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Laredazione

Ai giovani la laurea piace meno un allarme per i lavori del futuro

Sep 18th, 2023
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  1. Ai giovani la laurea piace meno un allarme per i lavori del futuro
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  3. Anche in Europa si diffonde l’idea che l’università non serva per trovare un impiego. Ma a crescere di più sono proprio le attività che richiedono una formazione elevata
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  5. di Rosaria Amato
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  8. Fare carriera senza la laurea? Guadagnare sul campo le competenze che servono sul posto di lavoro senza passare dall’università è una tendenza che in Italia ha sempre avuto i suoi sostenitori, e infatti la nostra quota di laureati è decisamente più bassa rispetto alle medie Ue e Ocse. Ma adesso sembra guadagnare terreno anche all’estero: dal Financial Times alla Frankfurter Allgemeine Zeitung è sempre più frequente leggere inchieste che raccontano storie di giovani che scelgono di entrare nel mercato del lavoro senza aver completato gli studi universitari, e senza che questo si traduca in un ridimensionamento delle ambizioni di carriera.
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  10. “Is a degree worth?” (Vale la pena laurearsi?) è una domanda che anche nei giornali statunitensi è sempre più frequente: «L’università è diventata una scelta secondaria per molte persone - racconta Eden Heath, una studentessa americana. - Gli apprendistati sono diventati un fenomeno di massa: ne vieni fuori senza debiti e con maggiore esperienza, e sei persino pagato». Considerazioni non secondarie nei Paesi in cui le tasse universitarie hanno raggiunto livelli insostenibii, e serve una vita di lavoro per ripagare i debiti contratti per pagare gli studi.
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  12. In Gran Bretagna l’Institute of Student Employers (che riunisce le aziende che danno lavoro agli studenti) rileva che le imprese che richiedono un diploma di livello 2:1 (un voto di laurea equivalente più o meno a un range che va da 100 a 107) sono passate dai tre quarti del 2014 a meno della metà nel 2022. E guardando al mercato del lavoro britannico nel suo complesso, un’indagine di Totaljobs accerta che solo il 22% degli annunci di lavoro per un primo ingresso nel mercato quest’anno richiedono una laurea: nel 2019 erano un terzo.
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  14. A demotivare i giovani anche lo scarso interesse delle aziende verso le lauree considerate più lontane dalle competenze richieste nel mercato del lavoro, come quelle nelle scienze umane. «Solo una parte dei miei compagni di studio continuerà a lavorare nel proprio settore dopo l’università - spiega alla Faz Tom Konjer, uno studente tedesco. - Circostanza che sembra portare molte persone a concludere che gli anni passati all’università non sono serviti a niente». Molte imprese del resto, dalle Pmi ai colossi come Ibm e Accenture, preferiscono formare sul campo i loro dipendenti neoassunti, senza prendere in considerazione i loro titoli di studio.
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  16. E molti lavoratori si ritrovano “overskilled”, cioè con competenze superiori a quelle richieste dalle mansioni che svolgono: secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro è in questa condizione oltre un lavoratore statunitense su due. Eppure rinunciare agli studi universitari non è una buona idea. Ce lo dicono ancora le indagini dell’Ilo, che dimostrano come i lavori che richiedono competenze alte continueranno a crescere a tassi sempre più alti nei prossimi anni. E non tutte le competenze possono essere acquisite sul campo: «Quello che gli studenti non sempre percepiscono - afferma Flaviana Palmisano, docente di Scienza delle finanze alla Sapienza di Roma e segretaria generale della Society for the Study of Economic Inequality - è che all’università acquiscono gli strumenti per affrontare al meglio il mondo del lavoro, anche quando non si tratta di competenze strettamente legate alle mansioni che poi svolgono».
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  18. La crescente disaffezione nei confronti dell’università, osserva la studiosa, dipende forse anche dall’affermazione, negli ultimi anni, «di tutte le nuove forme di lavoro online, che non richiedono titoli di studio specifici, e che andrebbero monitorate più attentamente: il ruolo degli influencer dovrebbe entrare nelle statistiche ufficiali come nuova forma di lavoro». A proposito di statistiche, secondo quelle dell’Anvur (l’Agenzia di valutazione del sistema universitario e della ricerca) le università tradizionali tra il 2011 e il 2021 hanno perso quasi 20 mila studenti, a fronte di una crescita straordinaria degli atenei telematici, che nello stesso periodo hanno guadagnato 180 mila iscritti.
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  20. Segno che la laurea è vista sempre più come un impegno da conciliare con altre attività, a cominciare dal lavoro, e quindi le modalità a distanza sono preferite perché maggiormente flessibili. Telematica o tradizionale, la laurea servirà sempre di più, anche in Italia, assicura Ilias Livanos, esperto del Dipartimento per le Competenze e il Mercato del Lavoro del Cedefop, l’agenzia Ue con sede a Salonicco che si occupa di istruzione e formazione professionale: «Guardando ai settori dell’occupazione che promettono il maggiore sviluppo da qui al 2035 - spiega l’analista - quasi tutti richiedono un diploma universitario.
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  22. Le eccezioni sono poche, per esempio gli addetti alle pulizie. Ma non vedo come si possa diventare medico o insegnante, tra le professioni più richieste nei prossimi anni, senza una laurea». Secondo l’ultima “Skill Forecast 2023 Italy” di Cedefop (l’analisi sulle competenze richieste, che viene effettuta periodicamente Paese per Paese) da qui al 2035 l’occupazione in Italia crescerà del 3%. Non ci si limiterà a un rimpiazzo delle posizioni esistenti, ma ci sarà anche una quota del 5% di nuovi lavori. Circa la metà dei posti di lavoro richiederà competenze medie, il 44% competenze di livello alto, solo il 7% competenze di livello basso. Una laurea sembra quindi decisamente un buon investimento soprattutto perché anche Livanos ritiene che «quando si ha una buona istruzione, si è in grado di imparare quello che serve per il proprio lavoro.
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  24. Mentre se non si è abituati a imparare, è difficile anche capire quali competenze servano nel mondo del lavoro». L’istruzione tuttavia non necessariamente deve essere quella accademica: anche gli Its possono essere una buona strada. Da qui al 2035, insomma, l’Italia dovrebbe avvicinarsi un po’ di più alla media dei Paesi Ue. E la quota di lavoratori con qualifiche alte dovrebbe salire dal 25% del 2022 a più del 33% nel 2035, anche se invece le quote di lavoratori a basse e medie qualifiche rimarranno superiori alle medie Ue.
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