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Jun 25th, 2019
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  1. “Tradurre è il vero modo di leggere un testo” Calvino
  2.  
  3. Tra i romanzi come tra i vini, ci sono quelli che viaggiano bene e quelli che viaggiano male.
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  5. Una cosa è bere un vino nella località della sua produzione e altra cosa è berlo a migliaia dì chilometri di distanza.
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  7. Il viaggiare bene o male per i romanzi può dipendere da questioni di contenuto o da questioni di fortuna, cioè di linguaggio.
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  9. Di solito si sente dire che i romanzi italiani che gli stranieri leggono più volentieri sono quelli d’ambiente molto caratterizzato localmente, specialmente d’ambiente meridionale, e comunque dove vengono descritti luoghi che si possono visitare, e dove viene celebrata la vitalità italiana secondo l’immagine che ci se ne fa all’estero.
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  11. lo credo che questo può darsi sia stato vero ma non lo è più oggi : primo, perché un romanzo locale implica un insieme di conoscenze dettagliate che il lettore straniero non sempre può captare, e secondo perché una certa immagine dell’Italia come paese «esotico» è ormai lontana dalla realtà e dagli interessi del pubblico. Insomma, perché un libro passi le frontiere bisogna che vi siano delle ragioni di originalità e delle ragioni di universalità, cioè proprio il contrario della conferma d’immagini risapute e del particolarismo locale.
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  13. E il linguaggio ha un’importanza massima perché per tenere sveglia l’attenzione del lettore bisogna che la voce che gli parla abbia un certo tono, un certo timbro, una certa vivacità. L’opinione corrente è che si esporti meglio uno scrittore che scrive in un tono neutro, che dà meno problemi di traduzione. Ma credo che anche questa sia un’idea superficiale, perché una scrittura grigia può avere un valore solo se il senso di grigiore che trasmette ha un valore poetico, cioè se è creazione d’un grigiore molto personale, altrimenti nessuno si sente invogliato a leggere. La comunicazione si deve stabilire attraverso l’accento personale dello scrittore, e questo può avvenire anche su un livello corrente, colloquiale, non diversa dal linguaggio del giornalismo più vivace e brillante; e può essere una comunicazione più intensa, introversa, complessa, come è propria dell’espressione letteraria.
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  15. Insomma, per il traduttore i problemi da risolvere non vengono mai meno. Nei testi dove la comunicazione è di tipo più colloquiale, il traduttore se riesce a cogliere il tono giusto dall’inizio, può continuare su questo slancio con una disinvoltura che sembra - che deve sembrare - facile. Ma tradurre non è mai facile; ci sono dei casi in cui le difficoltà vengono risolte spontaneamente, quasi inconsciamente mettendosi in sintonia col tono dell’autore. Ma per i testi stilisticamente più complessi, con diversi livelli di linguaggio che si correggono a vicenda, le difficoltà devono essere risolte frase per frase. seguendo il gioco di contrappunto, le intenzioni coscienti o le pulsioni inconsce dell’autore. Tradurre è un’arte : il passaggio di un testo letterario, qualsiasi sia il suo valore, in un’altra lingua richiede ogni volta un qualche tipo di miracolo. Sappiamo tutti che la poesia in versi è intraducibile per definizione; ma la vera letteratura, anche quella in prosa, lavora proprio sul margine intraducibile di ogni lingua. Il traduttore letterario è colui che mette in gioco tutto se stesso per tradurre l’intraducibile.
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  17. Chi scrive in una lingua minoritaria come l’italiano arriva prima o poi all’amara constatazione che la sua possibilità di comunicare si regge su fili sottili come ragnatele : basta cambiare il suono e l’ordine e il ritmo delle parole e la comunicazione fallisce. Quante volte, leggendo la prima stesura della traduzione d’un mio testo che il traduttore mi mostrava, mi prendeva un senso d’estraneità per quello che leggevo : era tutto qui quello che avevo scritto? come avevo potuto essere così piatto e insipido? Poi andando a rileggere il mio testo in italiano e confrontandolo con la traduzione vedevo che era magari una traduzione fedelissima, ma ne1 mio testo una parola era usata con un’intenzione ironica appena accennata che la traduzione non raccoglieva, una subordinata nel mio testo era velocissima mentre nella traduzione prendeva un’importanza ingiustificata e una pesantezza sproporzionata; il significato d’un verbo nel mio testo era sfumato dalla costruzione sintattica della frase mentre nella traduzione suonava come un’affermazione perentoria: insomma la traduzione comunicava qualcosa completamente diverso da quello che avevo scritto io.
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  19. E queste sono tutte cose di cui scrivendo non mi ero reso conto, e che scoprivo solo ora rileggendomi in funzione della traduzione. tradurre è il vero modo di leggere un testo; questo credo sia stato detto già molte volte; posso aggiungere che per un autore il riflettere sulla traduzione d’un proprio testo, il discutere col traduttore, è il vero modo di leggere se stesso, di capire bene cosa ha scritto e perché.
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  21. Sto parlando a un convegno che riguarda le traduzioni dall’italiano all’inglese, e devo precisare due cose : primo, il dramma della traduzione come l’ho descritto è più forte quanto più due lingue sono vicine, mentre tra italiano e inglese la distanza è tale che tradurre vuol dir in qualche misura ricreare ed è possibile salvare lo spirito d’un testo quanto meno si è esposti alla tentazione di farne un calco letterale. Le sofferenze di cui parlavo sono occorse più sovente leggendomi in francese dove le possibilità d’un travisamento nascosto sono continue, per non parlare dello spagnolo, che può costruire frasi quasi identiche all’italiano e dove lo spirito è completamente l’opposto. In inglese ci possono essere dei risultati talmente diversi dall’italiano che mi accade di non riconoscermi più per niente, ma anche delle riuscite felici proprio perché nascono da risorse linguistiche dell’inglese.
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  23. Seconda cosa, i problemi non sono minori per le traduzioni dall’inglese all’italiano, insomma non vorrei che sembrasse che solo l’italiano porta con se questa condanna d’essere una lingua complicata e intraducibile; anche l’apparente facilità, rapidità, praticità dell’inglese richiede il particolare dono che ha solo il vero traduttore.
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  25. Da qualsiasi lingua e in qualsiasi lingua si traduca, occorre non solo conoscere la lingua ma sapere entrare in contatto con lo spirito della lingua, lo spirito delle due lingue, sapere come le due lingue possono trasmettersi la loro essenza segreta. […]
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  27. Io credo molto nella collaborazione dell’autore con il traduttore. Questa collaborazione, prima che dalla revisione dell’autore alla traduzione, che può avvenire solo per il limitato numero di lingue in cui l’autore può dare un’opinione, nasce dalle domande del traduttore all’autore. (il traduttore che non ha dubbi non può esse un buon traduttore : il mio primo giudizio sulla qualità d’un traduttore mi sento di darlo dal tipo di domande che mi fa.
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  29. Poi credo molto nella funzione della casa editrice, della collaborazione tra editor e traduttore. La traduzione non è qualcosa che si può prendere e mandare in tipografia ; il lavoro dell’editor è nascosto, ma quando c’è dà i suoi frutti, e quando non c’è, come oggi è la stragrande maggioranza dei casi in Italia ed è la regola quasi generale in Francia, è un disastro. Naturalmente ci possono essere anche casi in cui l’editor guasta il lavoro ben fatto dal traduttore; ma io credo che il traduttore per bravo che sia, anzi proprio quando è bravo, ha bisogno che il suo lavoro sia valutato frase per frase da qualcuno che confronta testo originale e traduzione e può nel caso discutere con lui. […]
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  31. Ci sono problemi che sono comuni all’arte del tradurre da qualsiasi lingua, e problemi che sono specifici del tradurre autori italiani. Bisogna partire dal dato di fatto che gli scrittori italiani hanno sempre un problema con la propria lingua. Scrivere non è mai un atto naturale ; non ha quasi mai un rapporto col parlare. Gli stranieri che frequentano degli italiani avranno certo notato una particolarità della nostra conversazione : non sappiamo finire le frasi, lasciamo sempre le frasi a metà. Forse gli americani non sono molto sensibili a questo, perché anche negli Stati Uniti si parla con frasi spezzate, interrotte, esclamazioni, modi di dire senza un preciso contenuto semantico. Ma se ci si confronta con i francesi che sono abituati a cominciare le frasi e a finirle, con i tedeschi che devono sempre mettere il verbo in fondo, e anche con gli inglesi che di solito costruiscono le frasi con grande proprietà, vediamo che l’italiano parlato nella conversazione corrente tende a svanire continuamente nel nulla, e se si dovesse trascriverlo si dovrebbe fare un uso continuo di puntini di sospensione. Ora, per scrivere bisogna invece condurre la frase fino in fondo, per cui la scrittura richiede un uso del linguaggio completamente diverso da quello del parlato quotidiano. Bisogna scrivere delle frasi compiute che vogliono dire qualcosa : perché a questo lo scrittore non si può sottrarre: deve sempre dire qualcosa. Anche i politici finiscono le frasi, ma loro hanno il problema opposto, quello di parlare per non dire, e bisogna riconoscere che la loro arte in questo senso è straordinaria. Anche gli intellettuali spesso riescono a finire 1e frasi, ma loro devono costruire dei discorsi completamente astratti, che non tocchino mai niente di reale, e che possano generare altri discorsi astratti. Ecco dunque qual è la posizione dello scrittore italiano: è scrittore colui che usa la lingua italiana in un modo completamente diverso da quello dei politici, completamente diverso da quello degli intellettuali, ma non può fare ricorso al parlato corrente quotidiano perché esso tende a perdersi nell’inarticolato.
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  33. Per questo lo scrittore italiano vive sempre o quasi sempre in uno stato di nevrosi linguistica. Deve inventarsi il linguaggio in cui scrivere, prima d’inventare cose da scrivere. In Italia il rapporto con la parola è essenziale non solo per il poeta, ma anche per lo scrittore in prosa. Più d’altre grandi letterature moderne, la letteratura italiana ha avuto e ha il suo centro di gravità nella poesia. Come il poeta, lo scrittore di prosa italiano ha un’attenzione ossessiva alla singola parola, e al «verso» contenuto nella sua prosa. Se non ha quest’attenzione a un livello cosciente, vuol dire che scrive come in un raptus come è proprio della poesia istintiva o automatica.
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  35. Questo senso problematico del linguaggio è un elemento essenziale dello spirito del nostro tempo. Per questo la letteratura italiana è una componente necessaria della grande letteratura moderna e merita d’essere letta e tradotta. Perché lo scrittore italiano, al contrario di quel che si crede, non è mai euforico, gioioso, solare. Nella maggior parte dei casi ha un temperamento depressivo ma con uno spirito ironico. Gli scrittori italiani possono insegnare solo questo : ad affrontare la depressione, male del nostro tempo, condizione comune dell’umanità del nostro tempo, difendendosi con l’ironia, con la trasfigurazione grottesca dello spettacolo del mondo. Ci sono anche gli scrittori che sembrano traboccanti di vitalità, ma è una vitalità a fondo triste, cupo, dominata dal senso della morte.
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  37. È per questo che, per quanto difficile sia tradurre gli italiani, vale la pena di farlo: perché viviamo co1 massimo d’allegria possibile la disperazione universale. Se il mondo è sempre più insensato, l’unica cosa che possiamo cercare di fare è dargli uno stile.
  38. Relazione a un convegno sulla traduzione (Roma, 4 giugno 1982), in I. Calvino, I saggi, II, Mondatori, “I Meridiani”, 1995, p.1825-31
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