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- Autostrade, la pesante eredità che Draghi lascia a Meloni
- di GIORGIO MELETTI
- Il nascente governo Meloni eredita una gestione opaca della vicenda di
- Autostrade per l’Italia (Aspi) con i suoi risultati sconcertanti. E con una
- conseguenza politica di non poco conto. Il partito della premier in
- pectore, Fratelli d’Italia, è quello che ha sempre denunciato con toni
- piuttosto accesi la gestione dell’a are, condotta in perfetta continuità
- dal governo Conte II e dal governo Draghi. Ma adesso a mettere le mani
- sul dossier potrebbero essere i nuovi ministri dell’Economia (Giancarlo
- Giorgetti) e delle Infrastrutture (Matteo Salvini), cioè le due punte di
- lancia della Lega, il partito che, dal governo e dall’opposizione, ha
- sempre strenuamente difeso gli interessi della famiglia Benetton. Grande
- è dunque la curiosità di scoprire quale linea assumerà il nuovo governo
- su un pasticcio foriero di gravi danni all’interesse pubblico, inteso non
- solo in termini di denaro dei contribuenti ma anche, anzi soprattutto, in
- termini di gestione e di sicurezza di un’infrastruttura fondamentale:
- Aspi gestisce più della metà della rete autostradale italiana.
- Da Conte a Draghi.
- In estrema sintesi la questione è la seguente. Il
- governo Conte II (giallorosso), dopo il crollo del ponte Morandi, ha scelto
- di risolvere la questione autostradale “graziando“ Atlantia, la holding
- controllata dai Benetton, sulla revoca della concessione di Aspi, pure
- considerata unanimemente la sanzione automatica dopo il “grave
- inadempimento“ di aver fatto venire giù il viadotto sul fiume Polcevera
- provocando 43 morti. Ha scelto di risolvere la cosa imponendo ai
- Benetton la nazionalizzazione delle autostrade, attraverso la vendita alla
- Cassa depositi e prestiti (Cdp), sia pure a prezzo pieno. Il governo Draghi
- ha preso in mano la compravendita di Aspi e l’ha gestita per 15 mesi (dal
- giorno del giuramento, 13 febbraio 2021, alla firma del contratto
- definitivo, 5 maggio 2022). Con un risultato paradossale che ha ribaltato
- le premesse di Conte. Il direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera
- ha scritto, per spiegare alla Corte dei conti i termini esatti
- dell’operazione, che Cdp non è lo stato, anzi è una società di diritto
- privato «che svolge attività imprenditoriale nel rispetto del principio
- dell’investitore privato operante in un’economia di mercato». Quindi
- Conte parte per rinazionalizzare le autostrade e Draghi le riprivatizza.
- Con modalità sconcertanti: il 3 maggio 2022, due giorni prima della
- firma definitiva della compravendita, Cdp firma i patti parasociali con i
- fondi Blackstone e Macquarie, con cui concede ai soci di minoranza un
- sostanziale diritto di veto su ogni delibera del consiglio di
- amministrazione di Aspi, nel quale peraltro il socio pubblico ha solo 6
- rappresentanti su 14 consiglieri.
- Comanda il profitto.
- L’implicazione pratica di quello che può sembrare
- un dettaglio appassionante solo per gli addetti ai lavori è molto grave.
- Un’operazione finalizzata, nelle promesse, a dare ad Aspi un azionariato
- stabile, responsabile e finalmente focalizzato sugli investimenti per la
- manutenzione e la sicurezza della rete, ha consegnato Aspi a un
- azionariato che ha come obiettivo il profitto. Non è un’insinuazione, né
- un processo alle intenzioni: perseguire il massimo profitto è un loro
- dovere, è scritto negli statuti dei nuovi azionisti di Aspi, ed è confermato
- dalle loro mosse nei primi cinque mesi di gestione. Sarebbe stato compito
- dello stato tenerli a distanza da un’infrastruttura pubblica così delicata.
- Il 16 aprile 2021 Mario Draghi, rispondendo a una domanda durante una
- conferenza stampa a palazzo Chigi, ha detto: sulla questione Cdp-Aspi
- «non intervengo e non discuto perché c’è una trattativa in corso, fondata
- sull’o erta preparata dal governo precedente. Vediamo come va a
- finire». Che la trattativa in corso fosse fondata sull’o erta preparata dal
- governo precedente non era vero. Lo stesso Rivera spiegherà in seguito
- alla Corte dei conti che il governo con l’acquisto di Aspi da parte di Cdp
- non c’entra niente: «Il consorzio acquirente
- (Cdp-Blackstone-Macquarie, ndr) è un soggetto interamente privato e
- pertanto le valutazioni del consorzio circa il valore di Aspi sono
- irrilevanti per l’Amministrazione che a esse è, infatti, rimasta estranea».
- La firma di Draghi.
- Quindi, dice Rivera, il governo non c’entra niente con
- la trattativa per l’acquisto di Aspi, ma se c’è entrato è stato Draghi, e non
- Conte, a “preparare l’o erta“. Infatti, sotto il governo Conte, Cdp ha
- avanzato qualche o erta “non vincolante“ (l’ultima il 23 dicembre
- 2020). Ma è con il governo Draghi che la trattativa accelera. Il 13 febbraio
- 2021 Draghi si insedia, il 24 febbraio Cdp e i suoi soci presentano ad
- Atlantia la prima o erta vincolante, cioè vera, concreta, impegnativa:
- prima erano chiacchiere. Il 26 febbraio, due giorni dopo, Atlantia dice che
- l’o erta non le piace, è inferiore alle attese. Dopo un altro mese di
- a namenti, il 31 marzo Cdp presenta una nuova o erta vincolante,
- quella che sarà accettata da Atlantia.
- In quelle prime settimane del governo Draghi accade una cosa che, con il
- senno di poi, illumina di luce solare la catena di errori che ha portato ai
- risultati oggi sotto gli occhi di tutti. Il 23 febbraio, alla vigilia dell’o erta
- vincolante di Cdp, scende in campo l’Istituto Bruno Leoni, santuario del
- liberismo, che considera la partita ancora apertissima e dipendente dalle
- decisioni del nuovo governo: «La gestione del dossier sarà uno dei primi
- banchi di prova su cui potremo misurare se e quanto il governo Draghi si
- pone in discontinuità con l’esecutivo precedente». Pochi giorni dopo, il 7
- aprile, una settimana prima che Draghi faccia finta di non saperne
- niente, scendono in campo Franco Debenedetti, presidente del Bruno
- Leoni, e il direttore delle ricerche Carlo Stagnaro.
- I due pongono a Draghi una questione sensata. Se proprio volevi
- nazionalizzare era meglio che fosse il Tesoro a comprarsi il 100 per cento
- di Aspi, ne rimettesse a posto le regole, ne ridimensionasse i privilegi e
- poi riassegnasse a privati la concessione con regole nuove, meno
- scandalose di quelle che sono state concesse ai Benetton per due decenni.
- Solo una vera nazionalizzazione, dicono, garantisce una riforma
- profonda realizzabile senza l’ostacolo di un azionista privato che
- minaccia il contenzioso. Al contrario, la finta nazionalizzazione,
- consistente nel passaggio da un privato avido ad altri privati almeno
- ugualmente avidi, renderà eterne le distorsioni del sistema che tendono a
- perpetuare alti pedaggi e bassa manutenzione. Vale la pena di riportare il
- nucleo del ragionamento di Debenedetti e Stagnaro: «Questa revisione,
- oggi improbabile perché Aspi potrebbe impugnarla con ottime
- probabilità di successo e andrebbe comunque negoziata, appare
- addirittura impossibile nel caso in cui subentrasse la cordata
- Cdp-Blackstone-Macquarie.
- Infatti, la Cdp agisce de facto a nome del governo, ma formalmente
- interviene non con risorse pubbliche, bensì con i soldi dei correntisti
- postali: di fronte a una riforma che taglia la redditività del suo
- investimento, e quindi comporta una perdita in bilancio, non potrebbe
- far altro che opporsi. Né potrebbero agire diversamente i suoi partner o
- eventuali altri investitori istituzionali selezionati dalla Cdp»
- Tocca alla Lega. Questo è il nodo che spetterà a Salvini e Giorgetti
- sciogliere. Il governo Conte ha stabilito una cosa assai opinabile, cioè che
- revocare la concessione ai Benetton «per grave inadempimento» fosse
- molto rischioso. E che dunque era meglio andare verso una contorta
- transazione tra il concedente (il ministero delle Infrastrutture) e il
- concessionario (Aspi) per una soluzione negoziata del caso Morandi,
- accompagnata però dalla vendita di Aspi allo stato. Lo stato ha subito
- individuato in Cdp il compratore per suo conto, salvo poi sostenere che
- Cdp con lo stato non c’entra niente. Ma soprattutto ha individuato, e
- nessuno ha mai spiegato perché, nei fondi Blackstone e Macquarie i soci
- che dovevano accompagnare Cdp nell’operazione.
- Atlantia ha sempre detto e scritto che considerava questa decisione del
- governo una prepotenza. Quando ha cercato di raccogliere altre o erte
- per vendere Aspi a prezzo maggiore lo stato è intervenuto per bloccare
- tutto, anche per le vie brevi, con colloqui privati e telefonate abbastanza
- ineleganti, per così dire. Ma alla fine i Benetton hanno ceduto,
- limitandosi a controllare che il prezzo di vendita fosse soddisfacente e
- che l’operazione per loro si chiudesse con un guadagno che, per piccolo
- che fosse, era sempre una sanzione accettabile per aver provocato il
- crollo del Morandi e 43 morti. Questa è la domanda a cui il nuovo governo
- dovrà rispondere: visto che, minacciando la revoca della concessione, il
- governo Draghi poteva imporre qualsiasi cosa ad Atlantia, perché non ha
- davvero nazionalizzato Aspi comprandola come Tesoro e l’ha consegnata
- agli interessi privati di Blackstone e Macquarie che promettono di essere
- non meno avidi dei Benetton? L’unica possibile spiegazione è che la
- burocrazia (gli stessi uomini con Conte e con Draghi) avesse
- apparecchiato una situazione formalmente aperta ma sostanzialmente
- irreversibile. Ma questo è un altro capitolo del giallo.
- Domani - 21/10/2022
- Aspi gestisce più della metà della rete autostradale italiana.
- Da Conte a Draghi. In estrema sintesi la questione è la seguente. Il
- governo Conte II (giallorosso), dopo il crollo del ponte Morandi, ha scelto
- di risolvere la questione autostradale “graziando“ Atlantia, la holding
- controllata dai Benetton, sulla revoca della concessione di Aspi, pure
- considerata unanimemente la sanzione automatica dopo il “grave
- inadempimento“ di aver fatto venire giù il viadotto sul fiume Polcevera
- provocando 43 morti. Ha scelto di risolvere la cosa imponendo ai
- Benetton la nazionalizzazione delle autostrade, attraverso la vendita alla
- Cassa depositi e prestiti (Cdp), sia pure a prezzo pieno. Il governo Draghi
- ha preso in mano la compravendita di Aspi e l’ha gestita per 15 mesi (dal
- giorno del giuramento, 13 febbraio 2021, alla firma del contratto
- definitivo, 5 maggio 2022). Con un risultato paradossale che ha ribaltato
- le premesse di Conte. Il direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera
- ha scritto, per spiegare alla Corte dei conti i termini esatti
- dell’operazione, che Cdp non è lo stato, anzi è una società di diritto
- privato «che svolge attività imprenditoriale nel rispetto del principio
- dell’investitore privato operante in un’economia di mercato». Quindi
- Conte parte per rinazionalizzare le autostrade e Draghi le riprivatizza.
- Con modalità sconcertanti: il 3 maggio 2022, due giorni prima della
- firma definitiva della compravendita, Cdp firma i patti parasociali con i
- fondi Blackstone e Macquarie, con cui concede ai soci di minoranza un
- sostanziale diritto di veto su ogni delibera del consiglio di
- amministrazione di Aspi, nel quale peraltro il socio pubblico ha solo 6
- rappresentanti su 14 consiglieri.
- Comanda il profitto. L’implicazione pratica di quello che può sembrare
- un dettaglio appassionante solo per gli addetti ai lavori è molto grave.
- Un’operazione finalizzata, nelle promesse, a dare ad Aspi un azionariato
- stabile, responsabile e finalmente focalizzato sugli investimenti per la
- manutenzione e la sicurezza della rete, ha consegnato Aspi a un
- azionariato che ha come obiettivo il profitto. Non è un’insinuazione, né
- un processo alle intenzioni: perseguire il massimo profitto è un loro
- dovere, è scritto negli statuti dei nuovi azionisti di Aspi, ed è confermato
- dalle loro mosse nei primi cinque mesi di gestione. Sarebbe stato compito
- dello stato tenerli a distanza da un’infrastruttura pubblica così delicata.
- Il 16 aprile 2021 Mario Draghi, rispondendo a una domanda durante una
- conferenza stampa a palazzo Chigi, ha detto: sulla questione Cdp-Aspi
- «non intervengo e non discuto perché c’è una trattativa in corso, fondata
- sull’o erta preparata dal governo precedente. Vediamo come va a
- finire». Che la trattativa in corso fosse fondata sull’o erta preparata dal
- governo precedente non era vero. Lo stesso Rivera spiegherà in seguito
- alla Corte dei conti che il governo con l’acquisto di Aspi da parte di Cdp
- non c’entra niente: «Il consorzio acquirente
- (Cdp-Blackstone-Macquarie, ndr) è un soggetto interamente privato e
- pertanto le valutazioni del consorzio circa il valore di Aspi sono
- irrilevanti per l’Amministrazione che a esse è, infatti, rimasta estranea».
- La firma di Draghi. Quindi, dice Rivera, il governo non c’entra niente con
- la trattativa per l’acquisto di Aspi, ma se c’è entrato è stato Draghi, e non
- Conte, a “preparare l’o erta“. Infatti, sotto il governo Conte, Cdp ha
- avanzato qualche o erta “non vincolante“ (l’ultima il 23 dicembre
- 2020). Ma è con il governo Draghi che la trattativa accelera. Il 13 febbraio
- 2021 Draghi si insedia, il 24 febbraio Cdp e i suoi soci presentano ad
- Atlantia la prima o erta vincolante, cioè vera, concreta, impegnativa:
- prima erano chiacchiere. Il 26 febbraio, due giorni dopo, Atlantia dice che
- l’o erta non le piace, è inferiore alle attese. Dopo un altro mese di
- a namenti, il 31 marzo Cdp presenta una nuova o erta vincolante,
- quella che sarà accettata da Atlantia.
- In quelle prime settimane del governo Draghi accade una cosa che, con il
- senno di poi, illumina di luce solare la catena di errori che ha portato ai
- risultati oggi sotto gli occhi di tutti. Il 23 febbraio, alla vigilia dell’o erta
- vincolante di Cdp, scende in campo l’Istituto Bruno Leoni, santuario del
- liberismo, che considera la partita ancora apertissima e dipendente dalle
- decisioni del nuovo governo: «La gestione del dossier sarà uno dei primi
- banchi di prova su cui potremo misurare se e quanto il governo Draghi si
- pone in discontinuità con l’esecutivo precedente». Pochi giorni dopo, il 7
- aprile, una settimana prima che Draghi faccia finta di non saperne
- niente, scendono in campo Franco Debenedetti, presidente del Bruno
- Leoni, e il direttore delle ricerche Carlo Stagnaro.
- I due pongono a Draghi una questione sensata. Se proprio volevi
- nazionalizzare era meglio che fosse il Tesoro a comprarsi il 100 per cento
- di Aspi, ne rimettesse a posto le regole, ne ridimensionasse i privilegi e
- poi riassegnasse a privati la concessione con regole nuove, meno
- scandalose di quelle che sono state concesse ai Benetton per due decenni.
- Solo una vera nazionalizzazione, dicono, garantisce una riforma
- profonda realizzabile senza l’ostacolo di un azionista privato che
- minaccia il contenzioso. Al contrario, la finta nazionalizzazione,
- consistente nel passaggio da un privato avido ad altri privati almeno
- ugualmente avidi, renderà eterne le distorsioni del sistema che tendono a
- perpetuare alti pedaggi e bassa manutenzione. Vale la pena di riportare il
- nucleo del ragionamento di Debenedetti e Stagnaro: «Questa revisione,
- oggi improbabile perché Aspi potrebbe impugnarla con ottime
- probabilità di successo e andrebbe comunque negoziata, appare
- addirittura impossibile nel caso in cui subentrasse la cordata
- Cdp-Blackstone-Macquarie.
- Infatti, la Cdp agisce de facto a nome del governo, ma formalmente
- interviene non con risorse pubbliche, bensì con i soldi dei correntisti
- postali: di fronte a una riforma che taglia la redditività del suo
- investimento, e quindi comporta una perdita in bilancio, non potrebbe
- far altro che opporsi. Né potrebbero agire diversamente i suoi partner o
- eventuali altri investitori istituzionali selezionati dalla Cdp»
- Tocca alla Lega. Questo è il nodo che spetterà a Salvini e Giorgetti
- sciogliere. Il governo Conte ha stabilito una cosa assai opinabile, cioè che
- revocare la concessione ai Benetton «per grave inadempimento» fosse
- molto rischioso. E che dunque era meglio andare verso una contorta
- transazione tra il concedente (il ministero delle Infrastrutture) e il
- concessionario (Aspi) per una soluzione negoziata del caso Morandi,
- accompagnata però dalla vendita di Aspi allo stato. Lo stato ha subito
- individuato in Cdp il compratore per suo conto, salvo poi sostenere che
- Cdp con lo stato non c’entra niente. Ma soprattutto ha individuato, e
- nessuno ha mai spiegato perché, nei fondi Blackstone e Macquarie i soci
- che dovevano accompagnare Cdp nell’operazione.
- Atlantia ha sempre detto e scritto che considerava questa decisione del
- governo una prepotenza. Quando ha cercato di raccogliere altre o erte
- per vendere Aspi a prezzo maggiore lo stato è intervenuto per bloccare
- tutto, anche per le vie brevi, con colloqui privati e telefonate abbastanza
- ineleganti, per così dire. Ma alla fine i Benetton hanno ceduto,
- limitandosi a controllare che il prezzo di vendita fosse soddisfacente e
- che l’operazione per loro si chiudesse con un guadagno che, per piccolo
- che fosse, era sempre una sanzione accettabile per aver provocato il
- crollo del Morandi e 43 morti. Questa è la domanda a cui il nuovo governo
- dovrà rispondere: visto che, minacciando la revoca della concessione, il
- governo Draghi poteva imporre qualsiasi cosa ad Atlantia, perché non ha
- davvero nazionalizzato Aspi comprandola come Tesoro e l’ha consegnata
- agli interessi privati di Blackstone e Macquarie che promettono di essere
- non meno avidi dei Benetton? L’unica possibile spiegazione è che la
- burocrazia (gli stessi uomini con Conte e con Draghi) avesse
- apparecchiato una situazione formalmente aperta ma sostanzialmente
- irreversibile. Ma questo è un altro capitolo del giallo.
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