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Laredazione

Un mondo in fiamme e un'Italia ”In Galera”

Sep 10th, 2023
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  1. Un mondo in fiamme e un'Italia ”In Galera”
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  4. di Massimo Giannini - editoriale
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  8. Ci mancavano solo il terremoto infernale in Marocco e poi il Covid a immalinconire l’ennesimo autunno del nostro scontento. Mentre aspettiamo di capire se ci toccherà di nuovo la provvista quotidiana di mascherine, sulla scena pubblica si agitano le maschere dell’emergenza globale che incombe. Qualcuno giustamente l’ha chiamata “policrisi”, perché è al tempo stesso economica e geopolitica, militare e alimentare, sanitaria e ambientale.
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  10. Le vittime sono i popoli che la subiscono, dagli ucraini massacrati nei mercati di Kostiantynivka agli africani affamati di grano del Sub-Sahara, dai cinesi in coda per il mutuo agli europei in fila per un sussidio. Insieme ai beni materiali che mancano, la poli-crisi sta distruggendo il patrimonio immateriale più prezioso, sul quale abbiamo costruito il modello di sviluppo che abbiamo alle spalle: la fiducia reciproca tra gli Stati, il multilateralismo delle relazioni internazionali, la dimensione cooperativa globale. Da ieri, a Nuova Delhi, i Grandi del Mondo certificano la fine dell’Ordine vecchio, senza riuscire a trovare il bandolo di quello nuovo. La Cina e la Russia, assenti ingiustificati e convitati di pietra del G-20, sono i due principali fattori di destabilizzazione del sistema.
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  12. La Russia destabilizza per l’impasse geostrategica che sappiamo: non può perdere la guerra, ma non può neanche vincerla. Come scrive The Moskow Times, il senso di quanto è accaduto dal giorno dell’ammutinamento della Wagner all’assassinio del suo capocuoco-macellaio è che Prigozhin ha perso, ma Putin non ha vinto. Lo Zar ammaccato “si è rivelato incapace di affrontare le cause più profonde della crisi di fine giugno”.
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  14. N on ha saputo arginare il “prigozhinismo” ormai diffuso tra i cittadini russi e nella sua stessa élite, ma non è riuscito nemmeno a “prigozhinizzare” la sua irrisolta “operazione militare speciale”. Risultato: abbattuto l’aereo del “traditore della Patria”, molti credono che Putin abbia dimostrato la sua forza bruta, ma altrettanti ritengono che con quell’atto da Stato mafioso abbia voluto solo “nascondere la sua persistente debolezza”. Nonostante questo, al G-20 nessuno dei capi di Stato presenti ha la voglia o il coraggio di affacciarsi sul fronte russo-ucraino.
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  16. Se lo facessero, dovrebbero constatare la frattura insanabile che divide non solo lo scacchiere Est-Ovest, ma anche Nord-Sud. Quindi meglio tacere, troncare, sopire. In attesa che Biden decida se riportare o meno Zelensky al tavolo, sventando così l’assedio pre-elettorale di Trump che da presidente rieletto promette di far finire la guerra un minuto dopo. La Cina destabilizza per lo stallo economico che avanza. La pandemia, che lì ha mietuto più di un milione di morti, ha lasciato ferite profonde, aggravate dalla feroce terapia d’urto “Zero-Covid” applicata dalla nomenklatura comunista. Il mercato immobiliare vacilla per il crac Evergrande, nel secondo trimestre il Pil si è contratto di un punto rispetto alle attese. Ian Johnson, su Foreign Affairs, scrive di “Involuzione cinese”. Nonostante questo, l’Impero Celeste rimane attore globale.
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  18. Non rinuncia alla rincorsa pluriennale del primato tecnologico e valutario degli Stati Uniti, rafforza i suoi mastodontici piani di investimento nel continente africano dal quale l’Europa si è ormai ritirata. Guida i Brics, incentivando l’ingresso di altri sei Paesi arabi e non, ma resta distante dalla Russia e diffidente verso l’India. Come ha spiegato il governatore di Bankitalia Ignazio Visco all’Ispi martedì scorso, Pechino è da un lato costretta dalle sue difficoltà interne a ripiegarsi su se stessa, ma dall’altro vuole continuare a “giocare con le regole” offerte dalla globalizzazione con l’ingresso nel Wto del 2001, che hanno contribuito a far “esplodere” la dimensione di quella economia di ben 20 volte negli ultimi trent’anni.
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  20. Che fare con i cinesi? Anche qui, bisognerà aspettare che si decida l’America, tra un Biden ancora incerto su come ricalibrare i rapporti con la Cina, passata in fretta dal ruolo di “mercato di sbocco” a quello di “rivale strategico”, e un Trump che invece lo considera il nuovo “Impero del Male”. La missione di Janet Yellen nella “Sala Grande del Popolo” l’8 luglio scorso sembrava promettente, tanto che il primo ministro Li Qiang l’aveva salutata parlando dell’arrivo di un “arcobaleno”. Ma a Delhi proprio la Segretaria di Stato ha raffreddato ogni entusiasmo, limitandosi a un laconico “monitoriamo la situazione”.
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  22. Resta Narendra Modi, che ospita i Grandi e gli offre un Indian Dream seducente, ma ancora sovrastato dall’incubo della povertà e della disuguaglianza. In un pianeta che nel 2050 conterà 10 miliardi di umani, di cui solo 1 miliardo insediato nelle economie avanzate, un’Europa all’altezza delle sfide prenderebbe di petto i problemi, invece di ritrarsi fino a scomparire, come denunciano sull’Economist Mario Draghi e sulla Stampa Romano Prodi. Approfitterebbe delle divisioni interne all’Altro Mondo per cercare nuovi equilibri visto che, come racconta Visco, «Cina e India apparentemente sono schierati con la Russia, ma se chiedi agli indiani perché appoggiano i russi ti rispondono perché ci proteggono dai cinesi».
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  24. Si intuisce all’orizzonte un pericolo enorme, che l’Occidente dovrebbe scongiurare: una logica da friends and enemies, che non sappiamo dove può portare i conflitti bellici, e una “deglobalizzazione disordinata”, che può avere costi sociali incalcolabili. In questa poli-crisi la piccola Italia rischia di pagare un prezzo altissimo. La Ue è alla vigilia di due appuntamenti cruciali. Il primo è sabato prossimo, a Santiago de Compostela, dove l’Ecofin entrerà nel vivo della discussione sulla riforma del Patto di Stabilità, che vede il Belpaese senza speranze e senza alleanze, con un deficit che viaggia verso il 5% e un debito che non si schioda dal 144,4% del Pil.
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  26. Il secondo è domani, a Bruxelles, dove la Commissione europea illustrerà le sue previsioni economiche. Come ha anticipato il vice-presidente Dombrovskis, non dobbiamo aspettarci niente di buono. L’inflazione cala, ma grazie a un caro-tassi che morde la carne viva di imprese e famiglie. La crescita si è fermata ovunque, la Germania è già in recessione e ci sta trascinando dentro anche gli altri partner. A partire proprio dai miopi patrioti tricolori, che inopinatamente già brindavano a champagne perché “la locomotiva tedesca non tira più, e noi cresciamo più di loro!”. Non capiscono, poveretti, che la Germania è l’hub principale per le nostre esportazioni, e che se si blocca quello noi siamo nei guai neri, come infatti sta già succedendo. Con queste premesse autunnali, la tattica di Giorgia Meloni è ormai chiara.
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  28. Nella manovra non ci sono risorse per saldare la gigantesca cambiale firmata in bianco dalle tre destre durante la campagna elettorale. Se va bene, faranno un’altra spolveratina di bonus contro il caro-benzina e poi un intervento sul cuneo fiscale, spacciandolo come “tredicesima del Natale meloniano”, mancetta per le europee scopiazzata dagli 80 euro renziani. Per giustificare cotanto nulla di fronte ai cittadini ai quali era stata spacciata qualunque chimera, dall’abolizione delle accise all’uscita dall’euro, la Sorella d’Italia ha già idealmente distribuito ai Fratelli il “manuale di sopravvivenza”, che ruota intorno al solito escamotage: scaricare tutte le responsabilità sugli appositi capri espiatori.
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  30. I principali, al momento, sono due. Il primo è Paolo Gentiloni: se non abbiamo un euro da spendere, la colpa è tutta del commissario Ue che, ingrato, tradisce il suo Paese non vestendo a Bruxelles “la maglia dell’Italia” (e pazienza se da Palazzo Berlaymont hanno risposto l’ovvio, cioè che in quell’istituzione non si entra per difendere il Paese dal quale provieni, ma per fare sintesi tra gli interessi di tutti gli Stati membri). Il secondo è Giuseppe Conte: se non c’è più un centesimo in cassa, la colpa è tutta del leader dei Cinque Stelle, che col Superbonus edilizio ha lasciato in eredità ai successori un buco da quasi 80 miliardi (e pazienza se nel 2021 il 110% lo votarono e lo difesero tutti i partiti, che non fecero mai un’acca per limitare l’entità spropositata del credito fiscale e contenere l’estensione illimitata a tutte le categorie di reddito).
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  32. Ma non è finita: si intravedono già capri espiatori minori, ma non meno infedeli. Come Biagio Mazzotta: se il Superbonus pesa per 71 miliardi più del previsto sul bilancio il “reo” è lui, il Ragioniere Generale dello Stato, non il governo che non ha corretto subito quella misura. O come Ernesto Ruffini: se la compliance fiscale si riduce e le entrate tributarie crollano nei primi sei mesi dell’anno il “reo” è lui, il Direttore dell’Agenzia delle Entrate, non il governo che ha varato 11 condoni con la vecchia manovra e adesso già chiede un’altra “pace fiscale” con la nuova. Era tutto prevedibile, e anzi previsto. In parte perché questa è la dura realtà, in parte perché questa è la loro natura. La sintesi più brillante la fa Pier Luigi Bersani: sono Giorgia, sono donna, faccio il pesce in barile. L’analisi più convincente la fa Giovanni Orsina: la destra di lotta e di governo, che pencola tra la mimetica del generale Vannacci e il doppiopetto del leader del Ppe Manfred Weber, è una creatura “dominata dalle emergenze più che dai programmi”, con il 95% della sua attività rinchiuso nel perimetro dei vincoli esterni e il 5% prigioniero di quello dei dossier identitari.
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  34. Questi ultimi, insieme agli anzidetti capri espiatori, servono a colmare il vuoto, a riempire la pancia del Paese e a regolare i conti nella maggioranza. L’avevamo scritto già il 2 luglio: pas d’ennemi a la droite. Nel gioco di ruolo con Salvini, la “mamma di ferro” non può farsi scavalcare né permettersi nemici a destra. Il Decreto Caivano contro le baby gang e i loro genitori, come già il Decreto Cutro contro i migranti e i loro scafisti, è l’esempio perfetto. Mentre la casa brucia e la sinistra purtroppo fischietta, i patrioti vagano furibondi tra le fiamme, strillando come ossessi “in galera, in galera!”. Rispolverano il Rudolph Giuliani della “tolleranza zero”, ma ricordano il Mauro Bracardi di “Alto Gradimento”.
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