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Laredazione

La questione (irrisolta) delle pensioni per i giovani

Jun 28th, 2023
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  1. La questione (irrisolta) delle pensioni per i giovani
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  3. Sindacati assenti
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  5. di Paolo Balduzzi
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  8. Una volta lo si chiamava “cantiere”. Oggi, forse a causa dell’elevato costo delle materie prime, ci si accontenta di un “tavolo”. Resta il fatto che il dibattito sulle pensioni in Italia si caratterizza come attività ricorrente e incessante sia per i governi sia per le parti sociali. Ciò non stupisce: circa 16 milioni di italiani (su poco meno di 60, quindi oltre il 25% della popolazione totale) percepiscono almeno un trattamento pensionistico: sono infatti 23 milioni le pensioni erogate ogni mese dall’Inps. Per un totale di 300 miliardi l’anno, miliardo più o miliardo meno. Poiché lo Stato, nello stesso periodo di tempo, ne spende poco più del doppio per tutto il resto, è chiaro come la previdenza sia un argomento bollente.
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  10. Quello che stupisce, tuttavia, è l’assenza di una diffusa consapevolezza di chi siano davvero le parti più deboli e a rischio: perché è un fatto che in questi giorni molto ci si concentra sulle opzioni di uscita anticipata per i lavoratori considerati più anziani (cioè intorno ai 60 anni) e per le donne, ma quasi nulla si dice - o si propone - per garantire pensioni dignitose a chi ha cominciato a lavorare dopo il 1996, vale a dire dopo l’entrata in vigore della riforma Dini. La quale, a parziale spiegazione del quarto di secolo successivo ha rimandato la sua piena entrata a regime a ben oltre il 2030. Colpa sicuramente della legislatura del tempo (la XII, per la precisione), perché la responsabilità ultima fa sempre capo a chi viene eletto e retribuito per prendere le decisioni.
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  12. Ma nemmeno si può ignorare il ruolo fondamentale di altri portatori di interesse quali i sindacati. Era l’autunno del 1994 e un’intera riforma pensionistica (quella del governo Berlusconi I) venne di fatto ritirata grazie a uno sciopero generale indetto dai sindacati. La riforma Dini, approvata l’anno seguente, fu invece accettata solo perché rinviava la sua piena attuazione di decenni, prevedendo l’applicazione della nuova regola contributiva in maniera integrale solo a chi non aveva ancora cominciato a lavorare e in maniera parziale per chi lavorava da meno di 18 anni al momento della sua entrata in vigore. Oltre il 90% di coloro che sarebbero andati in pensione nel 2012, anno di entrata in vigore della discussa ma necessaria riforma Fornero, non erano affatto interessati dalla riforma Dini.
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  14. Questa lentezza ha costretto tutti i ministri, i governi, i presidenti dell’Inps e le parti sociali a confrontarsi ininterrottamente per trovare soluzioni tampone, gestire interminabili fasi di transizione, o amministrare prepensionamenti, scivoli, anticipi, e via di perifrasi e neologismi per indicare sempre la stessa cosa: la possibilità di andare in pensione prima di raggiungere i requisiti di età anagrafica. Nel 2023 sembra di essere ancora allo stesso punto: la proposta del governo Meloni, meno ambiziosa di quella che avrebbe potuto essere, contiene però timidi accenni alla garanzia di pensioni future dignitose. Ma l’attenzione delle parti sociali è tutta sull’oggi. Sui livelli, comunque mai eccessivamente bassi, delle pensioni attuali e sull’età di pensionamento, ferma però agli standard demografici del secolo scorso.
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  16. Ci fosse mai una volta che uno sciopero generale venga indetto, o perlomeno minacciato, perché il futuro previdenziale dei giovani (lavoratori anch’essi, peraltro) è a rischio. Ed è a rischio non tanto perché la formula scelta dalla riforma Dini non preveda rendimenti generosi, ma perché per essi sono necessari continuità contributiva (cioè di carriera) e crescita economica. Perché allora non far ruotare il dibattito previdenziale su come rendere più efficace, efficiente e produttiva la spesa pubblica? O su come migliorare il tasso di occupazione in tutte le aree del Paese? O, ancora, su come stimolare la produttività delle imprese italiane?
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  18. Il cambio di passo necessario richiede dunque responsabilità al legislatore ma anche presa di coscienza da parte della società intera e, soprattutto, dei corpi intermedi, come si usa chiamarli in questi anni. I quali, è vero, sono utilissimi per arginare il populismo: ma, d’altro canto, se non sono abbastanza rappresentativi, rischiano di reiterare il vecchio adagio tocquevilliano della dittatura di una maggioranza sulla minoranza.
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