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- L’APICE DELL’ESSERE
- Riesco a sentirle,
- ancora fredde sulla mia pelle
- come binari sui quali
- le mie dita vogliono viaggiare.
- E durante il tragitto
- Guardare il paesaggio dal finestrino delle mie note,
- poi cambiare,
- concentrarsi,
- fissare,
- scoprire quella sagoma riflessa sul vetro.
- Cos’è?
- Sul suo volto scorrono prima case,
- poi rocce, poi sterpi,
- ma quella sagoma non sembra mutare.
- E le dita continuano a scivolare su quei binari,
- ormai un po’ arrugginiti,
- forse dal tempo,
- o forse dalle lacrime che hanno pianto le mie mani.
- E come per non lasciarla andare,
- stringo forte quella sensazione,
- quasi come se stessi per aggredirla,
- ma lei si mette comoda nella mia morsa,
- come a sentirsi più sicura;
- e gli stantuffi delle ruote si fanno forti,
- sulla sagoma adesso scorrono centinaia di persone,
- sono ormai arrivato;
- ma riparto, con meta me stesso,
- verso l’apice dell’essere.
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