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Amari pensieri di un insegnante alla fine dell'anno

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Dec 13th, 2013
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  1. La fine dell'anno (che io ho sempre odiato, come tutte le circostanze in cui si dovrebbe essere, o ci si dovrebbe fingere, felici per forza, per rito sociale o convenzione: come, poi, se il tempo, al pari del resto di qualsiasi altra cosa, dovesse avere una direzione, una scansione e un significato) spinge a consuntivi spesso amari e vuoti.
  2. Io invero non ho mai pensato che l'insegnamento (il lavoro ingrato che mi trovo a dover tentare o fingere di svolgere per sopravvivere) potesse avere una qualsivoglia utilità sociale, né che la scuola meritasse particolari sforzi.
  3. È (per me, e non per me solo) esclusivamente un modo per arrivare alla fine del mese. Forse all'inizio avevo un po' più di curiosità e d'interesse, perché era una cosa nuova, ed erano i miei primi stipendi (il denaro, per il quale tutti ostentano un poco credibile disprezzo, è, fra tutti gli artifici e gli ordigni che fingono di dare un senso alle cose, forse il più potente, anche in quantità esigue).
  4. Credo che su nulla si sia spesa tanta cattiva retorica come sul presunto valore morale e civile dell'insegnamento. Forse negli anni Settanta, con la diffusione della scuola di massa, si crearono tante aspettative sulla possibilità di utilizzare l'insegnamento come mezzo di trasmissione di una coscienza civile e sociale.
  5. Oggi possiamo dire che quel grande, qual gigantesco esperimento è fallito.
  6. Si è detto e ripetuto che i capolavori si arricchiscono di nuovi significati quando entrano in contatto con pubblici nuovi. Ma oggi i classici non hanno più niente da dire. Forse non hanno mai avuto niente da dire, se non alle persone cólte. Chiunque si accosti ad un grande scrittore con lo sguardo del lettore ingenuo (che vuole “sapere la storia” e “vedere come va a finire”, che dà per scontato che l'artista, come tutti, faccia quello che fa per soldi, per soldi da trasformare in piacere e in consumo, e che non sa né vuole né sente l'impulso ad andare oltre la superficie) non potrà che trovarlo insulso, e preferire la letteratura, appunto, di consumo, che proprio per le esigenze di quel tipo di lettore è concepita, e svolge la sua onesta funzione (a meno che, come ad esempio il canonico Romanzo da Premio Strega, non si spacci o sia spacciata per alta cultura: nel qual caso si cade nella più volgare e disonesta delle mistificazioni).
  7. Le masse vogliono mangiare, copulare (i maschi almeno, o soprattutto) e guardare la televisione.
  8. I ragazzi sono come i porci della parabola, che sputano le perle e preferiscono il brago. E la loro improntitudine, doppiezza, ipocrisia, sfacciataggine e disonestà non conosce limiti né pudore. Tutti, del resto, potendo, si sottraggono ai propri doveri (quali poi non è ben chiaro) e scaricano su altri la responsabilità di questo atteggiamento. Credo che ciò sia insito nella natura umana.
  9. È ovvio e naturale che quasi tutti siano portati per attività pratiche, più che per lo studio (ecco perché reputano inutili filosofia e latino: e, dal loro punto di vista pragmatico, hanno ragione).
  10. Lo stato e le convenzioni sociali spingono quasi tutti (non gli alunni stranieri, cui i percorsi almeno sulla carta più prestigiosi restano preclusi, indipendentemente dal merito, del resto raro), controvoglia, verso studi liceali, e poi universitari. Questo porta ad uno scadimento degli studi, e alla frustrazione di tutti.
  11. La disoccupazione giovanile non è invece, almeno per le classi medio-alte, questo problema così drammatico che si dice: pensa a tutto papà. Che fretta c'è di andare a lavorare. (Io stesso, del resto, potendo, ne farei volentieri a meno).
  12. Molti si chiedono, me compreso, ragionevolmente e senza acrimonia, se sia il caso di continuare a spendere tutto questo immenso fiume di denaro per coltivare uno stuolo ‒ dice un mio amico ‒ di “cafoncelli mezzo acculturati”. Forse per evitare che branchi di sbandati, sfaccendati e potenziali teppisti si aggirino per le strade senza controllo per cinque o sei ore al giorno (d'estate, quando la scuola è chiusa, vanno a sfogare la loro bestialità nelle località del turismo di massa, a ciò destinate e per tale fine provvidenzialmente studiate, o nelle metropoli della tanto mitizzata, e altrettanto vuota, movida giovanile, che un tempo poteva essere o apparire un fermento di risveglio culturale e di rinnovamento, in meglio o in peggio, del costume, oggi di fatto si risolve in fiumi di alcool e di altre sostanze).
  13. A ben vedere, la sola utilità sociale della scuola (se ve n'è una) è questa: un controllo sociale, per quanto blando (a volte capita ancora di leggere che la scuola, soprattutto quella privata di orientamento cattolico, manipolerebbe le coscienze e reprimerebbe la libertà di pensiero: caso mai, questo effetto è prodotto dalla televisione, la quale del resto non fa che rispecchiare, in una riflessione e in un'eco reciproci, il vuoto che lievita nelle menti e negli occhi degli spettatori; la scuola non ne ha certo a forza).
  14. Proprio per tale ragione, forse, la scuola è ormai un luogo in cui, in genere, agli studenti sono tacitamente permessi atteggiamenti che in qualsiasi altro contesto sociale e familiare (ad eccezione forse dello stadio, del palazzetto, della discoteca, che sono ormai, del resto, il loro habitat naturale) non sarebbero ammessi: ruttare, urlare, bestemmiare, gettare rifiuti per terra, mimare atti osceni.
  15. Da un lato il controllo, il contenimento; dall'altro un certo margine di libertà, anzi di licenza (senza che questo margine di sfogo e di sfrenatezza abbia più il significato culturale che poteva avere in altre epoche ‒ basti pensare ai culti dionisiaci). Un'eventuale nota sul registro ‒ fino a qualche decennio fa, almeno in teoria, tanto temuta ‒ oggi non desta che risate, o viene esibita con goliardica vanteria.
  16. Come bestie in un recinto. “Cafoncelli mezzo acculturati”, dice il mio amico; meno che mezzo, direi io.
  17. Pasolini diceva che la totale ignoranza è preferibile a quella superficiale (oggi ancor più esile, quasi impalpabile, un tempo almeno sorretta da un minimo sostrato di nozioni e di concetti generali che oggi manca anche a buona parte degli insegnanti) istruzione medio-borghese che non annulla l'ignoranza, e che anzi rende supponenti e saccenti.
  18. O il grande intellettuale, il grande artista, il grande sapiente (ammesso che ancora esistano, che abbiano ancora uno spazio, un senso, una ragion d'essere) ‒ o l'ignorante umile e vicino alle origini, alla naturalezza, all'autenticità, all'essenza; magari ad una bestialità autentica, irriflessa, pasoliniana appunto, senza sofisticazioni, convenzioni, stereotipi, ostentazioni, e dunque, a suo modo, sacra, originaria. Visione, questa, che ha qualcosa di romantico, di antimoderno, di mitizzante; ma, forse, non è lontana dal vero.
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