose,
- obbligando Timmie ad assumere un ruolo totalmente secondario. L'unica cosa che
- la riconciliava a quella situazione era il fatto che, nonostante le
- difficoltà, Timmie guardava con entusiasmo sempre crescente agli incontri
- periodici con il suo compagno di giochi.
- Era tutto ciò che aveva, si addolorava tra sé e sé la signorina Fellowes.
- E una volta, intanto che li guardava, pensò: Ecco i due figli di Hoskins, uno
- di sua moglie e l'altro di Stasis.
- Mentre lei...
- Cielo, pensò, portandosi le mani alle tempie e provando una forte vergogna:
- Sono gelosa!
- - Signorina Fellowes! - disse Timmie (per precauzione, non gli aveva mai
- permesso di chiamarla in altro modo). - Quando andrò a scuola?
- Guardò quegli occhi scuri bramosi rivolti verso i suoi e gli passò dolcemente
- la mano tra i ricci capelli ispidi. Erano la parte più in disordine del suo
- aspetto, dato che glieli tagliava lei stessa mentre Timmie rimaneva seduto
- agitandosi sotto le forbici. Non si era rivolta a parrucchieri di professione,
- perché quel taglio così grossolano serviva a mascherare la parte anteriore
- rientrante del cranio e la parte posteriore rigonfia.
- La signorina Fellowes chiese: - Dove hai sentito parlare di scuola?
- - Jerry va a scuola. A-si-lo - disse, sillabando con molta attenzione. - Lui
- va in molti posti. Fuori. Quando posso andare fuori, signorina Fellowes?
- Il cuore della signorina Fellowes fu centrato in pieno da una piccola fitta di
- dolore. Naturalmente, lo capiva, non ci sarebbe stato modo di impedire
- l'inevitabilità del fatto che Timmie udisse sempre più notizie sul mondo
- esterno, un mondo che non avrebbe mai potuto conoscere.
- Chiese, sforzandosi di sembrare gioiosa: - Cielo, e cosa faresti in un asilo,
- Timmie?
- - Jerry dice che fanno dei giochi, hanno dei filmini. Dice che ci sono tanti
- bambini. Dice... dice... - ci pensò su, poi alzò in modo trionfante entrambe
- le manine con le dita storte. - Dice che ce ne sono tanti così.
- La signorina Fellowes chiese: - Ti piacerebbero dei filmini? Posso portarteli.
- Filmini molto belli. E anche cassette con la musica.
- Così, Timmie fu temporaneamente consolato.
- Durante l'assenza di Jerry, Timmie studiava attentamente i filmini e per
- qualche ora la signorina Fellowes gli leggeva dei brani tratti da libri
- qualsiasi.
- Cerano così tante cose da spiegare persino nella storia più semplice, così
- tante cose oltre la prospettiva di quelle sue tre stanze. Timmie riprese ad
- avere più spesso i suoi incubi, ora che qualcuno gli aveva parlato del mondo
- esterno.
- Erano sempre gli stessi sogni, sul mondo di fuori. Cercava di descriverli alla
- signorina Fellowes, incapace di esprimersi con scioltezza. Nei sogni si
- trovava all'aperto, in uno spazio vuoto, ma immenso, con dei bambini e strani,
- indescrivibili oggetti non del tutto identificati nella sua mente, provenienti
- dalle descrizioni dei libri, o da remoti ricordi neanderthaliani.
- Tuttavia i bambini e gli oggetti lo ignoravano e sebbene fosse nel mondo, non
- ne faceva mai parte, era solo come se fosse stato nella sua stanza, e si
- svegliava piangendo.
- La signorina Fellowes cercava di sdrammatizzare, ridendo di quei i sogni, ma
- certe notti, nel suo appartamento privato, anche lei piangeva.
- Un giorno, mentre la signorina Fellowes leggeva, Timmie le mise una mano sotto
- il mento e la alzò con gentilezza in modo che i suoi occhi lasciassero il
- libro e incontrassero i suoi.
- Le chiese: - Signorina Fellowes, come fa a sapere cosa dire?
- Lei rispose: - Vedi questi segni? Sono loro che mi dicono cosa pronunciare.
- Questi segni contengono le parole.
- Timmie fissò a lungo le lettere, incuriosito, togliendole il libro di mano. -
- Alcuni di questi segni si ripetono.
- La signorina Fellowes rise di gusto a questa dimostrazione di perspicacia e
- disse: - È vero. Vuoi che ti insegni come si fanno questi segni?
- - Va bene. Sarà un bel gioco?
- Prima di allora, non aveva pensato che Timmie avrebbe potuto imparare a
- leggere. Fino al momento in cui fu lui a leggerle un libro, non pensò che
- potesse imparare a leggere.
- Poi, settimane più tardi, l'enormità di ciò che era stato fatto la colpì.
- Timmie le stava seduto in braccio, seguiva parola per parola le lettere
- stampate in un libro per bambini e gliele leggeva. Stava leggendo!
- Faticando ad alzarsi in piedi, in preda allo stupore, la signorina Fellowes
- disse: - Ascolta, Timmie, tornerò presto. Vado a trovare il dottor Hoskins.
- Eccitata quasi alla frenesia, le sembrò che avrebbe potuto avere una risposta
- all'infelicità di Timmie. Se Timmie non poteva uscire ed entrare nel mondo, il
- mondo doveva essere fatto entrare in quelle tre stanze per lui, il mondo
- intero sotto forma di libri, film, suoni. Timmie doveva essere educato,
- potenziando al massimo le sue capacità. A tal punto il mondo gli era debitore.
- Trovò Hoskins di un umore stranamente simile al suo; una specie di trionfo, di
- gloria. I suoi uffici erano insolitamente affollati e, per un momento, pensò
- che non sarebbe riuscita a vederlo, mentre se ne stava in piedi, imbarazzata e
- confusa, nel corridoio.
- Tuttavia, Hoskins la vide e il suo grande viso si allargò in un sorriso -
- Venga, signorina Fellowes.
- Si affrettò a parlare al citofono, poi lo chiuse. - Ha sentito... No, certo,
- come poteva? Ce l'abbiamo fatta. Ce l'abbiamo fatta davvero. Siamo vicinissimi
- a impadronirci dell'investigazione intertemporale.
- - Intende dire - per un momento cercò di distogliere il pensiero dalle buone
- notizie che era venuta a comunicargli - che è in grado di portare nel presente
- una persona appartenente a tempi storici recenti?
- - È proprio quello che volevo dire. Proprio ora abbiamo localizzato un
- individuo del quattordicesimo secolo. Si immagini. Immagini! Se solo riuscisse
- a capire come sarò felice di smettere di concentrarmi solo ed esclusivamente
- sul periodo Mesozoico e di sostituire gli storici ai paleontologi... Ma
- sbaglio, o c'è qualcosa che vorrebbe dirmi? Bene, mi dica. Mi trova di buon
- umore. Potrà avere tutto ciò che vorrà.
- La signorina Fellowes sorrise. - Ne sono felice. Perché mi chiedevo se fosse
- possibile organizzare un sistema di istruzione per Timmie.
- - Istruzione? In cosa?
- - Be', in tutto. Una scuola. In modo che possa imparare.
- - Ma è in grado di apprendere?
- - Lo sta già facendo. Riesce a leggere. Per buona parte gliel'ho insegnato io.
- Hoskins rimase seduto, con un'aria improvvisamente depressa.
- - Non so, signorina Fellowes.
- - Ha appena detto che potevo avere tutto quello che...
- - Lo so, non avrei dovuto esprimermi in quel modo. Capisce, signorina
- Fellowes, sono sicuro che lei deve rendersi conto che non possiamo mandare
- avanti in eterno l'esperimento che riguarda Timmie.
- Lei lo fissò, presa da orrore istantaneo, senza aver realmente capito ciò che
- le aveva detto. Cosa intendeva dire con "non possiamo andare avanti"? Con un
- doloroso lampo di memoria, si ricordò del professor Adamewski e del suo
- campione di minerale, che gli era stato portato via dopo due settimane.
- Esclamò: - Ma lei sta parlando di un bambino. Non di un minerale.
- Il dottor Hoskins rispose, a disagio: - Neanche a un bambino deve essere data
- eccessiva importanza, signorina Fellowes. Ora che siamo in attesa di individui
- provenienti dalla storia recente, avremo bisogno di spazio all'interno di
- Stasis, tutto lo spazio di cui possiamo disporre.
- La signorina Fellowes non afferrò la frase. - Ma lei non può. Timmie...
- Timmie...
- - Insomma, signorina Fellowes, la prego, non sia così sconvolta. Timmie non
- deve andarsene proprio in questo momento, forse neppure tra mesi. Nel
- frattempo, faremo ciò che possiamo.
- La signorina continuava a fissarlo.
- - Lasci che le procuri qualcosa, signorina Fellowes.
- - No - sussurrò lei. - Non ho bisogno di niente. Si alzò come in preda a un
- incubo e se ne andò.
- Timmie, pensò, non morirai. Non devi morire.
- Era sicuramente un'ottima cosa attaccarsi con ansia al pensiero che Timmie non
- dovesse morire, ma come fare a impedirlo? Durante le prime settimane, la
- signorina Fellowes si aggrappò solo alla speranza che il tentativo di portare
- nel presente un uomo del quattordicesimo secolo sarebbe completamente fallito.
- Le teorie di Hoskins potevano rivelarsi errate o il metterle in pratica poteva
- risultare fallimentare. Allora le cose sarebbero andate avanti come prima.
- Certo, quello non era ciò che sperava il resto del mondo e, irrazionalmente,
- la signorina Fellowes odiava il mondo per ciò. Il "Progetto Medioevo"
- raggiunse il culmine di una pubblicità incandescente. La stampa e il pubblico
- avevano ardentemente desiderato una cosa simile. A Stasis, per molto tempo
- fino ad allora, era mancato un fatto sensazionale di quella portata,
- necessario al suo prestigio. Un nuovo minerale o un fossile non sollevavano
- alcuna eccitazione. Ma questo era ciò che tutti aspettavano.
- Un uomo della storia, un adulto che parlava un linguaggio conosciuto; qualcuno
- che poteva aprire agli studiosi una nuova pagina della storia.
- L'ora zero si stava avvicinando e questa volta non si trattava di tre
- spettatori su un balconcino. Questa volta ci sarebbe stato un pubblico
- mondiale. Questa volta i tecnici di Stasis avrebbero svolto le loro funzioni
- davanti a quasi tutta l'umanità.
- La stessa signorina Fellowes attendeva con estrema impazienza. Quando arrivò
- il giovane Jerry Hoskins all'orario stabilito per giocare con Timmie, lo
- riconobbe appena. Non era la persona che stava aspettando.
- (La segretaria che glielo aveva portato se ne andò in fretta e furia dopo che
- la signorina Fellowes si limitò a farle un cenno d'assenso con il capo. Stava
- correndo trafelata per cercare di trovare un buon posto dal quale guardare
- l'esito finale del Progetto Medioevo. E così doveva fare la signorina Fellowes
- con ragioni molto più valide, pensò amaramente, se solo quella stupida ragazza
- fosse arrivata.)
- Jerry Hoskins si avvicinò timorosamente a lei, imbarazzato. - Signorina
- Fellowes? - Tira fuori da una tasca la copia di un fumetto preso dal giornale.
- - Sì? Cosa c'è, Jerry?
- - Questo è un ritratto di Timmie?
- La signorina Fellowes lo fissò, poi gli strappò il pezzo di carta dalle mani.
- L'eccitazione per il Progetto Medioevo aveva riportato a galla un debole
- interesse da parte della stampa per Timmie.
- Jerry la scrutò intensamente, poi disse: - Dice che Timmie è un
- bambino-scimmia. Cosa vuol dire?
- La signorina Fellowes afferrò il bambino per il polso e represse l'impulso di
- malmenarlo. - Non dire mai più una cosa simile, Jerry. Mai più, capito? è una
- brutta parola e non devi usarla.
- Jerry cercò di liberarsi dalla sua presa, spaventato.
- La signorina Fellowes strappò la vignetta con un movimento rabbioso del polso.
- - Ora torna dentro e gioca con Timmie. Ha un nuovo libro da farti vedere.
- Poi, finalmente, giunse la ragazza. La signorina Fellowes non la conosceva.
- Nessuna delle solite sostitute di cui si era servita quando gli impegni la
- portavano altrove era disponibile al momento, non con il Progetto Medioevo
- giunto al culmine; tuttavia, la segretaria di Hoskins aveva promesso di
- trovarle qualcuno e questa doveva essere la ragazza in questione.
- La signorina Fellowes cercò di parlare con un tono di voce che non tradisse la
- sua irritabilità. - È lei la ragazza che è stata assegnata alla Sezione Uno di
- Stasis?
- - Sì. Mi chiamo Mandy Terris. Lei è la signorina Fellowes, vero?
- - Esatto.
- - Mi spiace, sono in ritardo. C'è una tale eccitazione...
- - Lo so. Dunque, voglio che lei...
- Mandy la interruppe. - Suppongo che andrà a vedere... - Il suo grazioso viso
- sottile privo di espressione si riempì di invidia.
- - Non la riguarda. Dunque, voglio che lei entri e faccia la conoscenza con
- Timmie e Jerry. Giocheranno fra loro per le prossime due ore, così non le
- daranno fastidio. Hanno a portata di mano latte e giocattoli in abbondanza.
- Infatti, sarebbe meglio se li lasciasse soli il più possibile. Ora le mostrerò
- dove si trovano tutte le cose di cui avrà bisogno e...
- - È Timmie il bambino-scim...
- - Timmie è il soggetto preso in esame da Stasis - tagliò corto la signorina
- Fellowes.
- - Intendo dire, è lui quello che non deve uscire, giusto?
- - Sì. È ora, entri. Non abbiamo molto tempo.
- Quando finalmente se ne andò, Mandy Terris le gridò dietro con voce stridula:
- - Spero che riesca a trovare un buon posto e, caspita, spero davvero che
- funzioni.
- La signorina Fellowes non pensò di avere la capacità di darle una risposta
- ragionevole e si affrettò senza voltarsi.
- Tuttavia, quel ritardo significò che non riuscì a trovare un buon posto. Non
- riuscì ad avvicinarsi più dello schermo posto sul muro del reparto di
- montaggio. Se ne dispiacque amaramente. Se fosse stata sul posto, se in
- qualche modo fosse potuta arrivare a qualche parte sensibile della
- strumentazione, se fosse stata in qualche modo capace di mandare a monte
- l'esperimento...
- Trovò la forza di vincere quell'eccesso di follia. La semplice distruzione non
- sarebbe servita a nulla. Avrebbero ricostruito gli strumenti e ci avrebbero
- riprovato di nuovo. E a lei non sarebbe più stato permesso di tornare da
- Timmie.
- Non c'era nulla che potesse servire. Nulla se non che l'esperimento fosse
- fallito, cioè fosse stato guastato irrimediabilmente.
- Così, aspettò che finisse il conto alla rovescia, seguendo ogni movimento
- sullo schermo gigante, scrutando le facce dei tecnici quando l'obiettivo li
- inquadrava a turno, aspettando di scorgere sui loro volti lo sguardo di
- preoccupazione e incertezza che li avrebbe segnati se qualcosa fosse
- inaspettatamente andata male; guardava, guardava...
- Non vide in nessuno uno sguardo simile. Il conto alla rovescia giunse allo
- zero e, con molta tranquillità e molta semplicità, l'esperimento ebbe
- successo!
- Nella nuova sezione di Stasis predisposta per l'esperimento, si trovava un
- contadino barbuto e dalle spalle curve di età indeterminata, vestito di cenci
- sporchi e che calzava scarpe in legno, fissando con attonito orrore
- l'improvviso e folle cambiamento che gli era piombato tra capo e collo.
- E mentre tutto il mondo esultava di giubilo, la signorina Fellowes rimase
- impietrita dal dolore, spintonata e urtata con violenza e per poco calpestata;
- circondata dal trionfo mentre piegava il capo, sconfitta.
- Quando una voce stridula chiamò dall'altoparlante il suo nome, dovette
- ripeterlo tre volte prima che se ne accorgesse.
- - Signorina Fellowes, signorina Fellowes. È desiderata immediatamente nella
- Sezione Uno di Stasis. Signorina Fellowes, signorina Fell...
- - Lasciatemi passare! - gridò senza fiato, mentre l'altoparlante continuava a
- ripetere il suo nome incessantemente. Si fece largo a forza tra la folla,
- spingendo e picchiando a sua volta a pugni serrati, colpendo ripetutamente,
- dirigendosi verso la porta con una lentezza da incubo.
- Mandy Terris era in lacrime. - Non so come sia successo. Era solo scesa alla
- fine del corridoio per vedere cosa succedeva su un minuscolo schermo che
- avevano installato. Solo per un minuto. E poi, prima che potessi muovermi o
- fare qualcosa...
- All'improvviso, la ragazza si mise a urlare, accusandola: - Lei ha detto che
- non avrebbero causato problemi; è stata lei a dirmi di lasciarli soli...
- La signorina Fellowes, scarmigliata e tremante, senza riuscire a controllarsi,
- la fissò. - Dov'è Timmie?
- Un'infermiera stava medicando col disinfettante il braccio di Jerry, che
- urlava e piangeva, e un'altra stava preparando la siringa per un'iniezione
- antitetanica. I vestiti di Jerry erano macchiati di sangue.
- - Mi ha morsicato, signorina Fellowes - gridò con rabbia Jerry. - Mi ha
- morsicato.
- Ma la signorina Fellowes non lo vedeva neppure.
- - Cos'ha fatto a Timmie? - gridò.
- - L'ho chiuso in bagno - rispose Mandy. - Ho solo gettato quel mostriciattolo
- là dentro e ho chiuso la porta a chiave.
- La signorina Fellowes corse nella casa delle bambole. Armeggiò attorno alla
- serratura della porta del bagno. Ci volle un'eternità perché si aprisse e
- perché trovasse il piccolo deforme acquattato in un angolo.
- - Non mi frusti, signorina Fellowes - sussurrò. Aveva gli occhi rossi. Le
- labbra gli tremavano. - Non volevo farlo.
- - Oh, Timmie, chi ha parlato di frustarti? - L'afferrò, stringendolo forte in
- un abbraccio.
- Timmie disse con voce tremante: - Lei l'ha detto, con una lunga corda. Quella
- signorina ha detto che lei, signorina Fellowes, mi avrebbe picchiato e
- picchiato.
- - Non sarai picchiato. È stata cattiva a dirti così. Ma cos'è successo?
- - Jerry mi ha chiamato bambino-scimmia. Ha detto che non sono un bambino vero.
- Ha detto che sono un animale. - Timmie si sciolse in un fiume di lacrime. - Ha
- detto che non avrebbe più giocato con una scimmia. Io gli ho detto che non
- sono una scimmia. Ha detto che la mia faccia lo fa ridere. Ha detto che sono
- orribilmente brutto. Continuava a dirlo e a ripeterlo e allora l'ho morsicato.
- Ora piangevano entrambi. La signorina Fellowes singhiozzava. - Ma non è vero.
- Lo sai, Timmie. Tu sei un bambino vero. Sei un bambino vero e buono, il
- migliore bambino del mondo. E nessuno, nessuno ti porterà mai via da me.
- Dopo quell'episodio, fu facile per la signorina Fellowes prendere una
- risoluzione; fu facile per lei sapere cosa fare. Soltanto, doveva essere fatto
- velocemente. Hoskins non avrebbe aspettato più a lungo, dopo che suo figlio
- era stato maltrattato.
- No, doveva farlo quella notte stessa, mentre i quattro quinti della gente del
- posto dormiva e il restante quinto era intellettualmente inebriato dal
- successo del Progetto Medioevo.
- Sarebbe stata un'ora insolita quella per tornare, ma non così inverosimile,
- dopo tutto. Il guardiano la conosceva bene e non si sarebbe sognato di farle
- delle domande. Non avrebbe pensato nulla del fatto che portasse con sé una
- valigia. Ripeté la frase generica - Giocattoli per il bambino - e sorrise
- tranquillamente.
- Perché non avrebbe dovuto crederle?
- Il guardiano ci credette. Quando fece di nuovo il suo ingresso nella casa
- delle bambole, Timmie era ancora sveglio, e la signorina Fellowes cercò di
- mantenere una disperata parvenza di normalità per evitare di spaventarlo.
- Parlò con lui dei suoi sogni e lo ascoltò quando le domandò con ansia notizie
- di Jerry.
- Più tardi, sarebbe stata vista da un numero ancora minore di persone, nessuno
- le avrebbe fatto domande sul fagotto che portava con sé. Timmie se ne sarebbe
- stato buono e poi tutto sarebbe stato un fait accompli. Sarebbe stato un dato
- di fatto e non sarebbe servito a nulla cercare di disfare ciò che era stato
- fatto. L'avrebbero lasciata vivere. Avrebbero lasciato che tutti e due
- vivessero in pace.
- Aprì la valigia, ne estrasse il cappotto, il cappellino di lana con i
- paraorecchie e tutto il resto.
- Timmie chiese, iniziando ad allarmarsi: - Perché mi sta mettendo tutti questi
- vestiti, signorina Fellowes?
- Lei rispose: - Ti porterò fuori, Timmie. Dove ci sono i tuoi sogni.
- - I miei sogni? - Sul suo visetto si dipinse un'espressione struggente, anche
- se la paura non lo abbandonava.
- - Non avere paura. Ci sarò io con te. Non avrai paura se io starò con te,
- vero, Timmie?
- - No, signorina Fellowes. - Nascose la sua piccola testa deforme contro il suo
- fianco e, sotto il braccio che lo cingeva, poteva sentire il battito del suo
- cuoricino.
- Era mezzanotte; lo prese tra le braccia. Disinserì l'allarme e aprì la porta
- senza far rumore.
- E lanciò un grido, perché dinanzi a lei, dall'altra parte della porta, c'era
- Hoskins!
- Con lui c'erano altri due uomini; lui la guardò, sorpreso quanto lei.
- La signorina Fellowes fu la prima a riaversi dopo un secondo: fece un rapido
- tentativo per superarlo, ma anche con quel secondo di ritardo, Hoskins riuscì
- ad afferrarla rudemente e a scaraventarla contro un mobile. Fece cenno agli
- uomini di entrare e si mise davanti a lei, bloccando la porta.
- - Non mi sarei mai aspettato una cosa simile. È diventata completamente matta?
- La signorina Fellowes era riuscita a frapporre una spalla, in modo che fosse
- questa, invece di Timmie, a colpire il mobile. Disse supplicando: - Che male
- faccio se lo porto con me, dottor Hoskins? Non può mettere la perdita
- d'energia davanti a una vita umana.
- Con fermezza, Hoskins le tolse Timmie dalle braccia. - Una perdita di energia
- di queste dimensioni significherebbe milioni di dollari persi per coloro che
- hanno investito dei soldi in questo progetto. Significherebbe un terribile
- scacco per Stasis. Significherebbe un'eventuale pubblicità su un'infermiera
- sentimentale che ha distrutto tutto questo per salvare un bambino-scimmia.
- - Bambino-scimmia! - esclamò la signorina Fellowes, in preda a una furia
- disperata.
- - È come l'hanno sempre chiamato i giornali - replicò Hoskins.
- Uno degli uomini ricomparve; stava agganciando una corda di nylon attraverso
- delle feritoie nella parte superiore del muro.
- La signorina Fellowes si ricordò della cordicella tirata all'esterno della
- stanza che conteneva il campione minerale del professor Adamewski tanto tempo
- prima.
- Gridò: - No!
- Ma Hoskins depose a terra Timmie e gli tolse con gentilezza il cappottino. -
- Stai qui, Timmie. Non ti succederà niente. Andiamo fuori solo per un momento.
- Va bene?
- Timmie, bianco in viso e senza parole, riuscì ad annuire.
- Hoskins condusse la signorina Fellowes fuori dalla casa delle bambole,
- tenendola davanti a sé. Per il momento, non avrebbe opposto resistenza. Triste
- e abbattuta, notò che la cordicella era stata sistemata subito fuori dalla
- casa delle bambole.
- - Mi spiace, signorina Fellowes - disse Hoskins. - Le avrei risparmiato
- volentieri tutto ciò. Avevo stabilito di farlo durante la notte in modo che
- sarebbe venuta a saperlo quando tutto fosse finito.
- Lei rispose con uno stanco sussurro: - Solo perché suo figlio è stato ferito?
- Perché ha tormentato quel piccolo fino a farsi colpire?
- - No. Mi creda. Ho appreso oggi dell'incidente e so che è stata colpa di
- Jerry. Ma questa faccenda è trapelata. Era quasi inevitabile che si venisse a
- sapere, con tutta la stampa che abbiamo intorno, in questi giorni più che
- negli altri. Non posso rischiare di ritrovarmi con una storia rimaneggiata
- sulla negligenza e il comportamento selvaggio di un esemplare di uomo di
- Neanderthal, cosiddetto, perché ero distratto dal successo del Progetto
- Medioevo. Timmie se ne sarebbe dovuto andare presto, comunque; quindi può
- andarsene benissimo ora, dando ai giornali scandalistici il minor numero di
- motivi possibili con i quali sostanziare la loro immondizia.
- - Non è come rispedire indietro un minerale. Ucciderà un essere umano.
- - Non si tratta di uccidere. Non ci sarà nulla di sensazionale. Sarà
- semplicemente un bambino di Neanderthal nel mondo della sua razza. Non sarà
- più un prigioniero o un alieno. Avrà la possibilità di vivere una vita libera.
- - Quale possibilità? Ha solo sette anni, è abituato a essere nutrito, vestito,
- riparato, a qualcuno che si prende cura di lui. Sarà solo. La sua tribù
- potrebbe non trovarsi nello stesso punto in cui li ha lasciati, ora che sono
- passati quattro anni. E se fossero ancora lì, non lo riconoscerebbero. Dovrà
- provvedere a se stesso da solo. Come farà a sapere in che modo riuscirci?
- Hoskins scosse il capo con un gesto che non lasciava speranze.
- - Mio Dio, signorina Fellowes, crede che non abbiamo pensato a questo? Pensa
- che avremmo prelevato un bambino se non fosse stato perché si trattava della
- prima localizzazione dall'esito favorevole che facevamo su un essere umano o
- un semi-umano e che non avremmo osato provare a lasciarlo dov'era, tentando di
- stabilire un'altra localizzazione? Perché crede che abbiamo tenuto Timmie così
- a lungo, se non per la riluttanza a rimandare un bambino nel passato? E solo
- che... - la sua voce assunse un tono di disperata urgenza - che non possiamo
- aspettare più a lungo. Timmie intralcia i piani di espansione di Stasis!
- Timmie è una fonte di possibile cattiva pubblicità; siamo giunti alla soglia
- di grandi cose; sono spiacente, signorina Fellowes, ma non possiamo permettere
- che Timmie ci ostacoli. Non possiamo. Non è possibile. Mi spiace, signorina
- Fellowes.
- - Se è così, allora - disse mestamente la signorina Fellowes - lasci che gli
- dica addio. Mi dia cinque minuti per dirgli addio. Mi conceda almeno questo.
- Hoskins esitò. - Vada.
- Timmie corse da lei. Per l'ultima volta corse da lei e per l'ultima volta la
- signorina Fellowes lo strinse tra le braccia.
- Per un momento, l'abbracciò come se fosse cieca. Spostò contro il muro una
- sedia con un piede, si sedette.
- - Non avere paura, Timmie.
- - Non ho paura se lei è qui, signorina Fellowes. È arrabbiato con me
- quell'uomo là fuori?
- - No. È solo che non ci capisce. Timmie, sai che cos'è una mamma?
- - Come la mamma di Jerry?
- - Ti ha parlato della sua mamma?
- - Qualche volta. Penso che forse una mamma è una signora che si prende cura di
- te e che è molto simpatica con te e che fa delle cose buone.
- - Hai ragione. Non hai mai voluto una mamma, Timmie?
- Timmie staccò la testa dal petto di lei, in modo da poterla guardare in
- faccia. Lentamente, le mise una mano sulla guancia e sui capelli e la
- accarezzò, come lei aveva fatto con lui, molto, molto tempo prima. Le chiese:
- - Non è lei, signorina Fellowes, la mia mamma?
- - Oh, Timmie...
- - È arrabbiata perché gliel'ho chiesto?
- - No, certo che no.
- - È perché so che il suo nome è signorina Fellowes, ma... ma a volte, io
- dentro di me ti chiamo "Mamma". Va bene?
- - Sì, sì. Va bene. E non ti lascerò mai, nessuno ti farà più del male. Sarò
- sempre con te, mi prenderò sempre cura di te. Chiamami mamma, così potrò
- sentirti quando mi chiamerai.
- - Mamma - esclamò Timmie contento, appoggiando la guancia contro la sua.
- La signorina Fellowes si alzò, continuando a tenerlo tra le braccia, salì in
- piedi sulla sedia. Il principio improvviso di un grido proveniente
- dall'esterno non venne udito; con la mano che non reggeva il bambino, tirò con
- violenza, con il peso di tutto il suo corpo, la cordicella sospesa tra le due
- feritoie.
- Stasis venne depressurizzato, e la stanza rimase vuota.
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