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Laredazione

Presidenzialismo, nessun tabù ma deve cambiare il parlamento

Jun 19th, 2023
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  1. Presidenzialismo, nessun tabù ma deve cambiare il parlamento
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  4. di MASSIMO CACCIARI
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  7. Siamo generosi e fingiamo che le intenzioni di riforma presidenzialistica non siano trufferie di parole (Manzoni) per mascherare incapacità e inefficienze su ben più urgenti problemi e distrarre un’opinione pubblica in fuga già da sé da ogni partecipazione politica. Sul presidenzialismo si deve discutere sul serio e nulla è più ottuso teoricamente e storicamente che bollarlo come anti-democratico o anticamera di chissà quali avventure autoritarie. Tra i peccati mortali della sinistra nostrana vi è senz’altro da annoverare il tenace conservatorismo in materia costituzionale. I limiti del modello parlamentaristico puro erano d’altronde ben presenti anche a illustri “padri fondatori”, da Einaudi a Calamandrei. Tutto il dibattito in seno alla Costituente riprova tale diffusa coscienza. Erano le condizioni storiche e politiche del Paese che spingevano ad adottarlo, non il suo valore intrinseco. E tantomeno un suo legame di sangue con l’idea di democrazia.
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  9. Il Parlamento nasce sulla base di una forte omogeneità culturale della classe borghese emergente in dialettica e contrasto col potere del Monarca. Questa sua natura borghese di classe può nella storia attenuarsi e trasformarsi – tutto il dibattito all’interno del socialismo e del comunismo europei del ‘900 si svolge drammaticamente intorno a questo tema, tuttavia a nessuno allora salta in mente di concepire il parlamentarismo come l’unica forma istituzionale in grado di promuovere le finalità della democrazia reale, quelle che la nostra Costituzione chiama per nome e cognome: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…».
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  11. L’intero secondo dopoguerra è segnato, in tutte le democrazie, dalla tendenza al superamento formale o di fatto del modello parlamentaristico. Si tratta di processi oggettivi. O ci si arrende a subirli, come avviene da noi, o li si comprende e si cerca di dare a essi una coerente forma istituzionale. Il potere del Parlamento viene ogni giorno di più corroso non solo dalle grandi potenze globali dell’economia e della finanza, ma anche da Autorità sovra-nazionali politiche e giudiziarie che le Costituzioni riconoscono. D’altra parte, l’efficacia dell’azione parlamentare si perde proporzionalmente al venir meno dell’ethos costituente, alla crisi irreversibile della carica ideale e simbolica dei tradizionali partiti. In queste condizioni parlare di centralità del Parlamento è utopia regressiva.
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  13. E ancora più pensare a un Governo che ne sia l’esecutivo (come ancora si suol dire). Ebbene, allora, sia: vogliamo un Governo che governi, e non a colpi di decreti, provvedimenti ad hoc, emergenze e eccezioni. E non con Capi di Stato che svolgono surrettiziamente funzioni da capo di Governo o, peggio, che i governi li formano. Facciamo chiarezza e ragioniamo in termini di sistema. Ed è proprio questo che assolutamente non si fa. Bene il presidenzialismo. Ma che facciamo del Parlamento? Lo lasciamo in terapia intensiva dove attualmente sopravvive? Ammettiamo anche di aver risolto la questione, oggi pochissimo chiara, verso quale modello ci orientiamo: identità o distinzione tra le figure di capo dello Stato e primo Ministro? rimane il problema del riassetto delle funzioni parlamentari.
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  15. Nuovo Governo esige nuovo Parlamento. Un Congresso all’americana? Può essere. Il Presidente-Capo del Governo è lì forse, proprio per i poteri del Congresso, meno forte del Presidente francese. Discutere di riforma presidenzialistica senza discutere di riforma del Parlamento - e quindi dei modi in cui esso viene eletto (la procedura elettorale è parte essenziale del sistema) - è da dilettanti allo sbaraglio e apprendisti stregoni. E da pericolosi improvvisatori è pure discutere di presidenzialismo senza rimettere mano al Titolo V, che in seguito alle “riforme” del passato rappresenta il più indigeribile guazzabuglio politico-istituzionale di qualsiasi Costituzione democratica.
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  17. Se ci si muove verso forme forti di governo, verso governi-principe per così dire, che senso di grazia può avere la formula astrattamente egualitaria in cui lo Stato è citato alla pari di Comuni, Provincie, Città metropolitane e Regioni, e cioè con Enti (Regioni) fondati su trasferimenti de-responsabilizzanti di risorse dallo Stato, e altri che sono puri fantasmi (Provincie e Città metropolitane)? Da tale folle formula derivano le incredibili norme in materia di competenze specifiche e legislazione concorrente: un indistricabile sovrapporsi di funzioni che rende impossibile definire responsabilità precise su materie fondamentali come istruzione, ricerca, sanità, protezione civile, trasporti. Che cosa pensano a proposito i nostri presidenzialisti? Come intendono riformare la materia? Capiscono o no che nessun Governo potrà mai davvero governare se i suoi rapporti con Comuni e Regioni sono lasciati nel caos attuale (l’esperienza della pandemia non è servita a nulla?).
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  19. Come sanno bene i “tecnici” anche per questa situazione si rischia oggi il fallimento del Pnrr. La mancanza di chiarezza sul rapporto che deve esservi tra riforma del “centro” del sistema - un “centro” che va a sua volta inquadrato in un disegno complessivo di unità politica europea - , il Parlamento, da un lato, e Comuni e Regioni, dall’altro, destinava già a priori al fallimento il tentativo di Renzi. La scena oggi sembra ripetersi, se possibile in peggio. La proposta di Renzi aveva una sua apparenza sistemica. Questa somiglia molto a un ballon d’essai. E tuttavia quale colossale errore farebbero (faranno?) le cosiddette opposizioni a contrastarla in base a motivazioni ideologiche fuori dal mondo reale o a malintese fedeltà allo “spirito” della Costituzione (che si difende davvero nei suoi valori portanti soltanto se sapremo tenerla al passo dei tempi, come qualsiasi organismo vitale).
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  21. Sfidino invece la Meloni sul terreno di un’autentica riforma: dicano finalmente quale nuovo Governo, nuovo Parlamento, nuove Regioni vogliono per questo Paese, per farlo uscire da una decadenza che dura da oltre trent’anni.
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