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Laredazione

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro

Sep 17th, 2023
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  1. Articolo 1
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  3. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
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  5. (Dal libro : Gherardo Colombo – Anticostituzione (2023)
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  10. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
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  12. L’Italia è una Repubblica democratica a tendenza monarchico-feudale, fondata sul lavoro e sulla rendita.
  13.  
  14. La sovranità appartiene al popolo, che tende a evitare di esercitarla per non esser chiamato a risponderne.
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  16. L’articolo 1 è, potremmo dire, la presentazione dell’Italia: se io le dico «Buongiorno, sono Gherardo Colombo, ho fatto il magistrato per oltre trent’anni», lei mi risponde «Buongiorno, io sono l’Italia, sono una repubblica e una democrazia, e sono fondata sul lavoro che i cittadini fanno ogni giorno per far sì che sia davvero una repubblica e una democrazia». La seconda parte dell’articolo è una specificazione della prima: poiché sono una repubblica, è il popolo a esercitare il potere, ma siccome nessuno del popolo può essere escluso (come più avanti recita l’articolo 3, ma vale anche qui), anche il popolo non lo può esercitare fuori dalla Costituzione.
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  18. È proprio questo ciò che si verifica realmente?
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  20. Partiamo da lontano. Il 2 giugno 1946 gli italiani sono stati chiamati, per la prima volta a suffragio universale (anche le donne), a decidere se vivere in una repubblica o in una monarchia. Alcune precisazioni: 1) nella repubblica si è cittadini, nella monarchia si è sudditi; 2) dopo l’armistizio con le forze alleate il re d’Italia, Vittorio Emanuele III, ha pensato di abbandonare la capitale e di lasciare l’Italia, e gli italiani, in balia degli eventi; 3) il referendum istituzionale, la scelta tra repubblica e monarchia, si è risolto a favore della prima con 12.717.923 voti favorevoli alla repubblica e 10.719.284 favorevoli alla monarchia, vale a dire che quasi il 46% dei votanti ha preferito rimanere suddito. Come è spiegabile questa forte tendenza che, come si vedrà, è ancora spiccata in una parte consistente della popolazione?
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  22. Già nella Bibbia [1Samuele 8,4 ss.] è sottolineata la propensione dell’essere umano ad avere un capo che provveda per lui: «Samuele riferì tutte le parole del Signore al popolo che gli aveva chiesto un re. Disse: “Questo sarà il diritto del re che regnerà su di voi: prenderà i vostri figli per destinarli ai suoi carri e ai suoi cavalli, li farà correre davanti al suo cocchio, li farà capi di migliaia e capi di cinquantine, li costringerà ad arare i suoi campi, mietere le sue messi e apprestargli armi per le sue battaglie e attrezzature per i suoi carri. Prenderà anche le vostre figlie per farle sue profumiere e cuoche e fornaie. Prenderà pure i vostri campi, le vostre vigne, i vostri oliveti più belli e li darà ai suoi ministri. Sulle vostre sementi e sulle vostre vigne prenderà le decime e le darà ai suoi cortigiani e ai suoi ministri. Vi prenderà i servi e le serve, i vostri armenti migliori e i vostri asini e li adopererà nei suoi lavori. Metterà la decima sulle vostre greggi e voi stessi diventerete suoi servi. Allora griderete a causa del re che avrete voluto eleggere, ma il Signore non vi ascolterà”. Il popolo rifiutò di ascoltare la voce di Samuele e disse: “No! Ci sia un re su di noi. […]”».
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  24. Non è diversa la percezione di Immanuel Kant [Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo? (Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung?), 1784]: «L’illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi è questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza esser guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza – è dunque il motto dell’illuminismo. La pigrizia e la viltà sono le cause per cui tanta parte degli uomini, dopo che la natura li ha da lungo tempo affrancati dall’eterodirezione (naturaliter maiorennes), tuttavia rimangono volentieri minorenni per l’intera vita e per cui riesce tanto facile agli altri erigersi a loro tutori. È tanto comodo essere minorenni! […] A far sì che la stragrande maggioranza degli uomini (e con essi tutto il bel sesso) ritenga il passaggio allo stato di maggiorità, oltreché difficile, anche molto pericoloso, provvedono già quei tutori che si sono assunti con tanta benevolenza l’alta sorveglianza sopra costoro».
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  26. E non è diversa nemmeno quella di Dostoevskij [I fratelli Karamazov] che, per bocca del Grande Inquisitore, contesta a Cristo: «Nulla attrae l’uomo quanto la libertà della propria coscienza, ma al tempo stesso nulla gli è altrettanto penoso. E invece di saldi principi capaci di mettere una volta per sempre in pace la propria coscienza Tu hai scelto tutto ciò che vi è di più inconsueto, enigmatico, vago, hai scelto tutto quanto è superiore alle forze degli uomini, finendo così per agire come se non li amassi affatto; Tu venuto a dare la vita per loro invece di impossessarti della libertà umana, l’hai moltiplicata, aggravando in eterno coi tormenti della libertà il regno spirituale dell’uomo. Hai voluto essere amato e seguito liberamente da lui, hai voluto che Ti seguisse per sua scelta, affascinato, sedotto da Te. Non pensavi che avrebbe infine respinto e addirittura contestato anche la Tua immagine e la Tua verità, oppresso da un peso così tremendo come la libertà di scelta? E che gli uomini avrebbero finito col gridare che la verità non è in Te, poiché non credevano possibile che Tu li abbandonassi in tanto sgomento e dolore».
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  28. Sono passati settantacinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione, ma la sudditanza attrae ancora. Quanti sono affascinati da chi si presenta sull’agone politico affermando: «Ci penso io! Se voi mi votate penserò a tutto io! Non dovrete preoccuparvi di nulla, perché a tutto provvederò io!». La monarchia è «Ci penso io!», la democrazia è «Ci pensiamo tutti»: partecipiamo (come cantava Giorgio Gaber) perché il governo della società sia l’esito delle istanze di tutti, e non di uno o di pochi. La monarchia è la mamma alla quale si è, da minori, sottomessi e che pensa – e dunque decide – ogni cosa per noi. Che però ci consente, magari lamentandocene, di rispondere a chi chiede conto di ciò che facciamo: «Me lo ha detto la mamma, di fare così». Lasciamo nelle mani di altri la nostra sovranità per evitare di assumercene la responsabilità. La monarchia (in senso proprio, non quella esclusivamente formale, dove il re ha meno potere del nostro presidente della Repubblica) è obbedienza, e vien spesso comodo dire: «Cosa volete da me? Ho solo eseguito degli ordini». Questa era, del resto, la litania dei gerarchi nazisti; era la litania di Adolf Eichmann, tra i responsabili dello sterminio degli ebrei, processato a Gerusalemme. E allora ecco che il popolo evita di esercitare la propria sovranità, lascia che sia esercitata da altri e crede in questo modo di salvare la propria innocenza.
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  30. Insomma, come succedeva ai tempi di Samuele, come osservava Kant, come spiegava il Grande Inquisitore, esiste una tendenza forte a preferire la sudditanza alla cittadinanza. Per essere sudditi occorre un re, un monarca… ma un monarca vero: non un monarca costituzionale com’è il caso di molti Paesi europei (Gran Bretagna, Norvegia, Belgio, Lussemburgo, Spagna) e non solo (Canada). Un re che decida per tutti, si chiami presidente, duce o come altro si voglia. Di duce ne abbiamo avuto uno, per vent’anni: il suo busto sta ancora sulle scrivanie di affermati professionisti, le sue foto anche in qualche ufficio pubblico. Oggi riceve facili consensi chi si presenta tranquillizzando i cittadini: siate felici, non preoccupatevi di nulla, penserò a tutto io, vi libererò dal fardello della scelta. Del resto, se si guarda ai partiti politici, si vedrà che non sono che piccole monarchie, governate ciascuna da un re che decide tutto per tutti, e dove il cursus honorum, la scalata al vertice, si fa non per meriti ma per fedeltà alla corona. E spesso non è forse così, benché le regole affermino il contrario, nelle università, in tanti uffici pubblici (ne ho viste di cose…), negli ospedali? Insomma, lo spirito è questo. Accompagnato da uno schema consolidato di feudalesimo e vassallaggio (quelle espressioni che si leggono ogni tanto, a proposito del tal posto che è «feudo» del tal politico, vorrebbero essere metaforiche, ma molto spesso sono reali).
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  32. È forse questa la causa maggiore del sempre più marcato astensionismo a qualsiasi tipo di consultazione popolare. Se si eccettuano i grandi temi connotati da chiari e diretti riferimenti a valori di fondo (per esempio il fine vita) prevale l’indifferenza, il pensare «non è cosa che mi riguarda, facciano loro», magari nemmeno fidandosi di questi «loro», ma mantenendo ben saldo il diritto di lamentarsi. Ed è questo che porta una parte consistente della popolazione a osannare chi si presenti nell’agone politico rassicurando gli elettori con l’equivalente del modo di dire lombardo «ghe pensi mi», ci penso io, che tranquillizza chi intende non assumersi nessuna responsabilità derivante dal partecipare, anche da lontano, alla gestione della comunità.
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  34. L’articolo 1 aggiunge che la Repubblica è «fondata sul lavoro». È fondata sul lavoro inteso, abbiamo detto, come fatica necessaria a esercitare la democrazia. Ma è fondata sul lavoro anche perché il lavoro permette di vivere. È fondata sul lavoro perché è attraverso il lavoro che la persona si realizza. Ricordo che un caro amico, già presidente della Corte costituzionale, sull’argomento puntualizzò che è fondata sul lavoro perché, tra l’altro, non è fondata sulla rendita. In che cosa consiste la rendita? Cito dal dizionario Treccani: «Entrata continuativa senza costo, o almeno senza costo contemporaneo, e in particolare reddito di capitale, frutto di risparmio in qualsiasi modo investito: vivere di r.; godere della r. di un fabbricato, della r. di obbligazioni e di azioni». La rendita consiste nei guadagni di chi non lavora, di chi ha disponibilità economiche senza dover impiegare la propria attività per ottenerle. Chi vive di rendita vive del lavoro degli altri (sulle carte d’identità di una volta, alla voce professione, per le persone che vivevano di rendita si scriveva «possidente»).
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  36. Per capirci, racconterò una breve storia vera. In una grande città, alcuni adolescenti che frequentano il liceo più in si trovano una sera in casa di una di loro. A un certo punto sparisce un piccolo gioiello. Alcuni dei genitori commentano, approfondiscono, elucubrano e alla fine giungono alla conclusione che a commettere il furto non può essere stata che la figlia di quelli che lavorano, vale a dire la figlia di due stimati professionisti i quali, evidentemente, erano i soli del gruppo a non vivere grazie alla rendita dei loro immobili, o delle loro azioni, o di loro altre proprietà.
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