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a guest
Oct 19th, 2018
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  1. La storia che racconterò ora è una storia di rivoluzione. Una storia di capi abbassati a terra, di vestiti grigi, lavori opprimenti, occhi spenti e schiene che attendono quel fremito che possa dar loro nuova vita. Ma pure una storia di musica, dita che scorrono come impazzite nella speranza di dare una forma, dare un senso, trovare il motivo di questa loro follia. E di una follia virale, una follia che vuole espandersi a quante più persone possibili. Egoista, come solo chi non vede altro oltre a se stesso può essere. Una follia, che scatenò l’incendio più lucente che quelle persone avessero visto, seppur avvenuto in una gelida e ovattata mattinata d’inverno. Un incendio caldo, un incendio bollente, un incendio avvolgente. Un incendio che nessuno avrebbe mai potuto estinguere, per il semplice fatto che proveniva dai tremori della schiena di quelle persone sotto quel grattacielo. Persone che l’avrebbero poi diffuso ad altre persone, e ad altre persone ancora. E tutto questo fuoco, era semplicemente causato da una melodia. Una melodia mai sentita prima, ma nonostante ciò familiare e soverchiante. Prepotente, invasiva, ma allo stesso tempo avvolgente. Una melodia che sapeva di migliaia di voci, ma che veniva trasmessa da una sola figura. Una figura spasmodicamente china su una pianola dall’aspetto dismesso e consunto, che colpiva i molli tasti di essa con rabbia, nel tentativo di trasformare il suo ultimo respiro in una qualcosa degno di rimanere nel tempo. E suonava, suonava, suonava. Sudava, sudava, sudava. E quella ballata esprimeva un qualcosa che la gente capiva, ma non riusciva a comprendere. D’altronde, la sensazione di essere liberi non era mai stata provata da nessuno di loro. La sensazione di sentire un suono differente dal cigolio acuto delle porte di legno delle loro case mentre uscivano per andare a “compiere il loro dovere”, o dei tiepidi suoni resi tali dal sudore che emette la mente quando è sottoposta ad incarichi troppo superiori a ciò che potrebbe sopportare. Ma era in tutti questi rumori che confidava il pianista. Erano la motivazione, il mezzo, e la possibile condanna della sua scommessa
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